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Omnia

Sic e(s)t simpliciter

Non abbiamo tanto bisogno dell’aiuto degli altri,
quanto della certezza del loro aiuto.
(Epicuro)

Immagine editoriale Fucine MuteC’era da aspettarselo. Non tanto a causa di quel 40% di italiani che “fisiologicamente” si astengono dal presentarsi alle urne in occasione di consultazioni referendarie, quanto per il fatto che i temi sui quali i cittadini erano chiamati a prender parola erano, e tuttora oggettivamente rimangono, delicati e piuttosto complessi da comprendere in tutte le loro implicazioni e molteplici risvolti. Sicuramente anche certo malvezzo tutto italiano di politicizzare i “sì” di una parte, contrapponendoli, nel teatrino delle dichiarazioni sussurrate o delle agnizioni sbandierate, ai “no” dell’altra, o l’intervento di una Chiesa cattolica fastidiosamente fondamentalista – come solo certo protestantesimo americano più estremista ha saputo essere in forme ancor peggiori – sono fattori che non hanno certamente giocato a favore.
È probabile, insomma, che più di qualcuno tra quelli che alimentano le fila dei “non sa, non risponde” abbia ritenuto che anche quello del referendum sia stato luogo di scontro tra i diversi attori di una politica sentita come rappresentazione sempre più distante dai problemi più realmente sentiti in quanto tali, che affliggono questa nostra Italia in fase di concalmata recessione (un portafogli vuoto, destinato all’acquisto del nulla, pesa in tal senso più di 30.000 embrioni prodotti in sovrannumero e destinabili alla ricerca scientifica).

Non sono invece particolarmente convinto sul fatto che un elemento effettivamente causale di quello sconsolato 26% di esito finale sia stato lo scarso interesse mediatico dedicato ai temi oggetto del referendum da parte delle emittenti televisive in primis e dalla Stampa tutta in secundis. Chi andasse proclamando rancoroso che l’istituzione referendaria sia stata boicottata o colpita al quorum da un tal Flavio Cattaneo o da qualche milione di SMS cui sia stata negata fecondazione assistita di altrettanti telefoni cellulari pronti ad accoglierli in grembo, chi questo asserisse nel tentativo di trovare capi d’imputazione o capri espiatori che dir si voglia, commetterebbe, a mio avviso, un errore madornale. Uno di quelli da miopia politica, antropologica e massmediologica nei quali neanche un Roberto Calderoli sarebbe capace di prodursi.

Di fatto la realtà è altra da quella su cui qualcuno adesso vorrebbe ripiegare recriminatore. La realtà è che l’essere umano rifugge da tutto ciò che risulta a lui distante, alieno, cosa altra da sé. Da tutto ciò che non gli si configuri in ultima analisi come cosa buona e giusta in quanto semplice ed immediata. Così incede la natura nelle evoluzioni del suo ancestrale manifestarsi: ottenendo sempre il massimo del risultato al costo del minimo sforzo necessario per creare una condizione di equilibrio stabile.

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I modelli matematici che descrivono le forze dell’universo – da quelle più semplici (la tensione superficiale dell’acqua in stato di quiete inerziale) a quelle più complesse ed oscure (interazioni subatomiche di tipo quantistico) – sono in fin dei conti astrazioni del pensiero logico che trovano naturale collocazione nella sfera di una semplicità talvolta disarmante nella sua ieratica bellezza, simmetria e ponderazione di fidiana memoria (sarà mica un caso che il segno della croce – il chiasmo, per l’appunto – sia quello in cui si riconoscono miliardi di persone in tutto il mondo ed altresì quello con cui si siglano le schede elettorali o grazie al quale si rappresenta la propria firma, quanto già l’apporla per esteso diviene operazione troppo complessa?).

Insomma F=ma scrisse Isaac Newton nella seconda metà del diciassettesimo secolo ed E=mc2 gli rispose Albert Einstein quasi tre secoli dopo, nella prima metà del ventesimo. Sono due equazioni terrifiche nella loro semplicità, bellezza e potenza. Capaci, come sono, di descrivere in modo veramente completo le caratteristiche della materia, sia essa quella infinitamente grande, della quale poter prevedere l’evoluzione spazio-temporale (ecco il potere: la previsione deterministica, prodromica di un futuro infine controllabile), sia essa quella infinitamente piccola, dalla quale poter estrarre energie direttamente proporzionate a masse.
Forza, accelerazione, energia, massa e tempo – concetti che sono stati humus fertile di speculazione filosofica dai tempi dei Presocratici – e che divengono così intrinsecamente interconnessi e ponderati in un rapporto di equivalenza tanto semplice e stringente quanto può esserlo la scrittura di una manciata di simboli (altro segno di potere: attribuire un nome alle cose, scriverlo e fissarlo in secolari ed indelebili memorie).

Vorrei ingenuamente poter credere che in tal modo abbiano agito anche tutti quegli italiani che hanno determinato, con la loro astensione dal voto, l’inefficacia di questo ultimo referendum. Che essi abbiano insomma preso le distanze da tutti questi termini – amniocentesi, clonazione, crioconservazione, ootide, zigote, icsi, gamete, staminale – i quali devono esser sembrati loro ancor più sfuggenti ed impenetrabili di quanto quegli altri suesposti possano esser risultati tali a quanti hanno preceduto Galileo Galilei nella rivoluzione scientifica da egli attuata. Cose aliene, cose dell’altro mondo e delle quali diffidare fin da subito, per partito preso (attenzione: “p” minuscola) e a prescindere da qualsivoglia concessione euristica o successiva speculazione gnoseologica.

Immagine editoriale Fucine MuteVorrei poterlo pensare, e ritenere quindi che si sia trattato della naturale predisposizione di tutti gli esseri umani a dar tempo al tempo, per vincere l’horror vacui che, ad esempio, gli antichi Greci esperirono per la prima volta nel sesto secolo avanti Cristo, quando i concetti di zero ed infinito, su cui si sarebbe fondata la rivoluzione algebrica di matrice araba o quella dell’analisi matematica operata da Newton e Leibniz, erano ancor ben lontani dal giungere ed ancor più distanti dall’essere assimilati.
Più di mille anni per definire lo statuto ontologico di un nihil fattosi significante (corpo) e significato (anima); quasi duemila e quattrocento anni per conquistare la teoria dei transfiniti di Cantor, i dualismi materici di Schroedinger, gli indeterminismi quantistici di Heisenberg e le indecidibilità di Gödel… e poi vogliamo che questo nostro popolo di giovani (altissime le percentuali di loro astensione) cresciuti a suon di Centovetrine, Beautiful e Grandi Fratelli sia capace di decidere le sorti di una ricerca scientifica che indaghi sui principi più intimamente connessi allo stesso mistero della vita? Vogliamo mettere il mistero e la bellezza della vita con le fascinazioni intellettualistico-teoretiche del numero zero o del simbolo d’infinito, che non servono ad alcunché (nessuno sponsor a pagare programmi televisivi), né dilettano in alcun modo (molti studenti a pagare il costo delle ripetizioni di matematica)? Non c’è confronto: quando ne avrò uno anch’io (sempre che io non sia sterile come il 20% delle coppie italiane, sempre che in tal caso io possa permettermi di sostenere le spese necessarie per una fecondazione in vitro) lo sguardo di mio figlio, o il suo respiro quando dorme, mi appariranno infinite volte più belli dell’ipotesi di Riemann (l’ultimo, vero e definitivo problema matematico ancora irrisolto) e di tutti i tentativi di sua dimostrazione o confutazione finora disattesi.

Immagine editoriale Fucine MuteLa verità è che se così pensassi allora non farei altro che figurare ancor più ingenuo di chi ha trascinato in un’aula di Tribunale il direttore generale della benemerita mamma RAI (ma come si può infierire su un uomo con una faccia così pulita e pudica?) o di quant’altri si siano accaniti contro un altro curiale volto, certamente meno fanciullescamente pacioccone, sia di quello sopra esposto, sia di quello di chi esposto gli sta sopra.

Se proprio volessimo decostruire l’immagine di un uomo, che sia quindi ridotto ai suoi minimi termini organicistici, al fine di poterne descrivere il comportamento sociale attraverso un apposito modello matematico (lo si faceva negli anni sessanta con gli automi cellulari – niente a che vedere con SMS, Wap e Ringtones), allora dovremmo prender coscienza di un’altra caratteristica fondamentale della nostra specie: l’egoismo. Quando l’uomo è ridotto (come un numero naturale scomposto nei suoi fattori primi, come un’equazione stechiometrica bilanciata) a puro essere animale (anima+male) e si ritrova costretto nei vincoli cui lo spinge il rapporto dicotomico tra vita e morte, dovendo gioco forza combattere per conquistarsi la prima e fronteggiare l’incedere della seconda, cosa rimane, in questo stadio di puro e semplice primitivismo, se non un corpo con le sue pulsioni sessuali, con i suoi appetiti viscerali ed i suoi desideri di supremazia, possesso e sopraffazione (mors tua, vita mea) che è la definizione dell’egoismo assurto a quintessenza di se stesso?
Quando fosse venuto meno anche il nostro bisogno della certezza che altri possano aiutarci – così è stato per Jean Amery, intellettuale ad Auschwitz, e per tanti altri come lui sopraffatti, violentati e due volte uccisi – cosa resterebbe in noi se non una lontana parvenza di umanità che così magistralmente José Saramago è stato capace di descrivere nel suo capolavoro intitolato “Cecità”?
Saremmo soli e ciechi, per l’appunto, al cospetto delle nostre stesse ombre (o di bagliori tanto luminosi quanto assai poco illuminanti).

Immagine editoriale Fucine MuteDevono aver pensato, tutti quei milioni di giovanotti prestanti e signorine imbellettate che hanno preferito andare al mare piuttosto che recarsi alle urne, che le istanze poste in essere nei quattro quesiti referendari siano state insussistenti ab origine. Certamente preoccupati in caso di gravidanze non desiderate (quelle giammai messe in discussione: maschi gli uni, pieni di bei spermini operosi, e femmine le altre, ingravidabili ogni nove mesi) e quindi pronti entrambi a tutelare gli interessi dettati dal proprio egoismo – prima io e la mia vita, poi quella degli altri, fossero anche, questi aliquis, i miei figli naturali -, meno preoccupati hanno dimostrato d’essere in merito alle eventualità che un domani essi stessi possano ritrovarsi nelle condizioni cui versano oggi quelle coppie sterili alle quali la Legge 40/2004 nega la possibilità di avere figli, o quella possibilità la concede al costo di danni alla salute della donna o di altrettanto costosi ripieghi alternativi alle condizioni da essa poste in essere.

Interessante notare anche la sequela di contraddizioni cui sono incappati i fautori del “no” quando costoro hanno asserito, in pieno contrasto a numerosi principi affermati nel nostro ordinamento, che la vita umana – non solo biologica ma anche personale – coincide con il DNA e viene pertanto fatta iniziare nella fase di formazione del genoma individuale, cioè all’atto della fecondazione. Di fatto, nel corso di questo nostro ultimo decennio, tra biologi molecolari e storici della disciplina è definitivamente entrata in crisi l’idea che la vita coincida con l’informazione genetica contenuta nel DNA. Che non coincide con essa, né di essa contiene tutte le informazioni necessarie per la costruzione di un organismo.

La “reductio ad absurdum” della quale si sono avvalsi i fautori del “no” – che significa “no, giù le mani, non si deve” – nasce proprio da questo assunto: un individuo maturo deriva, nella sua sostanziazione fisica e spirituale, da un aggregato di cellule che si costituisce per blastocisti dopo avvenuta fusione delle membrane dell’ovulo e dello spermatozoo (singamia). Nei periodi immediatamente successivi a questa fase lo zigote si divide per segmentazione in blastomeri, cellule indifferenziate e totipotenti: ciascuna di esse ha in potenza la possibilità di dar luogo ad un nuovo individuo, ad un organo o a un tessuto. Ciascuna di esse può insomma esprimere il programma genetico completo di un individuo umano o può invece dar luogo allo sviluppo di particolari tessuti, il che significa che in esse non è ancora univocamente ed esclusivamente iscritto il piano costruttivo di un embrione.

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Scrive a tal proposito il bioeticista cattolico Evandro Agazzi: “Questi dati mostrano che mentre l’identità genetica è stabilita fin dalla fecondazione dell’ovulo, essa non è sufficiente per garantire un’identità individuale (i gemelli monozigoti hanno il medesimo patrimonio genetico, ma sono distinti). In altre parole se io ho un fratello gemello monozigote, non posso regredire ed affermare idealmente quello ero io fino alla fase dello zigote. Pertanto appare ben fondato sostenere che almeno fino al sesto giorno dopo la fecondazione, mentre d’identità genetica è fissata, quella individuale non lo è ancora: si è in presenza di materiale biologico di tipo umano, ma non ancora di individui nel senso pieno. In quella fase iniziale si possono considerare, con criteri meno restrittivi di quelli previsti dalla Legge 40/2004, le pratiche di procreazione assistita, la possibilità di crioconservare questi pre-embrioni, di sottoporli a esame selettivo pre-impianto, di utilizzarli anche a fini di ricerca scientifica”.

Vorrei a mia volta portare un esempio di retroazione involutiva che ha una qualche efficacia nel descrivere analoghi paradossi cui s’incorre quando, con una certa leggerezza, si discetta – in punta di codice, sia esso civile, etico, morale, religioso – sulla vita e sulle sue origini. C’è stato un tempo, collocato circa quattordici miliardi di anni fa, in cui tutta la materia di quello che sarebbe di lì a breve divenuto il nostro universo in rapida espansione, era concentrata in un punto infinitamente piccolo ed infinitamente denso. Un sorta di unità monadica rappresentativa del puro logos in cui le leggi della Fisica, così come ora ci sono note, collidevano tutte in alquanto strane “singolarità”. In un tempo infinitesimamente piccolo dopo questo istante zero esse avrebbero inziato a “funzionare” con propria coerenza logica, sarebbero state cioè capaci di descrivere deterministicamente ciò che stava accadendo in rapida sequenza… Ma in quell’istante preciso, che postuliamo esser gioco forza esistito, non esistevano né regole né giochi cui la vita, quella che noi ora conosciamo col famoso senno di poi, avrebbe potuto prender parte.

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Rapido flashback (non è un caso che mi avvalga di questo artificio cinematografico… sto pensando tutto il tempo a “2001: A Space Odyssey” ed al viaggio – dopo quello, non ce ne furono altri – di Bowman). Ritorniamo ai nostri giorni e al nostro bel pianeta Terra. Con le sue piane verdeggianti e catene montuose, con i suoi golfi marini e steppe sconfinate, con i suoi aridi deserti e foreste pluviali. E con tutti gli esseri viventi che ne percorrono distanze per mare, cielo e terra. Stiamo descrivendo il luogo in cui la vita si manifesta, un luogo che, negli intenti se non altro, cerchiamo di proteggere attraverso l’applicazione di politiche di tutela ambientale, attraverso l’ottimizzazione e la razionalizzazione nella gestione delle risorse che esso mette a disposizione, anche attraverso nostre leggi e comportamenti che siano posti a difesa del suo patrimonio vitale. Abbiamo insomma conferito al nostro bel pianeta una sua propria personalità giuridica: la natura possiede dei diritti che sono alienabili  solo al costo di morirne noi stessi assieme a lei.

Ora io mi domando: se ci fosse data possibilità di intervenire in tal senso e se potessimo creare altri universi a partire da altrettanti big bang, agiremmo in questo stesso modo, assegnando le suesposte immanenze giuridiche anche a quegli istanti zero da cui tutto è nato e da cui tutto potrebbe continuare a rinnovarsi in processi di vita sempre rigenerabili? Sentiremmo la necessità di tutelare la purezza chimica di bacini fluviali o delle acque di mari, o l’inalterabilità del loro livello di emersione sulle terre, direttamente connessa alla stabilità della temperatura planetaria? Lo faremmo in un contesto in cui l’acqua di tutti i mari, il fuoco di tutte le terre e l’aria di tutti i cieli (buco dell’ozono compreso) fossero racchiusi e costretti in un unico punto indifferenziato? Perché se anche quel punto è un universo da tutelare a livello giuridico allora mi verrebbe voglia di dire a qualcuno di andarci a vivere seduta stante, in bella compagnia di un tutto… lì a portata di mano, godendo della quintessenza della vita stessa, in tutte le sue manifestazioni potenziali e variegate forme.
Mi verrebbe voglia di fargli fare un bel viaggetto nell’iperspazio, per togliermelo di torno, affinché egli – contento, beato e pasciuto – prenda sua sponte lo spazio per lasciarne altro a me stesso e a chi mi circonda.

Immagine editoriale Fucine MuteA proposito di personalità giuridica: il nostro codice civile stabilisce che la capacità giuridica – cioè l’idoneità ad essere titolari di diritti e di obblighi – si acquisisce soltanto con la nascita. E non mi risulta che un embrione “nasca”, altrimenti noi, che da quell’embrione deriviamo, nasceremmo due volte (e romperemmo la terribile simmetria del nostro chiasmo: se si muore fisicamente una sola volta allora una sola volta si nasce). Si stabilisce inoltre che il criterio per determinare la fine della vita umana – tanto nel nostro ordinamento, quanto in quello degli altri Paesi occidentali – sia la morte cerebrale, cioè la cessazione delle funzioni del sistema nervoso centrale. Anche in questo caso: l’embrione allo stadio di sviluppo nel quale viene utilizzato per la fecondazione assistita e la ricerca (entro i primi 14 giorni) non ha ancora alcuna traccia di un sistema nervoso centrale.
La legge 194/1978 consente l’interruzione di gravidanza fino al terzo mese di vita fetale: oggi in Italia ha più diritti l’ovulo appena fecondato in provetta (ancora privo dell’unico contesto in cui può svilupparsi: l’utero materno) di un feto a stadi ben più avanzati di sviluppo. Qualche giorno fa è stata pubblicata sulla prima pagina de “Il Corriere della Sera” una simpatica vignetta: in un ufficio elettorale entra una donna con una provetta in mano e dichiara agli esterefatti astanti: “Per favore otto schede. Quattro per me e quattro per l’embrione”.
Parimenti: la nostra legge consente l’uso della spirale e della “pillola del giorno dopo”, che impediscono all’ovulo già fecondato di impiantarsi nell’utero e ne provocano l’espulsione. Tutto ciò è palesemente in contrasto con l’idea che l’ovulo appena fecondato abbia già un diritto alla vita. Poiché questa norma inserita dalla Legge 40/2004 non è stata cancellata dal referendum, anche la contraccezione rischia oggi di diventare oggetto di proibizioni legislative nel nostro Paese. Così come l’interruzione stessa di gravidanza.

Del resto il concetto in sé di una interruzione di gravidanza è, guarda caso, ben più semplice e quindi maggiormente recepibile di quello della genesi stessa della vita. Tanto vero quanto vero il fatto sia più semplice intervenire su ciò che già esiste (il pianeta Terra e le sue proprietà fisiche, chimiche, ecc.), piuttosto che comprendere i meccanismi che determinano, attinta dal vacuum in cui si trova, la creazione di ciò che non possiede ancora alcuno statuto ontologico (la teoria del big bang è ancora per molti versi controversa, come quelle sui buchi neri ad essa connesse). Tutto ciò ad ulteriore conferma, rispetto alle ipotesi suesposte, del perché il referendum sull’aborto abbia avuto, in tempi passati ed ancor più “bigotti” di quelli odierni, un successo ben altro da quello decretato dal nostro non voto sulla procreazione medicalmente assistita. La pratica dell’aborto è peraltro sempre esistita, da quando mondo è mondo. Di essa sono sempre state conosciute le regole procedurali e la sua attuazione è sempre avvenuta, in un modo o nell’altro, e pur nell’illegalità di un esercizio precedente (per quanto riguarda la situazione nel nostro Paese) alla data del 17 maggio del 1981.

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“Nati non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, scrisse il sommo poeta mettendo nella bocca dell’astuto Ulisse ben più di un semplice manifesto degli uomini di mare, ma quasi un simbolico motto di tutti gli uomini di fede e di coraggio. Peccato che Dante abbia infine collocato nell’Inferno il figlio di Laèrte. Reo di aver osato sfidare gli Dei oltrepassanto le Colonne d’Ercole, attuando un’etica, quella del viandante, che non disponendo di mappe, affronta la difficoltà del percorso di volta in volta, a seconda di come esse si presentano, come avviene del resto per lo scienziato e il ricercatore che dovrebbero operare al di fuori di principi etici immutabili, soppesando ogni variabile ed evitando la scorciatoia delle facili certezze, delle convenienze che impigriscono. La “saggezza” che era prerogativa di Ulisse e che anche Aristotele erge a principio regolativo della prassi, è l’unica via di uscita quando non disponiamo di una norma o vogliamo superare la norma stessa. È questa capacità di giocare, con i propri sensi, come fanno i bambini quando esplorano il mondo, unita alla saggezza di chi sa addomesticare la realtà e le sue variabili, la miscela che avrebbe potuto permetterci di praticare un nuovo, affascinante, nomadismo culturale. Un nomadismo che non si appelli più alle certezze del territorio e nel territorio alla proprietà, al confine e alla legge, ma che esplori l’inconoscibile, regalandoci la capacità di fare i conti con la differenza, interpretandone ogni varianza.

Vorrei tanto che qualcuno di quelli che hanno fatto spallucce o qualcuno di quegli altri che hanno indotto ad agire in tal modo, i motivi della sua scelta astensionistica andasse a riferirli direttamente a Luca Coscioni, colpito da sclerosi laterale amiotrofica, principale promotore insieme ai Radicali Italiani della campagna referendaria per l’abrogazione della Legge 40/2004 e tra i principali promotori dei quattro referendum parziali per la fecondazione assistita e la libertà di ricerca.

A proposito di José Saramago (ma tu guarda il destino): è il presidente onorario dell’associazione Luca Coscioni, intorno alla quale si riuniscono dal 2002, anno di sua costituzione, migliaia di malati, medici, ricercatori e cittadini, con l’obiettivo di promuovere la libertà di ricerca scientifica e di cura. Tutta gente che ha deciso di non voler più essere cieca, tanto meno al cospetto di certi oscurantismi liberticidi di stampo religioso che nella storia dell’umanità hanno più volte negato libertà e diritti fondamentali, e che da pochi giorni hanno altresì ucciso lo Stato italiano nella sua componente laica più vera e civicamente consapevole.

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