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Musica

Costanza Francavilla

Sogno senza compromessi

Immagine articolo Fucine MuteIl mondo attuale non sembra riservare molto spazio ai sogni. Ma per strano che possa sembrare, a volte i desideri si avverano. E allora lasciamoci trascinare dalla fantasia nel raccontare la stupenda favola di Costanza Francavilla, una giovane musicista di Roma che a fine anno pubblicherà il suo primo album solista…

Umberto Lisiero (UL): Mi sono subito appassionato alla tua storia. L’incontro con Tricky risale a un paio di anni fa. Gli lasci un nastro e dopo pochi giorni sei a Londra e negli States per registrare. Mi racconteresti com’è andata?

Costanza Francavilla (CF): È andata in maniera molto semplice nel senso che io ho un piccolo studio a casa dove compongo i miei brani e Tricky è venuto a Roma a fare un concerto appunto due anni fa, e io ho portato con me un demo con tre brani e dopo il concerto sono riuscita ad entrare nel backstage, ho conosciuto il batterista, Perry (Perry Melius, ndr), e chiacchierando gli ho detto che canto e suono e lui mi ha detto: “Dammi il cd se vuoi, che lo darò a Tricky”. E così è stato. Perry ha mantenuto la sua promessa. Tricky mi ha chiamato il giorno dopo sul mio cellulare — quindi subito — dicendo che era tutto il giorno che ascoltava i miei pezzi, che gli erano piaciuti molto, e chiedendomi se volevo collaborare con lui, andare in tour e cantare nel suo nuovo disco. Fin da subito mi ha detto: “Guarda, sono interessato anche ai tuoi pezzi, vorrei produrre il tuo disco…”. Questa telefonata è stata abbastanza scioccante per me, che sinceramente non me l’aspettavo… capita quando fai musica di far sentire le tue cose in giro, ma non mi aspettavo una risposta così veloce — il giorno dopo — al telefono da lui in persona. Però la cosa che più contava era il fatto che lui avesse apprezzato la mia musica, quindi mi sono detta che qualsiasi cosa fosse successa, anche se lui non mi avesse più chiamato, per me sarebbe stato comunque un grandissimo traguardo. Invece, un paio di settimane dopo sono andata a Londra a conoscerlo, gli ho portato un sacco di altri brani, abbiamo ascoltato tutti i miei pezzi per una settimana a ripetizione, lui era molto entusiasta, non per niente è andato subito in Olanda da Londra a portare un mio pezzo che si chiama My Head che hanno introdotto nella riedizione di Blowback, il disco che precede il nostro ultimo lavoro, Vulnerable. Un mesetto dopo sono andata a Los Angeles e abbiamo iniziato a registrare il disco senza quei ritmi stressanti dello studio, dalla mattina alla notte. È stata un’esperienza formativa e costruttiva, ma senza nessuna ansia. Lui è uno che prende le cose in maniera tranquilla. Poi Los Angeles, il bel tempo, insomma è stata un’esperienza molto piacevole ma anche dura perché comunque Tricky è molto esigente in studio. Pur essendo una persona carinissima ha le idee molto chiare. Però devo dire che ci siamo trovati subito in sintonia perché io conoscevo molto bene la sua musica da anni: c’è stata subito intesa. Quello che lui richiedeva dalla mia voce spesso era quello che a me veniva in mente per il brano.

UL: Eravate sulla stessa lunghezza d’onda…

CF: Sì, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda e ho potuto imparare molte nuove cose, soprattutto in tournée, perché la scorsa estate siamo andati in tour per tre mesi, è stata un’esperienza bellissima, faticosissima perché stavamo un giorno in un paese, un giorno in un altro: abbiamo suonato dall’Irlanda alla Danimarca, alla Serbia davanti a settantamila persone. È stato bello ma è stato anche impegnativo perché ho dovuto ricantare dei brani dal vivo che erano dei pezzi storici di Tricky, che io ho ascoltato per anni. Pezzi tipo Black Steel, Overcome, Hell is around the Corner, che ho sempre ascoltato e sempre amato, e quindi il cantarli mi ha emozionato molto, è stata una grande sfida, forse la più grande di tutte. Perché scrivere con lui in studio — oltre a cantare abbiamo scritto anche dei brani insieme — è stato da una parte più facile che proporre i vecchi brani con la mia voce.

Immagine articolo Fucine Mute

UL: La tua voce compare in tutte le tracce dell’ultimo lavoro di Tricky e in due canti addirittura in italiano. Cosa pensi lo abbia colpito di te, e in particolare qual è stata la qualità che gli è subito piaciuta?

CF: È un po’ difficile da spiegare. Lui non è un cantante né un musicista, è tutte e due le cose ma al contempo non ne è nessuna, nel senso che non c’è una voce che canta proprio delle melodie. È un misto tra rap e il narrare delle poesie. E io vedo molto le mie canzoni in questo senso. Io non mi definisco una cantante, sono più musicista perché suono la chitarra, il basso, la batteria. Io percepisco la canzone e la musica come un tutt’uno. Non è che per me la voce sia più importante di un giro di basso. Penso che lui sia molto vicino a questa mia concezione: la pensiamo entrambi alla stessa maniera. Quindi forse ha visto che nella mia voce non c’è il desiderio di farla uscire pulita, limpida, come se fosse una voce per una canzone pop. È più uno strumento, un’espressione, un colore: penso sia stata questa l’interpretazione delle melodie con la mia voce. Anche se gli piacciono cantanti come Kate Bushe Billie Holiday forse in me ha visto la spontaneità del mio approccio alla musica.

UL: E com’è stato cantare per la prima volta in Italia, se non sbaglio, nell’edizione dell’estate scorsa dell’Heineken Jammin’ Festival?

CF: È stato bello. Era la seconda data a dire la verità. La prima infatti l’abbiamo fatta a Torino, una data di prova, di riscaldamento, in un club molto bello, però non c’erano migliaia di persone. La prima data importante è stata quella all’Heineken Jammin’ Festival. Ero ancora un po’ stordita: è stato bello, ma sai quando sei sul palco non è che vedi tutte quelle persone, non te ne rendi nemmeno conto. A dire la verità mi agita di più stare sul palco con Tricky che avere migliaia di persone davanti. Quando ti esibisci, ti dà la stessa emozione cantare davanti a migliaia di persone che davanti a quattro. Comunque ti stai esprimendo, l’intenzione è la stessa. Non è perché hai migliaia di persone davanti allora cambia il tuo modo…

UL: No, ma magari il pubblico del Jammin’ Festival non era tutto lì per Tricky…

CF: Certo, però siccome era proprio una delle prime date quello che mi agitava di più era il confronto con Tricky stesso, lo stare sul palco con lui, il dover interpretare brani in un certo modo. I concerti di Tricky sono molto improvvisati, non c’è scaletta. Noi saliamo sul palco e non sappiamo nemmeno i pezzi che faremo. In ogni concerto lui cambia brano e scaletta. Alla fine del pezzo che stiamo suonando dice al batterista quale brano verrà dopo: quindi c’è ovviamente la preparazione musicale ma non di scaletta… è bellissimo, emozionante perché vivi il concerto pure tu, e lui in base alla percezione del pubblico, alla reazione del pubblico, all’energia che c’è e a come si sente, decide il brano da proporre dopo. E anche all’interno del brano è tutto improvvisato… mi ricordo che quest’estate a Barcellona abbiamo suonato con i Metallica e abbiamo fatto un pezzo — uno dei pezzi lenti del disco, tra i miei preferiti — che si chiama Hollow: l’abbiamo suonato per più di quindici minuti: era un po’ una sfida che voleva fare Tricky al pubblico dei Metallica, un pezzo lento come provocazione nei confronti dei metallari. È tutto così, molto attivo, ma nel contempo molto difficile. Molto spesso capita che lui inizi un brano e poi guarda o me o la band e dice “no, no, smettiamo” e fa cenni e io magari mi ritrovo a cantare senza più base, perché lui magari inizia un pezzo per dieci secondi e poi non gli piace più e smette.

Immagine articolo Fucine Mute

UL: Ancora complimenti perché è veramente difficile. Senti, ti faccio un’ultima domanda su quello che sarà il tuo album: ci puoi regalare qualche piccola anticipazione? Come credi suonerà?

CF: Io non amo molto le categorie o le etichette: ho sempre suonato rock. La mia band di prima, gli Etnia erano una band di formazione rock-punk, una formazione classica, due chitarre un basso e una batteria, io cantavo e suonavo l’elettrica: quindi la musica che ho sempre ascoltato è stata musica rock-punk, dai Fugazi alla scena di Chicago post rock. Sono cresciuta con il rock, però rock minimale e non metallaro. La mia attitudine è quella: nei miei pezzi è difficile che cambino più di due accordi, la melodia rimane sempre sulla stessa tonalità, il mio approccio è molto punk a livello di struttura dei pezzi, non ci sono molti cambi di melodia, che è poi quello che fa anche Tricky. Lui lo fa campionando, in maniera diversa, più sperimentale, però la base è sempre quella. Io ho lo stesso approccio: suonare vari strumenti, perché ci saranno strumenti sia elettronici che elettroacustici…

UL: Quindi non hai un’idea ben definita su quello che sarà il suono dell’album…

CF: No, l’album è fatto, è finito. Io ho cinquanta/sessanta brani. Sto scegliendo quelli che mi convincono di più, poi insieme a Tricky faremo una minima post-produzione perché la produzione l’ho fatta tutta io a casa. Sono convinta che i provini, quello che i discografici chiamano i provini, poi in realtà sono quelli migliori. I pezzi andranno sul disco così come li farò io a casa, non ci sarà missaggio, non ci sarà niente, ci sarà solo la masterizzazione, perché sono contro i grandi studi e la pulitura del suono. La musica è musica perché ti esprimi in quel momento. Io la vedo così. Sono contraria ad andare allo studio da tre milioni al giorno per metterci il fonico che ti costa cinque milioni perché fa un bel suono… Anche i primi album di Tricky non sono mai stati missati. Non c’entrano gli strumenti che usi, le sale di registrazione dove vai. Quindi il disco sarà molto lo-fi, molto sporco: non volutamente ma semplicemente perché è una cosa che faccio a casa e così come la faccio a casa andrà sul disco.

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