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Scrittura

Jacopo Ricciardi

If music be the food of love, play on

Fucine Mute intervista Jacopo Ricciardi, poeta e direttore del progetto PLAY ON della ADR – Aereoporti di Roma. ADR ha pubblicato fino ad ora sette libri con la Scheiwiller, libri che sono anche distribuiti gratuitamente all’aeroporto. è stata pubblicata un’antologia che ti vede protagonista assieme ai “giovani” poeti Oliver Scharpf e Lorenzo Carlucci, il cui titolo è “If music be the food of love, play on”; inoltre sono stati pubblicati “Aria celeste, e altri racconti” di Giorgio Caproni, la raccolta “Dove si ferma il mare” del poeta cinese Yang Lian, il poema “Un colpo di dadi mai abolirà il caso” di Stéphane Mallarmé, “La fotografia dalla a alla z” di Luca Maria Patella, “Decostruttivi” dello scultore e pittore Nicola Carrino e la tua raccolta “Poesie della non morte”.

Immagine articolo Fucine Mute

Christian Sinicco (CS): Un aspetto del tutto condivisibile e assolutamente contemporaneo è questa visione della poesia che “nasce da un bisogno di realtà e di comunicazione, dalla necessità di agire nella realtà”. In un certo senso si ha l’impressione di una poesia che si colloca nel mondo visibile e “luogo” anch’essa e sotterranea a tutte le arti. Puoi spiegare questa tua posizione in relazione alle opere fino ad ora pubblicate?

Jacopo Ricciardi (JR): Per me Caproni rappresenta il più alto grado di modernità raggiunto dalla poesia in Italia, una poesia che acquisisce finalmente una stabilità e un equilibrio, che generano la durezza inscalfibile di una identità creata, che è ogni sua poesia, come se queste avessero individuato il centro di ogni altra poesia. La forma stilistica concentrata e come chiusa su sé mostra una libertà rara, come certa poesia latina o la prima poesia italiana dei dialetti, e certo a tutto questo fa specchio Dante.
I racconti di Giorgio Caproni presenti nel primo libro della collana hanno tutta l’efficacia della sua poesia, sono rapidi e taglienti con una precisione che rasenta lo spirito del lettore con tale fulmineo impeto che si vacilla, si sente vacillare il nostro spirito nella vita. Pur nella loro brevità questi racconti ci portano incontro la ricchezza di tutta una lingua e di tutta la sua facoltà, appunto la lingua italiana scoperta nella sua poesia, che qui si fa racconto. Anche in questi racconti si sente vibrare l’effetto della lingua di Dante.
È mia opinione che la vera poesia la si trova in pochissimi autori, e questa poesia è vera poesia perché rende in un certo senso perfetta tutta l’opera di un artista. Non sono disposto a leggere centinaia di autori per i quali è il lettore a dover guidare il testo verso la poesia, ma bensì seguirò per tutta la vita quegli autori la cui poesia investe la vita dell’uomo e la fa apparire nel mondo. A questo proposito aggiungo soltanto, con una sottilissima vena polemica, che molti dei poeti giunti dopo Caproni non sono riusciti ancora ad utilizzare la sua secchezza della lingua, acuminata sulla vita come la lama di un rasoio, ma che si limitano a balbettare alcuni suoi stilemi, facendo perdere alla sua poesia l’identità generatrice e rigeneratrice.
Credo che oggi si possa avere uno sguardo ancora più limpido su cosa ne è stato della poesia nel novecento. Se Contini rifiutava Campana, credo che oggi si possa affermare come un valore oramai acquisito che Campana ha reso la parola indipendente e libera di scoprirsi in sé, e che questo valore sia stato ripreso e raffinato da Luzi e da Caproni. E se guardiamo ancora più indietro, ci volgiamo alla Francia che è stata la culla della modernità nella poesia e nell’Arte e che ha avuto in Mallarmé il primo vero sperimentatore della poesia. Egli insegna a tutte le future avanguardie che non è la poesia a sperimentarsi da sola, ma la poesia nell’uomo, è l’uomo a cambiare e a visitarsi nell’ottica della poesia, è un’ulteriore esperienza, come già era per Rimbaud.
Anche una sola poesia di un vero poeta è la radice che porta in sé tutta una vita, che è la nostra che si palesa a noi stessi e che poi porteremo verso gli altri. Credo che sia così, molto semplice, eppure con tutta la difficoltà del mondo, ma queste difficoltà sfidano la vita ad essere, questo è anche e soprattutto la poesia io credo. E come si deve capire che cosa esattamente rende veri i poeti del passato, così similarmente nella poesia contemporanea si devono individuare i veri poeti cercando di afferrare in che cosa lo sono. Ogni lettore ha questo compito, e non è cosa facile.

Yang LianLo scopo è anche quello di portare per la prima volta in Italia con una raccolta completa autori di valore internazionale, questo è il caso di Yang Lian, e credo che il valore della poesia di Yang Lian sia proprio di immetterci direttamente nel valore e nella ricerca della poesia contemporanea, creando delle immagini che fondano le radici stesse della realtà, esse agiscono fisicamente sulla realtà che ci è intorno. Questo è un notevole passo avanti su quella che si potrebbe chiamare una scientificità della poesia che recupera le sorti della tradizione della cultura dell’uomo, fondandone il valore nella realtà.
La ricerca di giovani è al centro di questa collana e rappresenta il terzo anello, quello terminale, che si apre su le prospettive future della poesia. I giovani sono l’intuizione del mondo, i giovani poeti creano già il mondo che sarà di domani, ma solo i veri giovani poeti, cosa che è pressoché impossibile sapere con certezza. Da giovane che scrive  poesia sento di poter dire che la poesia del futuro se riuscirà ad assorbire la forza dell’identità  della poesia del passato, tenendo conto delle varie ricerche della poesia contemporanea, offrirà una nuova libertà all’uomo. Chissà quale, forse quella di scoprire a mano a mano la propria identità e la sua comunicazione. Dovrebbero essere le nuove generazioni a dirci cosa è stato e cosa sarà, noi credo si possa iniziare questo processo, tentare.

CS: Un altro aspetto, non secondario, è la creazione o ri-creazione dell’opera da parte di un “altro”, cioè l’artista che l’ha creata o il suo successivo fruitore, il pubblico. Questo creazione è il nodo che fa l’opera pubblicamente, come se si trattasse di un evento che ogni singolo vive con tutto se stesso. Una posizione critica che indirizza, essendo l’opera d’arte presente, e responsabilizza il pubblico nel renderlo partecipe. Troppo spesso il pubblico, l’altro dall’artista e dal critico, non viene considerato nelle riflessioni sulla poesia. Tuttavia in una cornice comunicativa, le risposte da parte del pubblico sono da meditare.

JR: Credo che la poesia del futuro sarà sempre più esplicitamente fatta per la gente. Cosa significa questo? Credo di poterlo sintetizzare così: se in passato la poesia era il prodotto della cultura, oggi e domani la poesia dovrà generare cultura, nel senso che la poesia non sarà più la fondamentale amplificazione di una cultura, ma che bisognerà guardare a essa se si vorrà ricevere una qualsiasi cultura significativa, se si vorrà dare unità al popolo e alla gente, e sarà forse la gente stessa a darsela. Ignorare la poesia già oggi è pericoloso, e lo sarà sempre più. Penso ad una poesia che possa chiarire la poesia passata e al contempo recuperare tutto il linguaggio che unisce gli uomini.
Credo si debba tendere verso un maggiore ordine e una maggiore chiarezza, questo è il dovere di ogni poeta, e credo che alla lunga quest’ordine e questa chiarezza attecchiranno nel pubblico, nella gente. Ma questo percorso di massa è lungo, ora ci si può aspettare un contatto singolo con la segreta intimità del lettore, intimità che dovrà anch’essa provare il piacere di una sua libertà.
Vedo alcuni giovani poeti indulgere sulla propria persona, messa a fuoco attraverso la forza creatrice della poesia. Il pregio della giovane poesia sta proprio in questo credo, che prima di avere un idea essi vogliono essere qualcosa. Questo è secondo me un notevole passo avanti rispetto a tutta la poesia del passato, anche rispetto a quella più di rilievo. Si può dire che il poeta faceva di se stesso qualcosa di altro e unico e indipendente, e proprio per questa sua forte differenziazione dalla massa, mostrava la ricchezza possibile della vita, in un corpo, erano gli uomini che si specializzavano nella vita, quegli uomini, i poeti, con le loro opere mostravano alle persone la ricchezza finalmente espressa e viva della vita. Questo è già molto e si è già compiuto. Ma la poesia dell’ultima generazione, quella di cui anch’io faccio parte, si apre ad un nuovo sintomo: non è più la poesia a trascinare l’uomo nella vita, ma l’uomo a trascinare la sua vita in poesia. Quindi lo scopo della poesia oggi è di partecipare alla costituzione della persona e della sua vita. La poesia non è più vita, ma ciò che vive, ossia il poeta che è una persona che vive tra le persone. Questa poesia credo possa portare a stringere i rapporti tra le persone, questo è il suo scopo primario, è lì che getta la sua luce, sulla condizione del vivere la vita, e su come questa condizione possa apparirci più viva, e possa far sì che noi partecipiamo vivamente con essa. Il lettore non è più colui che si isola distaccandosi da tutto per conquistare una sua vera autonomia, ma è colui che si riconosce parte viva di tutto ciò di cui egli fa parte, ossia una persona tra altre persone. I poeti migliori scoprono se stessi come una persona vivente proprio grazie al medium della poesia. Mentre una poesia ancora migliore io credo è quella che riesce a dimenticare colui che scrive per essere già il lettore, ossia che il lettore si percepisce non attraverso la persona del poeta, ma semplicemente attraverso se stesso. Ecco oggi la giovane poesia scadente non riesce a stabilire un rapporto chiaro con il proprio poeta, non riesce a chiarire la persona, e la poesia non riesce a sentire il suo vivo. La poesia migliore è oggi credo quella che si dimentica del poeta, per stare maggiormente con i lettori, per unirsi come forza che lega la gente. Oggi se il poeta ignora il lettore ignora la gente e quindi ignora se stesso, e produce una poesia che insegue un’idea senza mai raggiungerla. È invece conoscendo ciò che è vivo di noi, in ognuno, che potremo formulare un’idea concretamente viva.

CS: Nella creazione di un progetto editoriale quali sono gli aspetti che un direttore deve considerare per migliorare il rapporto con il pubblico? Ha bisogno di favorire la differenziazione delle “poetiche” e gli intrecci con le altre arti? “If music be the food of love, play on” è l’invito piacevole che tre poeti nati negli anni ‘70 rivolgono ai lettori. Come si sono conosciuti Oliver Scharpf, Lorenzo Carlucci e Jacopo Ricciardi e su quali progetti state lavorando? Quali sono i vostri rapporti con le altre esperienze di “gruppo” o con altre realtà nella nuova scena della poesia italiana? Il “gruppo” di artisti lo intendo come una formazione in cui vigono determinate relazioni e la cui finalità è il lavorare assieme nel tentativo di “realizzarsi”, scambiarsi informazioni utili, comunicare, fare, produrre.

Immagine articolo Fucine MuteJR: Come direttore di collana è chiaro che io seguo le mie inclinazioni e esperienze di poeta e lettore. Ognuno di noi può offrire unicamente un angolo della visuale complessiva. Certo si deve rispettare alla lettera ciò che si è senza mai tradirsi. Questo è molto difficile. Credo di avere un’attitudine eccessivamente selettiva, ma solo questa mi corrisponde veramente. Cerco di ascoltare per quanto mi è possibile altri punti di vista sulla poesia e sui poeti. Cerco di guardare le cose anche con occhi non miei, ma come ho già detto non è cosa facile.
Il metodo che ho deciso di seguire per la gestione dei titoli della collana PlayOn della Libri Scheiwiller, è la scelta più eterogenea possibile all’interno della produzione di poeti e artisti selezionatissimi. Il problema iniziale è individuare gli autori, il secondo è definire nella produzione quell’opera che possa mantenere intatta la carica poetica o artistica complessiva: i racconti del poeta Giorgio Caproni, il Coup de dés di Mallarmé tradotto da Maurizio Cucchi, una raccolta completa di un giovane con il mio libro Poesie della non morte, una antologia di giovani poeti tradotta in inglese che possa essere letta anche all’estero, l’opera scelta dal poeta Yang Lian per presentarsi per la prima volta in Italia, e insieme ai poeti e alla poesia l’Arte con due cataloghi di Nicola Carrino e Luca Maria Patella. Il mio scopo è stato e sarà quello di offrire un livello quanto più alto possibile, senza cadute di qualità, evitando ogni interferenza. In futuro vedremo nella collana apparire anche romanzi, saggi, lettere, immagini e suono  per dare al lettore l’esperienza del campo d’azione più ampio del poeta e dell’artista.
Il nome del progetto culturale “PlayOn” l’ho preso in prestito dal primo verso della Dodicesima notte di Shakespeare che recita appunto “If music be the food of love, play on,”. Volevo che le innumerevoli accezioni che si possono dare a “Play On”, unite a quella meravigliosamente facile e complessa di Shakespeare stimolassero i poeti e gli artisti positivamente verso la composizione, trasmettendo lo spirito degli autori di questo progetto, e la sfida. Shakespeare ci lascia qualcosa, anche in quel “play on”. Che cos’è quello che ci lascia?
Ho conosciuto Oliver Sharpf attraverso le pagine dell’antologia dei sette vincitori del premio Montale per l’inedito, dell’anno 1997, e ci siamo incontrati. In occasione di questo progetto nel 2001 gli ho chiesto se voleva collaborare. Lorenzo Carlucci ha frequentato il mio stesso liceo, il Lycée Chateaubriand, ma ho conosciuto le sue poesie durante il periodo dell’università in cui era studente alla Normale di Pisa. L’anno prossimo sarà pubblicato un libro di racconti di Oliver Sharpf. Anche Lorenzo Carlucci sta preparando un libro per questa collana. Nel prossimo anno, nel 2005, la collana si aprirà con maggiore forza ai giovani poeti italiani.
Il nostro primo progetto comune è stato il libro PlayOn Poetry nel quale le nostre poesie sono state messe a confronto con testi critici di Stefano Giovanardi, Stefano Verdino e Maurizio Cucchi e attraverso un dialogo di domande e risposte.
I miei rapporti verso altri gruppi di ricerca è certamente quello di avere l’opportunità di conoscere nuovi poeti tra i quali scegliere i nuovi autori della collana. Per me è attivando questo tipo di ricerca, con poeti, artisti e “gruppi” che spero di riuscire ad entrare in contatto con nuovi punti di vista sul mondo della poesia e dell’Arte. È importantissimo leggere poesia contemporanea, soprattutto la più giovane, anche a costo di leggere molte cose scadenti, perché in ogni caso si entra in contatto direttamente o indirettamente con il presente e la sua nuova sensibilità, che sia appena sbozzata o affrontata direttamente. È quella, è lì, la finestra che si può aprire sul presente, sulla costituzione del presente, come cosa nuova.

CS: La poesia di Jacopo Ricciardi è un flusso di pensieri, ostacolato da precise intermittenze. Questo processo di scrittura, per ciò che concerne i modelli italiani, ricorda Amelia Rosselli e comunque l’atmosfera dell’avanguardia del “Gruppo ‘63”: parlo volutamente di atmosfera, essendo la tua scrittura sempre intellegibile. Quali sono i modelli italiani e stranieri che hanno influenzato il tuo percorso artistico?

Immagine articolo Fucine MuteJR: Rifiuto categoricamente di aver tratto qualsiasi ispirazione da avanguardie, tantomeno le ultime comparse nel nostro paese. Io non solo penso al valore del poeta prima di ogni altra cosa, ma ancor di più al valore naturale di un’opera che si muove liberamente solo nella spazio primario del poeta e della sua vita di uomo. L’impostazione originale dei miei testi è da me vissuta come una meditazione naturale, che prende origine contemporaneamente nel cuore della poesia e nel cuore del poeta. Un riferimento può essere Mallarmé proprio con il Coup de dés, e Valérie con il Cimitière Marin. La poesia non prende e non deve mai prendere il sopravvento, è sempre naturale libertà, e facilità e istantaneità. Non credo che la mia poesia sia artificiale o artificiosa, e penso che non si possa crederlo. Per questo sono felice se mi dici che la mia scrittura è sempre “intellegibile”, perché io voglio e desidero quella intelligibilità, ed è proprio quella intelligibilità che io voglio accrescere e far sviluppare, è in essa che trovo lo scopo della mia poesia, che accedo a una ulteriore libertà.
Credo non si possa non amare tutto, tutti i veri poeti, è impossibile scegliere, ma se devo fare oggi un rapido viaggio nel mondo della poesia, direi Caproni, Celan, Yeats, Kayyam, Jorge Manrique, il mondo scandinavo medievale con l’Edda poetico e l’Edda in prosa, e qualche romanziere Knut Hamsun, Kenzaburo Oe e Natsume Soseki. E Baudelaire che è tutta la mia infanzia, e Proust che è tutto il mio sogno. Questo è ciò che non smette di darmi la felicità. Poi naturalmente tutto il resto, ma davvero tutto.

CS: Disseminazione della parola, scorrere di attimi, specchio di silenzio e pensiero… Ciò che affiora dalla tua scrittura si fa nel tentativo di toccare l’altro. Quando riesci nella tua poesia a toccare l’altro, o lo presumi?

JR: La formula che utilizzi Christian è davvero molto bella, sarebbe già moltissimo possedere questa limpidezza del tendere, come credo di interpretare da quello che dici, la chiarezza del tendere verso qualcosa che diventa sempre più preciso, simultaneamente il tendere e il punto verso cui si tende. Secondo me una poesia che tenda con la stessa limpidezza possibile di un pensiero e della natura è già qualcosa di estremamente positivo e gratificante. Se fossi riuscito anche solo un attimo in questo potrei ritenermi soddisfatto, saprei che ho fatto qualcosa. E se la poesia avesse tutta la mia, vera, naturalezza, e fosse così la mia vera naturalezza, allora quello che tu chiami l’altro, la persona che legge e mentre legge sente la presenza di un’altra persona, questo sarebbe un obbiettivo raggiunto. Io non so se è tale, ma di certo so che lavoro e scrivo proprio per questo, per far sentire che esiste un’altra vita oltre alla nostra, creando in un certo senso la vita, o la sua libera speranza interna, il suo segreto, dolce. Ecco in fondo questa dolcezza è un po’ quella che si avverte nelle trame della poesia di Lorca. Per me la mia poesia è uno “specchio di silenzio e pensiero”…

CS: L’uso della ripetizione come struttura che funzione ha nei tuoi scritti?

JR: Ti ringrazio per l’esattezza delle tue domande, questo mi permette di chiarire delle questioni importanti. La ripetizione è l’accedere in modo diverso alla stessa cosa per compierne il completo ciclo vitale, se questo è possibile, è creare qualcosa che è il risultato del rapporto di tutte le cose che la riguardano. Una parola ripetuta non è mai la stessa parola eppure diventa quell’unica parola. Aggiungerei infine il procedimento di ripetizione è nutrito dall’istinto e dal procedere della vitalità di esso. Io non decido di fare qualcosa, semplicemente la faccio, perché non posso che farla.

CS: Quali saranno le prossime iniziative degli Aeroporti di Roma e di Play on?

JR: I giovani poeti! I grandi maestri!

Immagine articolo Fucine Mute

Da “IF MUSIC BE THE FOOD OF LOVE, PLAY ON”

Da “15 UPPERCUTS” di Oliver Scharpf
 
N° 3
non se ne può più della poesia poesia
ma anche della poesia autentica
se è per questo
non si può più fare della poesia, con la poesia
basta con i libri di poesia
se proprio si vuole
allora deve essere qualcosa che si avvicini
a un nome scritto sull’inguine di una spiaggia
un attimo prima che una lingua di spuma
lo lecchi via

N° 3
enough with poetry poetry
but also with true poetry
as you go for it
one cannot do poetry anymore, with poetry
enough with poetry books
if you really bave to
then it should be something close
to a name written on the shore’s groin
just before a tongue of sea-foam
licks it away

N° 7
lungo bab-el wazir
nel cuore del cairo fatimida
su un carretto tirato da un asino
accanto a due bambine addormentate
ecco delle bombole del gas
così arrugginite
che sembrano delle anfore romane tirate su
da qualche relitto in fondo al mare
ma sono mille volte più belle e interessanti,
non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo

N° 7
along bab-el wazir
in the heart of the fatima cairo
on a barrow drawn by a donkey
close by two littie girls asleep
some gas-bottles
so rusted
they look like roman amphorae
out of a deep-sea wreck
but they are far more beautiful and interesting,
no need to say

N° 15
giù sotto nella stazione duomo verso la linea 3
un ragazzino suona una cantata di bach
con un piano-flauto giocattolo da due lire.
e allora so che il mondo sta in piedi grazie a lui
a quest’esile melodia che ora sento alle spalle
a quelli che sentendola qualcosa agli occhi
gli sale ben su
mica di certo per gli applausi
dopo un’opera diretta da muti agli arcimboldi
o cos’altro

N° 15
deep down in the duomo station near line 3
a kid plays a bach cantata
on a cheap toy piano-flute.
and thus I know the world goes round thanks to him
and to his fragile melody now be’ind my back
and thanks to those whose eyes are wet
for it, after all
and surely not for the applause
after a muti opera performance at the arcimboldi
or whatever.

Da NEWARK CONCRETE  di Lorenzo Carlucci

dialogo4

ci sono cadaveri ovunque.

dà loro del pane.

dici che hanno fame?

hanno la bocca aperta.

forse vogliono parlare.

meglio mangiare che parlare.

credi?

si.
mi dai un bacio?

neanche per sogno.

perché? cattiva!

c’è troppa gente.

ma sono tutti morti.

sì ma hanno gli occhi aperti.

ci mettiamo una mano davanto alla bocca.

dovremmo avere mille mani da mettere davanti ai loro occhi piuttosto.

due mani valgono per mille, basta metterle nella giusta posizione.

e qual’è la giusta posizione?

quella che copre il bacio.

lo capiranno lo stesso che ci baciamo.

forse hai ragione ci guardano da troppe angolazioni.

possiamo dargli fuoco.

soffocheremmo.

credo anch’io.

e se ci nascondiamo dietro quell’albero?

quale?

quello lì.

no.

perché?

ho paura. lì ci fanno la tana gli scoiattoli.

hai ragione, a volte impazziscono.

sì e poi c’hanno la rabbia. possiamo baciarci il prossimo inverno.

perché il prossimo inverno.

perché ci sarà la neve e coprirà i cadaveri.

e gli scoiattoli?

saranno in letargo. e poi non ci srà bisogno di andare sotto l’albero allora.

hai ragione.

ma farà freddo!

il bacio ci scalderà.

hai ragione.

ma è tra un sacco di tempo!

possiamo aspettare.

teniamo gli occhi aperti intanto.

dialogue4

there are corpses everywhere.

feed them bread.

you think they’re hungry?

their mouths are open.

maybe they want to speak.

eating is better than speaking.

do you think so?

yes.
give me a kiss.

dare to dream!

why?

too many people.

but they are all dead.

yes, but their eyes are open.

we can cover our mouths with a hand.

we’d need a thousand hands to cover their eyes.

two hands are worth a thousand, if we put them in the right place.

and what’s the right place?

the one that covers our kiss.

they’ll guess that we are kissing.

maybe you’re right. they look at us from too many angles.

we can burn them.

we would soffocate.

I think so.

what if we hide be’ind that tree?

which one?

over there.

no.

why?

I’m scared. it’s full of squirrels’ holes.

you’re right. they sometimes go mad.

yes, and they’re hydrophobic. we can kiss next winter.

why next winter?

there’ll be snow and it will cover the dead bodies.

what about the squirrels?

they’ll be gone into hibernation. and then there’ll be no need to hide be’ind the tree.

you’re right.

but it will be could!

the kiss will warm us up.

you’re right.

but it’s a long time!

we can wait.

let’s keep our eyes open in the meantime.

Da IL GELO BEVE L’OCCHIO di Jacopo Ricciardi
 
istante
proprio qui è finito l’universo   davanti
ai miei occhi   fin quasi ai miei piedi   io
sono l’onda che lambisce il suo culmine
tornata indietro fino alla sua origine   e
questo da’ la trasparenza dell’universo   il
cui centro è la sponda su cui è accumulata
la trasparenza   poiché essa è nata da una
sponda non che la spinge ma che la
trattiene   qualcosa oltre di essa resiste   qualcosa
oltre di essa senza poter passare
punta verso di me   è una forza diffusa
accumulata in quel punto   il cui centro sono
sempre io e la sua forza è mia   io sono il
punto aperto verso l’esterno come lo spazio
iniziale di una bocca semi aperta di un
bimbo   quel punto è aperto verso il suo
interno   così perdendo il suo centro l’aura
finisce per lambire il labbro del bimbo   e
cadere nel buio della bocca semi aperta   come
la prima mela scomparsa nel fondo
del cesto   che si utilizza spesso anche per
raccogliere gli alimenti   così io sono già
iniziato nella mia ombra della trasparenza   che
proietto a una certa distanza nell’acqua
il tramonto è sempre un’alba e lì finisce 1’
universo e sta sempre finendo   e eternamente
si è lì come un’alba è sempre un tramonto   quello
che ho visto è bianco e di un chiarore
simile al mondo   quello che vedo è immerso
nel colore del riverbero della luce   come
una nebbia trasparente e ferma che annulla lo
sguardo   noi siamo i ponti su cui l’acqua
s’incrocia   nel non essere della morte   nella
conoscenza del senza tempo   svegliati dal
tuono lungo della cecità scambiata   la luce
di un fulmine è rimasta tra noi   a lungo   quello
che vedrò ora con alle spalle di tutti ciò che
finisce ed è finito quel voltarsi nel tempo
è giorno quinto da noi nello spazio di tutti   tutti
quei giorni del tempo sono questi giorni
davanti a me   quei passi mossi come interi
giorni      tutti i primi passi non sono fare
quest’unico istante questo da tutto noi il
giorno brucia la notte d’alba e tramonto   dove
stanno prossimi

come una più grande sfera infinita   volta al suo
centro al suo interno   con un centro andato
all’infinito   disperso per sempre nel suo
eccesso   ma nato due volte dentro se stesso   senza
un inizio   mai avuto   per sempre   sono nato
nel più lontano ricordo dell’universo   dove la
gente brucia la luce con la propria fiamma   dove
la fiamma è più densa   e più grande con
forza battezza il suo luogo   rimasto molto
a lungo per più volte   e svanisce in ognun quanto
più il mondo appare   dove appari   come fiamma
nella fiamma   senza grandezza   un mondo
è dove tu contieni un mondo   che ti contiene
quando lo incontri   quando molti in più sono i
mondi che si lambiscono il mondo è tanto più
infinito   dove la gente è riunita   come un volo
d’uccello spiccato d’improvviso   nella terra
umida e bianca del cuore   nel luogo tornato su
se stesso   ogni volta dentro la pietra   ogni volta
percorso nell’identità del corpo e della persona   cui
più prossimo è il mondo che si apre   come la terra
sotto la neve   come il nostro infinito   nell’
aria morta del respiro   che loro hanno ucciso   con
la nascita dello spazio   penetrato almeno
quanto è sparso dentro di noi   con luce confusa
di noi   nel loro tempo

come l’acqua viene scossa senza un ordine sulle
pareti bombate della brocca di porcellana   all’interno
l’oscuro mai visto sopra l’acqua   l’acqua è oscura
a sua volta   con trasparenze così fine stratificate fino
alla base della radice delle contraddizioni   la chioma
è un’immensa oscurità   una goccia adesa all’universo
andato chissà   dove tornato su sé come una valanga di
tenebra   come un’inondazione   quando a quel punto
l’acqua si livella   nella brocca di porcellana una volta
per tutte   fino a quel momento   siamo alla deriva
dall’orbita   là dove ad un certo punto la luce è fatta
di terra   e la terra è profonda molto più dell’universo   oltre
l’universo continua la terra   fino a un certo punto   arresta
la crescita   pure ben oltre l’occhio distesa   e
come le bolle si gonfiano dentro l’acqua uscite da
un qualsiasi foro artificiale o come molti praticati appena
percettibili nel fondale marino   così ciò che è dato
alla luce sale alla superficie e scoppia   così questa terra
cui l’aria sorge finalmente   e non si abbatte più su
terreni spenti   ma li cambia nel corpo umano   così 1’
aria genuina dentro quel corpo immerso e lungo   così
espiriamo il primo respiro della terra   così l’universo è
estinto nell’inspirazione della terra sotto la terra non si
sa più dove   ciò che nasce è fra noi il primo   è nato   ed
uscito profondamente dall’apnea   che qui coglie come il
sonno   la neve scesa dello sguardo   è polline   lacrima   rugiada
di questo mondo   come carni scoperte   cadute le une sulle
altre   quella profondità si sta facendo grande   e ha
l’altezza del cielo   anch’esso   nostra carne caduta nostra
carne salita   questa ha dunque sciolto l’ultimo
ghiacciaio   adesso dobbiamo decidere quale tempo abitare   il
successivo   ha sguardi d’oro
                                                                       che vedono
la bianchissima v degli uccelli sdraiata a circa metà del cielo   1’
orizzonte è stinto calpestato sulla via dei ritorno   dobbiamo
vedere allora cosa fa quotidianamente metà del cielo   che è
quasi tutto che è la vita quasi   viene macinata quella metà del
cielo come un’intelligenza   caduta come bianchi fiocchi accumulati
nel cammino   in un cumulo irregolare dove passa il
piede   l’intelligenza è questa traccia rimasta immobile nella
storia   alla base della vita   alla base dell’intelligenza   dove
convergono i primi passi di tutti   convergono   nello stesso
luogo   dove una svanisce in un’altra   e questi riflessi di luce
rimasti a terra   sono segni di ciò che diveniamo   ciò che il luogo
diviene   orma della materia   per la nostra seguente al
centro dei rapporti   questo luogo ci è così famigliare   con lo spazio
sparso ovunque   come un cielo pieno di sale come il
mare   semplicemente sopra di noi   la neve del tutto sciolta   col mare
di terra a riposo dentro di noi   come acqua in un
bricco   poggiato da tempo   la cui pancia bombata è sfera di luce   dove
distinto sempre più è un corpo   un secondo   fino
ad un certo numero   iniziati

istant
 
right here the universe came to an end   before
my eyes   almost at my feet   I
am the wave that laps its apex
the wave returned to its origin   and
this gives the universe its transparency   whose
center is the shore where transparency
accumulates   for the wave is born from a
shore that doesn’t drive it but   holds
it back   something beyond the wave resists   something
beyond it that cannot pass through
and points towards me   it’s a diffused force
accumulated in that point   whose center is
always me and its force is mine   I am the
point opened towards the outside like the initial   space of a
child’s half-open mouth   that point is open towards its
inside   thus losing its center the breeze
ends by lapping the baby’s lip   and
by falling in the darkness of the half-open mouth   like
the first apple disappeared in the bottom
of the basket   often used also to
collect food   thus I am already
started in my shadow of the transparency   that
I project at a certain distance in the water
each sunset is a dawn and there the universe
ends and is always ending   and eternally
we are there as each dawn is a sunset   the one
I saw is white and its brightness
is similar to the world   the one I see is immersed
in the color of the reflection of light   like
a transparent and still fog defeating the
glance   we are the bridges on which water
interlaces   in the non-being of death   in the
knowledge of the timeless   woken by the
long thunder of exchanged blindness   the light
of a lightning has remained with us   for long   what
I will see now with at everyone’s back what
ends and has ended   that turning back in time
is day the fifth from us  in everyone’s space    all
those days of time are these days
in front of me   those steps moved like whole
days    all first steps are not the making
this unique instant this out of our whole   the
day burns the night of dawn and sunset   where
they are close

like a larger infinite sphere   turned towards its
center its inside   with a center gone
to infinity   forever dispersed in its
excess   but born twice inside itself   without
a beginning   never had   forever   I am born
in the most distant memory of the universe   where
people burn light with its own flame   where
the flame is more dense   and larger with
force it baptizes its place   that very long
and many more times remained   and vanishes in each the more
the world appears   where you appear   like a flame
in a flame   without dimension   a world
is where you contain a world   that contains you
when you meet it   when many more are
the worlds that lap each other the world is much more
infinite   where people gather   like the sudden
flight of a bird   in the moist and white
soil of the heart   in the place returned upon
itself   each time inside the stone   run through
each time in the identity of the body and of the person   to whom
the world that opens is closer   like the earth
under the snow   like our infinity   in the
dead air of the breath   they have killed   with
the birth of space   penetrated at least
as much as it is spread within us   with confused light
of ourselves   in their time

like water is stirred without order on the
bulging walls of the china jug   on  the inside
the obscure that is never seen above the water   water becomes
in its turn obscure   with such subtle transparencies stratified to the
basis of the root of contradictions   the foliage
is an immense obscurity   a drop adhering to the universe
gone who knows where   returned upon itself like an avalanche of
darkness   like a flood   when at that point
water equals   in the china jug once
and for all   until that moment   we go adrift
from the orbit   there where at a certain point light is made
of earth   and earth is deep far deeper than the universe   beyond
the universe the earth continues   up to a certain point   it stops
the growth   stretching far beyond the eye   and
like bubbles swell in the water coming out of
some artificial hole or like many others made scarcely
perceptible in the sounding-depth   thus what is given
to light rises to the surface and bursts   thus this earth
to which air finally rises   and crushes no longer on
dead lands   but turns them into the human body   thus the
genuine air inside that immersed and long body   thus
we expire the first breath of the earth   thus the universe is
extinguished in the inspiration of the earth under the earth none
knows where   what comes to life is among us the first   it is born   and
has deeply come out of the apnea   that here seizes like
sleep   the fallen snow of the eyes   is pollen   tear   dew
of this world   like uncovered fleshes   fallen one on the
other   that depth is becoming large   and has
the height of the sky   itself   our fallen flesh our
risen flesh   this has therefore melted the last
glacier   now we have to decide which time to live in   the
next   has golden glances
                                                            that see
the very white v of birds hovering almost in the middle of the sky   the
horizon is faded trampled on the way of  return   we have to
see then what half of the sky daily does   that it is
almost everything that it is life almost   that half of the sky is milled
like an intelligence   fallen like white flakes accumulated
in the path   in an irregular heap trodden by the
foot   intelligence is this trail left unmoving in
history   at the basis of life   at the basis of intelligence   where
everyone’s first steps converge   converge   in the same
place   where one vanishes into another   and these reflections of light
left on the ground   are signs of what   we become   what the place
becomes   the footprint of matter   for our following one into the
center of relations   this place is so familiar   with space
spread everywhere   like a sky full of salt like the
sea   simply above us   snow completely melted   with the sea
of earth standing still within us like   water in a
pot   put down for a long time   whose bulging belly is a sphere of light   where
body is more and more clear   a second one   until
a certain number    started

Le traduzioni in inglese delle poesie pubblicate alla fine dell’intervista a Jacopo Ricciardi sono di Lorenzo Carlucci. Si ringrazia per la gentile concessione Jacopo Ricciardi, direttore della collana PlayOn, gli Aereoporti di Roma S.p.A. e la Libri Scheiwiller, Milano.

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