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Scrittura

La terra è ancora nostra

Immagine articolo Fucine MuteStudiando la raccolta Poesie della Terra (Lietocollelibri, Como, 2004) di Alessio Brandolini e ricordando Divisori Orientali, il volume precedente dell’autore, troviamo tratti distintivi di una formatività comune: la tendenza alla descrizione minuziosa sia per ciò che concerne la mimesi, sia nello spostamento repentino da quest’ultima per approdare ad un qualcosa nei pressi di una ulteriore visione, che condensa i sentimenti raccolti precedentemente.
Una serie di appunti dolenti, dal momento che ho conosciuto personalmente i destinatari di questa  critica: la prefazione di Mario Santagostini non tiene in primissima battuta (l’ambiente letterario esprime poeti in veste di critici, ma la persuasione nei confronti di un pubblico, pure di addetti, non convince più). L’essere presentati da autori un po’ più conosciuti nell’ambiente è un debole farmaco, quando invece bisogna rilanciare il dibattito, confrontarsi con pubblico e critica. In secondo piano, sotto silenzio, non possono quindi passare le note di Santagostini, che esprimono un deficit di motivazioni.
Tirando in ballo Bertolucci per spiegare Brandolini, il mio consiglio è quello di evitare paragoni su spazi verbali assai ristretti e quote di inafferrabilità tesissima, di mistero: l’invenzione della categoria spazi verbali assai ristretti, ad opera di Santagostini, non chiarifica il procedimento che porta a compimento un’opera d’arte, in questo caso un testo di poesia — è come partire dalla carrozzeria per costruire un’automobile, senza sapere i dati tecnici di tutti gli altri elementi, e non ultimo il motore -; evocare l’Attilio Bertolucci di Sirio e Fuochi in novembre, non costruisce fatti; poi, con sincerità, ho visto più intelligenza nel mimetizzare la realtà che mistero in Poesie della terra.
Inoltre non trovo necessario che Santagostini scriva “Risalendo ancora più indietro (al lettore compete anche questo, credo), potrei intravedere una costellazione assai vasta di influssi”: al lettore compete risalire più indietro del Bertolucci, e per quale motivo o credenza? La poesia di Brandolini non può essere letta senza una ricerca? Quel potrei vuol dire che puoi, ma allora perché non lo fai, rimani nel vago?
“Usare le parole con parsimonia è la via della natura” dice Lao-tzu nel Tao Te Ching, e sarebbe meglio trattare la raccolta presa in esame per quello che è.
È bene citare — ciò risulta appropriato -, ma bisogna anche rifornire di differenze dal modello letterario preso a prestito — in questo caso Bertolucci — e non trattare la poesia attraverso ricordanze, attribuzioni di credenze, condizionali.
Innanzitutto i luoghi della natura, che l’autore nato a Frascati descrive, sono circoscritti e analizzati da dettagli — Bertolucci corre da una parte all’altra del testo lavorando un discorso: la descrizione della natura è mediata da una coralità di ricordi, di luoghi aderenti a sensazioni come in un caldo sogno.
Brandolini ha l’esigenza di tratteggiare, alle volte marcare, i gesti compiuti, gli eventi, per farsi del materiale della terra, potando la natura che ha integrato dopo essersela appuntata come rami, foglie, germogli — Bertolucci cerca nella formatività creatrice di paesaggi la via che conduce alla libertà, alla possibilità di un repentino esodo come quello di un Mosè ritratte le acque, lo stupore inconscio presso la meraviglia, la paura, la felicità.
Brandolini descrive con macchie d’inchiostro laterra nata o ricostruita in sé, il padre a lui caro, i luoghi, i bambini, le parole in fiore; è intimista osservando il padre, i figli; e sperde l’acqua per creare un ambiente, dipinge la macchia cresciuta nel modo più secco: “Fragole acerbe / piccole e tonde / nell’angolo dell’orto / nascoste / dietro e sotto / i cespugli d’alloro / sul crinale del fosso. // Le parole in fiore / sono funghi cresciuti / nel legno / chiaro dei lecci / e tu che annaffi / le pietre / per vederle affondare.
La poesia di questo autore nasce dal bisogno di riflettere nel presente senza disattendere la propria capacità di osservatore appostato da lunghi periodi, e sempre grazie a elementi che lo hanno coinvolto: per questo oggi parla del lavoro nei campi, della terra.
La proiezione delle immagini segue dettagli precisi e la costruzione (dalla maiuscola fino al punto per intenderci) è delimitata dal significato utile alla descrizione: per questo procede grazie a quadri e in serie.
Quando il poeta sente che i quadri che ha descritto sono capaci di dare prova di un mondo, si ferma a guardare per un attimo ancora e piano si allontana per osservare con altri occhi: questo dà l’impressione di essere nei pressi di una visione ulteriore:

I fichi hanno le dita larghe
le loro foglie sorreggono l’aria
calda di giugno
e le vene scoppiano di gioia.

Anche a settembre danno il frutto
e ce ne sono di quelli neri
ma dolcissimi che strappano
la voglia di fuggire.

Più in là s’agitano le foglie
verde-smeraldo del grande susino
giocano con l’aria e per ore
parlano senza un attimo di tregua.
Con la zappa fino al tramonto
ad accarezzare la terra
intorno al tronco,
a divorarla con gli occhi.

La terra è ancora nostra o no? L’interrogativo mi è stato posto da questa raccolta. Osservando la terra, i suoi aspetti concreti, sono convinto che sia ancora viva nell’uomo.
Come la si vive dunque? Cosa sentiamo dei sentieri calpestati, dall’erba pressata dalle suole?
Non capisco per quale motivo non si possa affermare “la natura attrae gli individui” — e un poeta, se toccato da qualcosa, lo può descrivere.
Sta in questa “semplicità” l’onestà del lavoro di Brandolini, che alle volte non manca di sottile ironia:

Certo non dissento, e dopo che farei?
Però nel frattempo rinnovo casa
mi trasferisco
in un angolo di strada.
Sì, trasloco fuori città
magari in un bosco
mi stabilisco in una quercia cava.

Un mondo rinforzato da vitamine e sali minerali
certo più sicuro per via degli antifurti
delle porte blindate, dei cancelli sbarrati
con paletti e lucchetto
di libertà sigillate in cassaforte
in attesa di tempi migliori
di un nuovo perfetto equilibrio.

Non sentirò il bisogno
d’avere una parte di tutto.
Avrò poco e quel poco mi basterà,
non sentirò la fretta di consumarlo.
Farò a meno di appigli e stampelle
lascerò la porta spalancata
sarò felice di ricevere ospiti e amici.

Tanto la pioggia cancellerà le impronte
diverrà impossibile tornare indietro.

Alessio Brandolini, scrive: sono nato a Frascati nel 1958, ma ho trascorso i miei primi vent’anni in una piccola casa sul cocuzzolo di Monte Compatri, sempre nei Castelli Romani, con i genitori e i miei cinque fratelli. Poi mi sono trasferito a Roma, dove tutt’ora vivo e lavoro. Qui mi sono laureato in Lettere moderne, con una tesi sulla poesia di Jole Tognelli. Mi sono sposato con Laura e ho avuto, con lei, due figli: Simone e Flavia. Ho iniziato a lavorare giovanissimo e dopo un’infinità di lavori sono approdato, nel 1983, nel confortevole lido del Senato della Repubblica (ma non sono senatore, ci lavoro).
Ho esordito come poeta nel 1989 sulla rivistaGalleria. Nel 1991 ho vinto la sezione inediti del “Premio Montale” con una silloge poetica, poi pubblicata da Scheiwiller. Finalista e segnalato nel 1994 al premio di poesia “Lorenzo Montano”, con una raccolta di poesie inedite. Nel 2002 ho pubblicato “Divisori orientali”, una raccolta poetica alla quale è stato attribuito il “Premio Alfonso Gatto 2003 – Opera prima”.
Miei testi sono sparsi in antologie e riviste.
Sono tra i redattori del sito gialloWeb che si occupa di letteratura a sfondo noir (www.gialloWeb.net). Con recensioni letterarie collaboro a vibrisse, “Bollettino di letture e scritture” curato da Giulio Mozzi e diffuso via e-mail. Organizzo nella mia città reading e incontri di lettura, soprattutto con il gruppo “I libri in testa” (www.geocities.com/ilibrintesta).
Ho fiducia nella poesia e nella politica, nell’amore e nell’amicizia. Non a caso mi piace il vino rosso.


Leggi anche l’intervista ad Alessio Brandolini pubblicata nel numero 57 di Fucine Mute.

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