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Cinema

Patrizio Rispo

Arte espressione dell’ignorante

Immagine articolo Fucine MuteTiziana Carpinelli (TC): Siamo con Patrizio Rispo, grande protagonista de Il Natale rubato di Pino Tordiglione. Ha risposto subito alla chiamata di Tordiglione e cosa ha significato per lei interpretare il personaggio di Fortunato?

Patrizio Rispo (PR): No, non ho risposto subito, nel senso che non c’era da rispondere subito ad un “prodotto finito”: non si è avuto il classico iter per cui lui (il regista, ndr) è venuto da me e mi ha offerto una storia, dopodiché io l’ho letta, l’ho interpretata, ho avuto voglia di sceglierla, di capirla… No, è stato un fatto progressivo, un work in progress. Lui è venuto con una richiesta ch’era tutt’altra cosa: Pino aveva già girato delle scene nell’arco di due anni e queste costituivano una sorta di documentario — come diceva lui prima, nell’intervista che ho sentito — in cui voleva raccontare questo tipo di realtà e queste morali che ancora esistono, sebbene sembrino di cent’anni fa, e che sono tuttora attuali.
Ha raccontato le sue terre e i suoi personaggi, queste figure contadine molto particolari.
Io dovevo fare semplicemente una voce narrante e svolgere un paio di giorni di lavoro per raccordare tali storie.
Poi ci siamo visti, la cosa ha preso piede, lui aveva voglia di raccontare di più e si è reso conto pure che, mettendo me, si doveva amalgamare il mio essere attore ad una realtà che era invece completamente diversa e allora abbiamo chiamato anche altri attori, poi abbiamo cominciato a mettere altre scene, insomma, praticamente il fatto di trovarmi a fare un film è stato successivo, all’inizio si trattava di un altro tipo di partecipazione.
Però devo ammettere che sono stato affascinato (e in maniera particolare) da questa realtà che io non conoscevo e che mi sembrava la realtà dei miei nonni; e, anzi, ho capito che esistono ancora quelle facce, quelle semplicità, quella poesia, quei problemi enormi che invece a noi della città, a noi che viviamo altre situazioni, sembrano sciocchezze, mentre per quella vita rurale divengono proprio parte di capovolgimenti e di rivoluzioni sentimentali: ecco allora che la perdita di un presepe diventa lì un fatto smisurato;sono stato affascinato nel vivere questo tipo di realtà.

TC: Maremetraggio è una rassegna cinematografica che va a premiare i migliori corti, so che anche lei a prodotto un corto, Fujtevenne!

PR: È vero!

Immagine articolo Fucine Mute

TC: Anche in questo corto troviamo preponderante il fattore della “meridionalità” e la presenza della cultura mediterranea: la vicenda concerne degli attori del nord in lotta contro gli attori del sud.
La mediterraneità è una nota frequente nei suoi lavori, cosa rappresenta per lei?

PR: Ci sono delle capacità insiteproprio nel DNA, nel territorio come, per fare un esempio, la riconosciuta bravura dei tedeschi a produrre macchine, infatti io compro solo macchine tedesche… Gli inglesi sono dei grandi conquistatori, dei grandi curiosi, dei grandi pionieri: hanno scoperto e raccordato il mondo, l’Oriente con l’Occidente, le Indie… Ognuno c’ha delle capacità proprie, quasi “genetiche”: il nord possiede questa capacità organizzativa, ottimizzatrice, mentre il Mediterraneo offre questa sensualità, questa gioia di vivere, questa corda che è l’arte.
E l’arte, poi, non è altro che la forma di espressione degli ignoranti: proprio perché siamo contadini, analfabeti, ricorriamo a mezzi espressivi innati quali la pittura, la musica, il mandolino e via discorrendo. Quindi questa è proprio una forma coatta di espressione che si trova di conseguenza ad essere alimentata da chi sta peggio, no?
Perciò è una nostra corda da cavalcare e da amplificare, invece di tentare di fare la finta città industriale: Napoli e il Sud dovrebbe vivere, dovrebbe essere il salvadanaio del mondo e dovreste lavorare voi, ottimizzare voi e poi venirvi a godere con noi il mare, il sole, a’ pizza e o’ mandolino! (Ride, ndr) Noi dovremmo stare là, donarvi il meglio e offrirvi, invece di violenza, camorra e scippi, una città ricca, con delle pazzesche bellezze naturali e culturali; a Napoli abbiamo la più grande concentrazione di musei e di opere d’arte al mondo, con numerose chiese e abbondante divertimento.
Questo è ciò che dovremmo fare noi e questo è ciò ho raccontato in Fujtevenne!; non dobbiamo scappar via da questi intenti, dobbiamo stare là e difendere la nostra vocazione naturale, invece di tradirla.

TC: È impossibile prescindere da Un posto al sole, perché è un telefilm di successo che va in onda sulla Rai ormai già da più di sette anni e che è arrivato a…

PR: Oltre millesettecento puntate.

TC: Esatto, siamo a più di millesettecento puntate. Cosa significa per lei questo telefilm, visto che vi ha preso parte fin dalla prima edizione? Non si è un po’ stufato della quotidianità di questo personaggio?

PR: Questo è il più grande equivoco che si può creare con un tipo di lavoro così, vale a dire un prodotto che presuppone la lunga serialità.
Calcola che io sono quasi laureato in legge, quindi se faccio questo lavoro — e lo faccio con grandissimo sacrificio anche perché venivo da una profonda crisi prima di Un posto al sole (perché è difficile fare questo mestiere, specie quando ho cominciato io) — è proprio perché lo amo.

Immagine articolo Fucine Mute

Tu ti renderai conto che fare Un posto al sole significa recitare trecento giorni all’anno storie di una vita parallela, per cui non è come fare una commedia o un film, in cui vado a raccontare un episodio isolato. Come nella vita, a seconda degli interlocutori che cambiano io ho la possibilità, in quanto attore, di fare trenta film in un anno: quale attore li fa se non Tom… Ma no, manco Tom Cruise li fa! (Sorride, ndr).
Cioè io, nell’arco di un anno, faccio l’amante con la dottoressa, il padre tenero, la commedia — tipo Totò e Peppino — con mio cognato, le scene di violenza e via dicendo. Un attore più gratificato di così non può esistere, specie se si sa coglierne le occasioni e credo che farlo sia difficile; per cui, vivo Un posto al sole, lo difendo, ci butto energia e continuo ad essere un sostenitore di questo tipo di lavoro.
Però non è che mi rilassi, eh? Faccio teatro: sono ancora irrequieto!

TC: Lei infatti ha recitato in Antonio e Cleopatra, Filomena Maturano e in tantissimi altri lavori per il teatro; ma ha anche fatto La piovra 7, Ricomincio da Tre: cos’è che sente più vicino alle sue corde, il teatro che è la vita, il piccolo schermo o il grande schermo che comunque è un palcoscenico universale?

PR: Complimenti, perché sei preparatissima, almeno per quanto riguarda il mio curriculum! Guarda, io sono attore — come dicevo prima — proprio “geneticamente”. Infatti mia madre era terrorizzata quando io ero piccolo perché ero una sorta di zelig: io frequentavo ragazzi che si buttavano col paracadute e in seguito ho fatto il paracadutista, giocavo a palla, pallanuoto, cavallo, pittura, gioielli, insomma, facevo di tutto ma non perché fossi debole di personalità (come temeva mia madre), bensì perché ero assetato di vita, cioè appena vedevo un’ottica, un’angolazione diversa, un morale diverso in chi mi stava vicino, ero affascinato a svilupparne le emozioni… In nuce era veramente la caratteristica dell’attore, cioè possedevo questa capacità di sentire gli altri e di vivere quanto più possibile nella loro vita; e proprio per questo tipo di caratteristiche che amo il cinema. Perché io non sono quello che studia… Mi metti un costume addosso e io divento quello!Ma non perché ho fatto il metodo Strasberg: perché ho quel candore che si trova nei bambini, cioè ancora oggi, a cinquant’anni quasi — ne ho 47, benché ne dimostri di più — vado al cinema e mi capita che, se guardo il film con i cowboys, esco cavalcando. E con il mio amico Paolantoni (che la pensa come me) dopo il film di 007 ci rincorriamo e facciamo la lotta!
E ciò avviene perché dentro siamo due bambini che hanno questa capacità di mutazione, capacità che poi dovrebbe avere un attore, e quindi sì, viva il cinema, anche se è la cosa che ho fatto meno fino ad oggi.

TC: Quali sono i suoi progetti futuri?Anche nell’ambito cinematografico…

Immagine articolo Fucine MutePR: Il cinema, spero sempre che me lo facciano fare. Una bella fiction in costume la farei molto volentieri, proprio per questa mia sete di giocare; vorrei fare un film sulle vicende degli antichi romani oppure con un’ambientazione del ‘500, del ‘700 o cose così.
Guarda, per ritornare su quanto detto prima, le occasioni di Un posto al sole: ora gireremo una storia nella Napoli del ‘700, dal titolo Un sogno di Viola, e io qui mi divertirò a fare il Borbone al Palazzo Reale di Caserta, e quindi vedi le possibilità che ci sono… Che mi avevi chiesto?

TC: Quali saranno i prossimi impegni col cinema?

PR: Ah sì, il cinema lo aspetto, sto là, come una donna assetata d’amore!

TC: E per quanto riguarda il teatro?

PR: Per il teatro, invece, ho curato una trasposizione delle favole del Basile, non so se le conosci, mi riferisco a Lo cunto de li cunti che raccoglie in realtà gli archetipi di tutte le favole di tutto il mondo, cioè quelle di Grimm, Andersen, ma anche Pinocchio: vengono tutti quanti da lì, ed erano scritte in napoletano arcaico del ‘600; le abbiamo tradotte in italiano con Domenico Basile che è un erede di Giovan Battista Basile e abbiamo fatto anche un cd dove leggiamo queste favole ai bambini, quindi spero che il progetto vada in porto. Il nostro intento era farle arrivare ai bambini ciechi, il che mi sembra la destinazione naturale per un cd con le favole; e ora, visto anche il successo di questi incontri col pubblico, faremo la trasposizione teatrale e proprio io ripercorrerò la vita di quest’autore e quindi racconterò di Giovan Battista Basile, che era un personaggio caravaggiesco abbastanza affascinante: un mercenario, poi governatore, insomma, una persona interessante da raccontare.

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