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Arte

Alberto Martini e Dante

La bocca, 1915L’occasione del cinquantenario della scomparsa del pittore trevigiano Alberto Martini, ci regala non solo la possibilità di apprezzare un corpus grafico d’eccezione, ma anche lo spunto valutativo di respiro più ampio, sul giusto ruolo svolto da questo artista riservato ed indipendente ma acutamente capace di precorrere e stabilire alcuni dei più fantasiosi motivi della pittura surrealista europea.
“Alberto Martini e Dante E caddi come l’uom che’l sonno piglia”, è la mostra ospitata nelle sale di Palazzo Foscolo, sede della Pinacoteca Civica Alberto Martini ad Oderzo, (Treviso), dal 30 ottobre 2004 al primo maggio 2005, a cura della dott.ssa Paola Bonifacio, direttrice della pinacoteca.
L’opera presentata segue un preciso filo conduttore, l’illustrazione grafica della Divina Commedia dantesca, poema amato da Martini e tradotto in immagini lungo tutta la sua carriera in tre distinti cicli.

Figlio d’arte, Alberto nasce nel novembre del 1876 ad Oderzo da Maria Spineda de Cattaneis, di antica famiglia nobiliare trevigiana e da Giorgio Martini, pittore naturalista e professore di disegno, suo primo maestro negl’anni giovanili della formazione, 1890-95, in cui palesa una genuina inclinazione per l’attività grafica.
Dal 1895 le prime opere significative, la cui bizzarria del tema ben incontra la sua inventiva, sono i disegni a penna in inchiostro di china che danno volto al Morgante Maggiore di Luigi Pulci e La secchia rapita, di Alessandro Tassoni, questi ultimi poi verranno acquistati dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Ventunenne espone alla seconda Biennale di Venezia, 1897, i 14 disegni de La corte dei miracoli, l’anno successivo presentati a Monaco e all’Esposizione Internazionale di Torino.
Importante fu il soggiorno a Monaco nel 1898 dove lavorando come illustratore per le riviste “Decorative Kunst” e “Jugend” viene a contatto con l’eleganza del segno liberty e con la grande tradizione grafica che dalle moderne Secessioni d’Oltralpe risale fino a Durer e Luca di Leida, maestri antichi di riferimento per Martini.
Nello stesso anno avviene a Torino il fondamentale incontro con Vittorio Pica, letterato e critico napoletano che da allora segue, difende e ama l’arte di Martini, dichiarando sempre il valore del suo estroverso talento, in Italia come all’estero: “Il solo che dal 1905 seppe e volle leggere ogni pagina, fu il mio grande critico e storico dell’arte moderna, Vittorio Pica. Così conobbe tutta la mia opera e la seguì con gelosia quasi quotidianamente e guai a chi mi toccava!” Scrive Martini alla fine degli anni Trenta.

Brunetto Latini profetizza l'esilio di Dante (Inferno, XV), 1901Uniti da una forte amicizia e stima reciproca, i passi più importanti della carriera del trevigiano si legano al nome di Pica, che fu direttore della Biennale di Venezia fino al 1928, fondamentale vetrina internazionale alla quale Martini partecipa con costanza per quattordici edizioni consecutive.
È proprio per intercessione del critico napoletano che Martini ottiene la commissione dei disegni  per partecipare fuori concorso all’ illustrazione della Divina Commedia, selezione indetta da Vittorio Alinari, noto editore fiorentino.
Una parte di questi disegni e degli studi preparatori compongono la sostanza principale dell’esposizione opitergina, comprendendo il confronto con i lavori per la stessa prova eseguiti da altri maestri contemporanei, Chini, Zardo, Cambellotti, Spadini, Labella, Macchiati e Valeri; ci si trova così trasportati entro una sorta di “girone” creato dal bianco e nero dei molti bellissimi disegni con i quali ognuno di questi artisti ha saputo dare una peculiare interpretazione dell’universo dantesco.

Le scelte espositive stesse ricalcano la trascendenza del viaggio del sommo poeta nella successione delle sale buie, in cui i singoli episodi raccontati e tradotti in immagini, traggono una luce contenuta e concentrata sulle singole tavole.
Ciò che caratterizza l’attività artistica di Martini è la dedizione all’illustrazione del testo di letteratura, passione che con risolutezza informò tutta la sua operosità facendone una personalità di spicco della grafica a tema letterario.
Da Poe a Mallarmé, da Verlaine a Shakespeare, solo per citare alcuni dei poeti e scrittori, insieme a Dante, profondamente amati, a cui attinse ispirazione il suo spirito, ugualmente propenso all’immaginazione più penetrante ed intensa, quella del sogno e del simbolo: “ La mia vita è un sogno ad occhi aperti, né credo di essere il primo ad affermare che la vita è un sogno, e il sonno un sogno ad occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà”.

Martini di personalità riservata e schiva, non volle per scelta appartenere mai a nessun gruppo, a nessuna etichetta, nonostante il conseguente rischio di isolamento da parte di colleghi e critici.
La sua opera, portata avanti con coraggio e coerenza non aderisce alle tendenza pittoriche che intanto nascevano e gravitavano attorno ai maggiori centri europei, mantenendo l’attività di illustratore come la vocazione di una vita.
Contrastato fu il rapporto con Margherita Sarfatti, dopo un’iniziale comprensione, Martini manifesta il proprio dissenso nei confronti della tutrice del Novecento e del suo gruppo di pittori, del quale si rifiuta di far parte nonostante raccogliesse tutti i più validi autori italiani.
Ritiratosi presto ad una vita tranquilla nella campagna trevigiana, fece della casetta di S. Zeno un nido in cui far muovere intimamente la propria fantasia; non accoglie nessun prestigioso invito, che dall’America alla Russia nel frattempo arrivavano come riconoscimento del suo successo, mentre le sue opere si muovono trovando estimatori in molte città europee.
Nel 1912 Pica lo incoraggia all’uso del colore nella produzione pittorica, che troverà nelle morbidezze del pastello la tecnica preferita; nello stesso anno inizia la famosa serie delle “donne-farfalla”.
Nel 1916 importanti esposizioni a Londra e Liverpool.
Al 1923 risale una delle idee più creative e originali di Martini, il progetto del Tetiteatro, un teatro, dedicato a Teti, dea del mare, che amplia i normali elementi scenografici solidi e fissi, introducendo la suggestione dell’elemento acqua come base della dinamica recitativa.
Ponti, scogli, attracchi, una piccola fetta di un mondo irreale dove le suggestioni abbaglianti dei riflessi acquatici, dei suoni del tuffo, si fondono con le musiche e i gesti dei teatranti:  “Un architettonico teatro terraqueo, uno strumento gigante per le risonanze di una nuova voce e per nuove plastiche teatrali (…), può essere praticabile e luminoso, solido, liquido, igneo, elettrico, ma deve essere disegnato da un artista, non dal compasso”.

Il bacio, 1915Correlata dalla stesura di un manifesto teorico, l’audace proposta non riesce a trovare una concreta realizzazione per il forte impegno economico e strutturale che richiede, ma l’idea ha l’opportunità di farsi conoscere tramite una nutrita serie di disegni, i più interessanti presenti in mostra, per scenografie ispirate ad opere teatrali e musicali di Wagner, Strass, Eschilo, Wilde ed altri, raccolti e pubblicati nel 1924 nel volume Il Tetiteatro ovvero il teatro sull’acqua di Alberto Martini.
Nel 1928 quasi fugge dall’Italia per soggiornare a Parigi fino al 1934, amareggiato per l’incomprensione da parte di artisti e critici.
Il più aperto clima parigino, in cui i termini complementari di “sogno e realtà” avevano già trovato una legittimazione artistica con il Manifesto del Surrealismo scritto e firmato da André Breton, rappresenta in una sorta di forzato esilio, l’ossigeno necessario per proseguire la propria poetica, senza comunque aderire con convinzione ai richiami del gruppo surrealista militante nella capitale francese.
Trova una situazione favorevole e ispirata nel quartiere di artisti a Montparnasse, dando vita ad un ciclo pittorico detto “alla maniera nera”, di un cupo surrealismo, che in seguito lascerà il posto alla variante stilistica della “maniera chiara”.
Nel 1934 torna a Milano a causa delle ristrettezze finanziarie.
La passione che lega Martini all’inestimabile poema del viaggio ultraterreno è provata dalla quasi ininterrotta elaborazione grafica degli episodi danteschi, ripresi dopo il 1901, tra il 1922 e il 1944, a comporre una summa di ben 297 opere; i tre momenti sono ben rappresentati in mostra da una significativa quantità di opere provenienti da collezioni private.

Per la difficoltà di rintracciare le versioni Alinari, le opere originali del concorso, corredate dei disegni preparatori in matita, costituiscono un’occasione preziosa per una visione diretta del suo stile giovanile e della sua evoluzione che mantiene il riconoscimento della stessa mano dotata di stupefacente abilita tecnica, sicura, quasi puntigliosa, tanto da riuscire difficile credere  all’andamento netto di quelle linee come frutto di disegno a penna e non di incisione a bulino.
Significativa la sua definizione della penna come “bisturi dell’arte”. La sua cultura figurativa, germogliata nello stile a contatto della scia secessionista e Liberty, nulla lascia al caso nella cura puntigliosa dei particolari linearistici e nelle sapienti sfumature capaci di fare del bianco e nero un mezzo espressivo di impatto descrittivo senza pari.
D’altronde nell’attraversamento da un mondo prima ctonio e poi celeste, prima di buio e poi di estrema luce, forse proprio il nero ed il bianco sanno restituire le ambientazioni ed emozioni estreme della tragica avventura dantesca.
L’eredità spiccatamente simbolista e lo spirito naturalmente portato alla poesia del fantastico permettono a Martini di tradurre non letteralmente il poema ma di trascriverlo visivamente vivificandolo secondo i suggerimenti formali dei linguaggi artistici contemporanei, fino a poter leggere nelle composizioni posteriori al 1901, delle allusioni avanguardistiche; come in L’acqua che io prendo già… (Paradiso II), 1937, dal sapore futurista nell’astrazione geometrica dettata da spicchi di luce, così come la spinta ascensionale della sintetica linea di Beatrice, (Paradiso XXII), 1922,  richiama la forma di un moderno congegno “aerodinamico”.

Forese (Purgatorio, XXIV), 1922Nel Forese, (Purgatorio XXIV), 1922, coglie l’opportunità, non senza ironia, di autoritrarsi romanticamente come uno scheletro dall’elegante e costruita posa dandy; la nervosa resa anatomica ha il carattere di un grafismo nordico consapevole della Secessione viennese.
Martini, concordemente considerato uno dei più sinceri surrealisti italiani, pur provenendo dall’ampio terreno simbolista, comune a tanti artisti del periodo, nel raffronto tra date e risultati stilistici delle opere,  da prova di potersi presentare come un anticipatore del linguaggio surrealista stesso; in particolare nelle evanescenti sfumature litografiche de Il bacio e La bocca, 1915, dal ciclo de I sei misteri, 1914-1915, dove al simbolo viene aggiunto quello sfuggevole richiamo alla realtà proprio dell’immaginario surreale.
Protosurrealista è Il serpente, un pastello su cartone del 1916, che con essenzialità raffigura un serpente in primo piano che esce da una comune scatola sullo sfondo neutro di un cielo azzurro; un avvenimento banale e anomalo insieme, secondo quel gioco “destabilizzante” poi tanto caro a Magritte.
L’esposizione si chiude con alcune opere pittoriche, ritratti muliebri dai modi preraffaeliti, ed altre tele di un vivace astrattismo orfico; si comprende subito quanto la raffinatezza e la suggestione di Martini si esprima al meglio con il bianco e nero del disegno.
La finestra di psiche nella casa del poeta, 1952, disegno a penna in inchiostro di china con colori a pastello, esposto alla XXVI Biennale di Venezia, ha il valore compendiàrio di un testamento poetico; due anni dopo esegue 29 illustrazioni per il Pinocchio di Collodi, l’8 novembre di quel 1954 si spegnerà a Milano.
Si realizzerà nella città natale Oderzo, il suo desiderio di istituire un museo in cui conservare e far conoscere le testimonianze spirituali ed artistiche del surrealismo italiano.

Si ringrazia Elisa Perillo per la gentile collaborazione.

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