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Cinema

Sergio Amidei: il Signore delle Storie

Immagine articolo Fucine MuteSe non si vogliono appiattire gli anniversari artistici nella logica della celebrazione compiaciuta e  fine a se stessa è necessario interrogarsi sul lascito e sull’influenza che hanno determinato. Ricorre in questi giorni una data importante per i cultori della decima musa, il centenario della nascita di  Sergio Amidei.  Un uomo generoso ed estremamente curioso, dal carattere vulcanico, e, per usare un termine passato di moda, di notevole erudizione. Nel suo nome il Comune di Gorizia organizza da ventiquattr’anni un premio di sceneggiatura assegnato da una qualificata giuria con la finalità di valorizzare un contributo artistico di primaria importanza. E, per rendere concreto l’omaggio a un personaggio sicuramente fondamentale nella storia del cinema italiano, ha deciso di pubblicare un libro a firma di Mariapia Comand interamente dedicato a Sergio Amidei. Purtroppo il suo  lascito patrimoniale di libri e di scritti non è stato salvaguardato e si è dissolto in mille rivoli, quello artistico, invece, ha avuto una dispersione benefica contagiando autori di grande personalità come Martin Scorsese, da sempre profondo cultore del nostro cinema. Anche la scelta originalissima di intrecciare gli episodi di “Domenica d’agosto” (1950) è stata, nel corso degli anni, largamente saccheggiata da tanti altri. In ogni caso, e al di là dei debiti di riconoscenza che qualcuno ha voluto esternare, resta in Amidei la severa lezione di un alto artigianato capace di piegarsi ed adattarsi alle più svariate esigenze. Per  questa ragione non si può che sottoscrivere il giudizio di Gianluigi Rondi  che mette Sergio Amidei accanto a Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico e Tonino Guerra tra i quattro grandi sceneggiatori del cinema italiano. Un primato legittimo conseguito nel corso di un’ intensa carriera che si è srotolata per mezzo secolo partendo da una propaggine orientale (Trieste), per poi consolidarsi sul fronte occidentale (Torino, allora capitale del cinema) e raggiungere il  suo apogeo in quella Roma, fatalista ed eterna, che accoglie i viaggiatori da ogni dove. Anche quell’irascibile trentenne asburgico così come, qualche tempo dopo, quel romantico sognatore romagnolo contraddistinto dalla doppia F. Ma questa, a grandi linee, è l’avventurosa storia di  Sergio Amidei.

Trieste-Torino, solo andata

Sergio Amidei nasce a Trieste il 24 ottobre del 1904. Sua madre discendeva da una famiglia nobile, i De Bartolomei, ed Amidei passa gli anni dell’infanzia e della giovinezza in una grande villa a Salcano, frequentata da tanta gente che si esprimeva indifferentemente in italiano, sloveno e tedesco. Di quegli anni scrive: «Io sono nato a Trieste, sotto l’Austria, e come la maggior parte della borghesia italiana (non del popolo, sinceramente fedele al suo Imperatore) abbiamo contestato l’autorità austriaca in tutti i campi, anche, lo capisco ora, a torto. Io, fin da bambino, ho considerato lo Stato come nemico. Arrivati gli italiani, dopo quattro anni (sarebbero potuti arrivare dopo quattro settimane) passato il primo momento di entusiasmo, cominciammo a contestarli (a torto o a ragione non ha importanza). Troppo profondo era il fossato che ci separava. Da una parte una popolazione educata al rispetto delle leggi, delle convenzioni, dei diritti e dei doveri del cittadino; dall’altra, ufficiali e funzionari ignoranti, boriosi, disonesti, incapaci». Già da queste parole emerge il carattere forte e ribelle di Amidei che amava ripetere di sentirsi provvisorio come tutti quegli individui che in fondo non hanno le radici piantate profonde nella terra.

Ma, bisogna anche aggiungere, che egli aveva profondamente assorbito e assimilato gli influssi della cultura mitteleuropea. A vent’anni il giovane Sergio va a studiare a Torino dove un amico gli propone la possibilità di guadagnare qualche soldo come comparsa al cinema. Il film s’intitola Maciste all’inferno diretto da Guido Brignone e, dietro il compenso di 40 lire, egli doveva indossare una specie di sottanina di pelo di capra con una coda fatta a molla per interpretare il ruolo del diavolo. Le riprese si svolgevano a novembre e c’era ovviamente da patire il freddo. Ma, nonostante gli inconvenienti, il fascino del cinema contagia subito Amidei che, da anonima comparsa, passa al ruolo di aiuto regista in due altri film di Brignone Maciste il gigante delle Dolomiti e Maciste nella Gabbia dei leoni. Dall’Italia si trasferisce successivamente prima a Berlino dove collabora a Il transatlantico di Gennaro Righelli e poi a Nizza dove fa l’assistente in due film di Alexis Granowsky.

Amidei con Rossellini

In quel periodo, intorno ai primi anni Trenta, gli viene commissionata da Umberto II, principe di Piemonte, una sceneggiatura su Eugenio di Savoia, ma disgraziatamente il progetto non va in porto. Quindi Amidei si guadagna da vivere in maniera davvero curiosa compiendo una tournée nell’Italia centro-meridionale nei cinematografi dove il sonoro non era ancora arrivato.

Le proiezioni vengono infatti accompagnate da un sistema abbastanza complesso basato su dischi cantati, dischi di rumori e dischi di accompagnamento musicale. Anche se non accreditato nei titoli di testa Amidei scrive il soggetto di Don Bosco diretto negli stabilimenti Fert di Torino da Goffredo Alessandrini.

Roma, Mecca del Cinema

Nel 1936 si trasferisce a Roma e compone una storia intitolata Ruote basata sulla costruzione di una camionale che cambia l’esistenza di alcuni autisti di autotreni, ma anche stavolta il progetto sfuma perché il contributo statale per il cinema era stato interamente assorbito per la realizzazione del mastodontico Scipione l’africano. Due anni dopo, per la prima volta, il nome di Amidei compare ufficialmente in un film. Si tratta di Pietro Micca di Aldo Vergano che ricostruisce il sacrificio del coraggioso soldato piemontese. A questo film, che ebbe scarso successo, seguirono tanti altri decisamente di routine. Lo stesso Amidei ha così spiegato le ragioni: «Allora uno faceva quello che trovava da fare. Essere antifascista provocava in tutti quelli che lo erano una specie di soddisfazione nel non fare le cose con passione, con entusiasmo, con amore. Proprio l’impegno civile esulava dalle nostre aspirazioni, perché non pensavamo neppure che il cinema potesse essere un mezzo, sia pure sotterraneo, per far arrivare qualcosa. Niente. Era un po’ di vecchio teatro ungherese rifatto all’italiana, oppure, così, qualche film storico. Il nostro impegno era interno, ma non si trasferiva nel nostro lavoro».

Tra i film che, invece, hanno una dignità artistica vanno ricordati Gelosia e Il cappello del prete, tratti rispettivamente da Luigi Capuana ed Emilio De Marchi, entrambi diretti da Ferdinando M. Poggioli. Le sceneggiature erano di Amidei e Giacomo Debenedetti, ma quest’ultimo, amico di Amidei fin dai tempi dell’università di Torino, non poteva comparire nei titoli di testa a causa delle leggi razziali che colpivano gli ebrei. Finita finalmente la guerra, Sergio Amidei in collaborazione con Alberto Consiglio scrive per Roberto Rossellini il soggetto di Roma città aperta, considerato dagli storici del cinema il capolavoro del neorealismo. Come è noto l’opera ricostruisce, nella Roma occupata dai nazisti, alcune vicende esemplari come l’uccisione di una popolana mentre tenta di raggiungere il camion dove c’è il suo uomo e la fucilazione di Don Pietro, parroco di quartiere, accusato di aver aiutato i partigiani. Nel 1946 lavora ancora con Rossellini per Paisà e collabora alla sceneggiatura di Sciuscià di Vittorio De Sica, altro film fondamentale del neorealismo che racconta la dura vita di due ragazzi che fanno i lustrascarpe e finiscono, ingiustamente, al riformatorio.

Roma città aperta

Successivamente collabora alla sceneggiatura di film celebri come Anni difficili di Luigi Zampa, La macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini e Sotto il sole di Roma di Renato Castellani. Partecipa anche al lavoro preparatorio per Ladri di biciclette di De Sica ma poi, per divergenze ideologiche, preferisce ritirarsi. Nel 1949 Amidei fonda la cosa di produzione Colonna Film e scrive il soggetto a cui si dichiara più legato, Domenica d’agosto, tradotto in immagini da Luciano Emmer. Ancora una volta è interessante riportare un pensiero dell’autore: «Accetto volentieri l’accusa che mi hanno fatto di aver dato la stura con questo film al neorealismo rosa. La verità è che l’unica cosa di cui mi vanto è che con Domenica d’agosto ho fatto una cosa che non aveva mai fatto nessuno: gli episodi intrecciati».
L’opera, infatti, segue un gruppetto di persone, dalla mattina alla sera di una giornata festiva, che si riposano al lido di Ostia.

Sempre per Emmer scrive in seguito Parigi è sempre Parigi, Le ragazze di Piazza di Spagna, Terza liceo, Il bigamo e Il momento più bello. Ma di quegli anni Cinquanta bisogna anche ricordare le sceneggiature di Anni facili per Luigi Zampa, Cronache di poveri amanti per Carlo Lizzani, Stromboli, terra di Dio e Il generale Della Rovere entrambe per Roberto Rossellini. Con quest’ultimo, nei primi anni Sessanta, lavora ancora in Era notte a Roma e Viva l’Italia, mentre del 1962 è Anni ruggenti di Luigi Zampa. Seguono due film sceneggiati per Carlo Lizzani: Il processo di Verona e La vita agra. Il 1966 segna l’inizio di una lunga collaborazione con Alberto Sordi che debutta nella regia con una storia di Amidei dal titolo Fumo di Londra che narra le disavventure londinesi di un antiquario italiano. Dello stesso anno è anche Scusi lei è favorevole o contrario?, satira sul problema del divorzio. Due enormi successi della fine degli anni Sessanta sono Il medico della mutua e Il Prof. Dott. Guido Tersili, primario della clinica Villa Celeste convenzionata con la mutua. Nel decennio successivo Amidei firma sei sceneggiature di film interpretati da Alberto Sordi tra cui emergono Detenuto in attesa di giudizio e Un borghese piccolo piccolo.

Ultimi fuochi

Agli inizi degli anni Ottanta le sue ultime due trasposizioni cinematografiche. Assieme a Marco Ferreri adatta alcuni racconti di Charles Bukovski per Storie di ordinaria follia e con Ettore Scola prepara Il mondo nuovo.

Sergio Amidei muore a Roma il 14 aprile 1981 prima della fine della lavorazione dei due film. Dovendo dare un giudizio critico sull’opera di questo autore triestino non si può non constatare la sua vasta cultura e il gusto di cimentarsi nelle più svariate imprese a cui va aggiunto il grande merito di esser stato tra i promotori del cinema neorealista. Ma, forse, è opportuno lasciare ancora una volta la parola allo stesso Amidei che, modestamente, così si esprime sul suo lavoro: «Sono come quegli artigiani che facevano di tutto. A volte bene, a volte discretamente, a volte benissimo. Dicono che sia un eclettico. Ecco, se ho un merito, è che ho molti interessi».

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