Giorgia Gelsi (GG): Daniela Giovanetti, siamo prossimi al debutto, il prossimo 7 luglio a Verona, al Festival Shakespeariano, con Re Lear. E questo è per te il primo incontro con Shakespeare, un incontro emozionante…
Daniela Giovanetti (DG): Molto importante, certo. Si tratta di un autore fondamentale, è teatro puro. Poi c’è anche l’incontro con un personaggio come Cordelia… Adesso siamo tanto vicini al varo di questo spettacolo, quindi ci sono gli ultimi preparativi, ognuno di noi sta ancora lavorando alla ricerca della propria identità all’interno dello spettacolo: siamo in una fase di strana confusione.
GG: Parliamo proprio di questo personaggio, Cordelia, che parla poco, ma agisce molto. E fa agire molto.
DG: Sì, è il motore della tragedia di Re Lear. Ha il coraggio di dire quello che pensa: nel momento in cui il padre le chiede la quantità del suo amore in confronto a quello delle sorelle, lei cerca di farsi capire, e trovandola una richiesta assurda, gli risponde che non ha niente da dire. Non perché non lo ami, ma perché ha il pudore di non raccontare al mondo quello che è il suo sentimento nei confronti del padre. Credo che questa sia una cosa molto interessante nel nostro quotidiano, dove tutto viene esposto e dichiarato. La parola pudore è un po’ dimenticata, tutto deve essere reso, dichiarato, sia il bello che il brutto. Cordelia non ha bisogno di dire quanto grande sia l’amore per suo padre: per questo viene mandata via, perché sembra una forma di presunzione, di orgoglio. Il padre vuole dividere il regno tra le altre due sorelle; da questa incomprensione si perde mano a mano la cognizione della vicenda e si entra nella follia. Piano piano si perde la ragione — Re Lear si interroga “Chi è Re Lear?” — e non si discerne quello che è giusto da quello che è meno giusto. In Shakespeare è molto sentito il ruolo del pazzo; inoltre ci sono i rapporti generazionali, tra padri e figli. C’è chi non è compreso, chi invece viene mandato via, perché altrimenti sarebbe ucciso, insomma tutto un mondo di rapporti e di fraintendimenti. C’è tutto un gioco, anche terribile, di accorgimenti, fino al grande ritorno di Cordelia. Ma non c’è mai il grande incontro col padre, perché quando finalmente lo ritrova, non c’è più, vede una larva di quello che era. Penso sia terribile ritrovare una delle persone che più ami al mondo così, senza più nulla: non c’è quindi l’incontro così atteso e sperato da entrambe le parti. L’unico incontro sarà con la morte, che li accomunerà nella tragedia finale, come corpi e come anime.
GG: Che tipo di esperienza è lavorare insieme a Herlitzka?
DG: Fantastica. Ho già lavorato con Roberto (Herlitzka, ndr), ma in spettacoli in cui non ci incontravamo. Finalmente ora ci incontriamo, e tanto: è uno dei pochi personaggi che Cordelia incontra in scena, oltre a Osvaldo Ruggieri. Finalmente con Roberto ho un rapporto diretto. Secondo me è un attore geniale, uno dei più grandi perché riesce a dare un senso pieno di tutte le varie possibilità alla parola. Una parola ha tanti significati, lui riesce a darglieli tutti e anche di più. Riesce ad essere terreno ed astratto, aereo e presente. Poi c’è Alessandro Preziosi, quindi sarò invidiata da tutte le ragazze e donne di Italia. È una compagnia bellissima: c’è anche Giorgio Lanza che fa Gloucester e che secondo me è bravissimo. Poi Edgar è Luca Lazzareschi, poi ci sono le ragazze, la Mortara e la Ninchi…
GG: Le prove chiamano: un’ultima domanda. Dopo aver affrontato tragedie greche e ora Shakespeare — una stagione che si presenta molto ricca, dopo il debutto ci sarà una lunga tournée — che cosa c’è nel futuro di Daniela Giovanetti?
DG: Non credo sia ancora una domanda da affrontare perché devo appena fare questo… La prossima volta!
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