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Cinema

La vita di un cortometraggio (II)

Immagine articolo Fucine MutePrima di incominciare a raccontare i passaggi successivi che hanno permesso la costruzione e realizzazione del mio cortometraggio Si prega di spegnere i cellulari vorrei partire riportando alcuni pensieri che mi hanno ossessionato in questo periodo riguardo il mio lavoro e il cinema più in generale.

Dopo essermi trovato a dirigere una scena dietro una macchina da presa ho scoperto con mio grande orrore di aver sottovalutato tremendamente il senso della narrazione e il valore del tempo filmico. Recentemente leggendo su un libro di critica cinematografica un dialogo tra Jean Luc Godard e Win Wenders mi sono reso conto di come la durata dell’immagine fittizia non può mai in ogni caso coincidere con quella reale, neanche nel caso dell’utilizzo di un piano sequenza. Il discorso che i due immensi cineasti facevano riguardava il potenziale di un’immagine riprodotta, che, filmata e mostrata ad un pubblico, non potrà mai essere comparabile al valore della stessa immagine reale. La posizione che acquisisce un’immagine o una sequenza fissata sul fotogramma si allontana molto da un preciso percorso temporale, legandosi invece a reazioni mentali basate sulle sensazioni di ricordo e memoria e molto spesso approcciandosi all’emotività dello spettatore in modo subliminale. Cinque secondi nella mente di una persona possono diventare cinque minuti, perché la mente lega la visione ad una propria prospettiva soggettiva ormai distaccata dalla rappresentazione oggettiva invece proposta. La lezione che Rossellini e De Sica ci hanno dato con il neorealismo sta proprio in questo: non esiste un tempo per mostrare le cose, ma il tempo, l’unico che può essere indicato come quello giusto. Il problema è trovare il proprio equilibrio registico per crearlo questo tempo giusto. Bresson, Ozu, lo stesso Wenders hanno lavorato così tanto sul ritmo narrativo da renderlo il loro marchio di fabbrica, ciò che permette ad un appassionato anche solo attraverso una sequenza di riconoscere il loro stile.

Ho fatto questa breve divagazione perché io uno stile ed una concezione chiara e nitida del tempo giusto ancora non l’ho, ma voglio trovarlo e costruirlo intorno alle mie idee e alla mia sensibilità; al di là delle basi e dei principi narrativi da acquisire e rispettare voglio andare alla ricerca del mio tempo.Trovare il proprio tempo narrativo equivale a trovare il proprio equilibrio. Nella vita di tutti i giorni, ognuno ha i propri ritmi, ognuno è diverso dall’altro esattamente come nel cinema; non vorrei finire per risultare troppo retorico o semplicistico ma forse è dalle basi e dalle cose semplici che si deve partire per costruirsi un proprio stile. La Nouvelle Vague ci ha permesso di capire che il tempo filmico è forse la cosa più soggettiva che un regista possa costruire; i movimenti di machina, la recitazione e la fotografia sono tutte mediate da altre persone, solo il ritmo che uno decide di dare alla propria opera la rende veramente PROPRIA. Nel mio cortometraggio, che spero possa trovare le giuste vetrine per un adeguato confronto con il pubblico, ho sottovalutato molto quest’aspetto. Io sono un giovane alle prime armi e sto cercando di approcciarmi all’arte cinematografica nel modo più graduale possibile. Con graduale intendo metodico se non maturazionale, senza trascurare alcun ambito. In Si prega di spegnere i cellulari ho iniziato la mia ricerca dall’immagine buia, il punto di partenza per un regista, come la tela bianca e candida di un pittore, ho inserire poi la luce, il primo effetto possibile, ho creato il primo contrasto con la luce che si intravede soltanto e che appare gradualmente con l’apertura di una porta. Ho costruito l’immagine del personaggio allo stesso modo, scoprendolo pezzo per pezzo, dissezionandolo anatomicamente, presentando prima la parte del corpo meno rilevante per la storia che volevo raccontare (le gambe) fino a generare la sua essenza vitale, mostrandone prima il volto e poi lentamente scoprendo definitivamente il resto del corpo e la sua sostanza. Ho fatto lo stesso con il suono, prima ho girato pensando ad un immagine muta, poi utilizzo solo il rumore fuori campo, lavorando successivamente con la voce fuori campo, la musica off e infine la voce off. L’unico mezzo che non mi sentivo ancora in grado di valorizzare come avrei voluto è stata la voce in, che però, per ciò che volevo trasmettere attraverso questo cortometraggio, non era fondamentale.

Nel nuovo lavoro che sto preparando il percorso di costruzione narrativo è lo stesso, è come un avventurarsi cautamente in un universo sconosciuto e che solo grazie al tempo permette veramente di essere esplorato per poi essere conosciuto e sfruttato. Anche tecnicamente, tornando a Si prega di spegnere i cellulari, ho avuto un approccio timido. Per problemi di budget naturalmente non potevo permettermi macchinari particolarmente avanzati, ma tra le varie possibilità che la tecnologia digitale mi offriva mi sono orientato su quello che in ambito professionale è considerato il primo gradino, l’utilizzo della semi professionale più semplice, anche se ancora oggi la più utilizzata, mi ha permesso di lavorare con maggiore tranquillità rendendomi cosciente ora di essere pronto a passare all’utilizzo di qualcosa di più avanzato, in grado di darmi possibilità creative e qualitative maggiori.

Immagine articolo Fucine Mute

Con questa breve introduzione non pienamente pertinente con le fasi realizzative del mio corto volevo solo evidenziare come fare cinema per un ragazzo come me che vive di cinema, ama Resnais, Fassbinder, Capra e Wajda allo stesso modo, il passaggio dietro la macchina da presa rischia di essere traumatico e creare ansie, paranoie e conflitti impensati. Ora incomincerò a raccontare nel modo più chiaro e spero utile possibile i passaggi e le problematiche che ho vissuto nella fase post produttiva del mio cortometraggio.

Premontaggio

Molti registi, tra i quali Eastwood per fare un esempio, trovano nel lavoro di montaggio la fase più piacevole della realizzazione di un film, il momento in cui il girato prende la sua forma e matura, il momento in cui nasce veramente un’opera. Per me la fase di montaggio invece è stata lunga rispetto ai tempi previsti, dispendiosa più di quanto pensassi e piena di dubbi ed incertezze.

Il mio cortometraggio Si prega di spegnere i cellulari è stata costruito con un’impostazione registica molto rigida, fattore questo che ha portato difficoltà proprio in questa fase, quando attraverso la visualizzazione del girato ho avuto la possibilità di rendermi conto di cosa potessi costruire con il montaggio. Io ho immaginato la scena principale del mio lavoro in una sola inquadratura, una macchina fissa quasi a piombo sui due protagonisti distesi a letto (leggendo la sceneggiatura si può comprendere meglio la mia intenzione). Con questa immobilità volevo dare l’effetto voueyristico di intromissione dell’estraneo, desideravo mostrare tutto da una sola angolazione, come se si guardasse dal buco di una serratura, dal quale non si ha nessuna libertà nella scelta della prospettiva e si è costretti a vedere solo ciò che il piccolo foro ti permette di spiare.

Nel mio corto la scena principale l’ho immaginata così, come se non ci fossero altre visuali da sfruttare, lasciando solo al movimento dei corpi il compito di non rendere statica una sequenza così lunga. Inoltre la mia intenzione era quella di dare maggior risalto alle voci off, esaltandone l’importanza, enfatizzando e caricando i toni contrapposti alla staticità dell’immagine. Non volevo usare campi e controcampi o virtuosi movimenti di macchina, la mia prospettiva e quindi quella dello spettatore doveva essere oggettiva, spoglia di alcuna interpretazione. Ho preso la decisione di girare così il mio corto, forse in modo troppo frettoloso e categorico, rimpiangendo proprio durante la fase di montaggio il non aver girato da altri punti di vista. I pochi contro campi che ho girato, insieme ai particolari, non mi permettevano una variazione sul ritmo di scena sufficiente da cambiare la prospettiva generale della sequenza che alla fine ho deciso di lasciare immutata seguendo solo quell’istinto che mi ha dato il coraggio di mettermi in gioco. Bresson diceva “Se non sai quel che fai, e quel che fai è il meglio, quella è l’ispirazione”. Ho preso le mie responsabilità, nei confronti delle mie aspettative, dei miei sforzi e di quelli enormi di tutti coloro che hanno lavorato e collaborato alla realizzazione del corto, e ho montato in maniera soggettiva. Sulla mia scelta ho sentito pareri molto discordati, ma devo essere sincero che dopo settimane di incertezza per la mia presa di posizione sono felice perché ho realizzato, magari sbagliando, esattamente quello che avevo in mente, e se questo non dovesse piacere al pubblico invece, sono sicuro mi aiuterà per essere più moderato nelle mie decisioni in futuro.

Immagine articolo Fucine Mute

Il mio lavoro di montaggio è stato spezzato in due parti dovendo lavorare in sala di doppiaggio per registrare appunto i fondamentali commenti off dei due protagonisti. Terminate le riprese ho effettuato l’acquisizione del girato dalla videocamera utilizzata (è sempre molto importante acquisire dalla stessa camera con cui si ha girato in modo da non perdere qualità), scaricandolo su un hard disk portatile in modo da avere sempre un supporto mobile e pratico da utilizzare su computer diversi. Dopo questo primo passaggio ho fatto un primo taglio di montaggio selezionando le riprese che più mi convincevano e incominciando un breve lavoro di color correction. Questa fase è durata due giorni, durante i quali insieme a Marcello Di Martino ho realizzato il montaggio preliminare dell’opera da portare in sala di doppiaggio. Per problemi legati alla disponibilità della sala, ho avuto la possibilità di affittarla pochi giorni dopo le riprese il che non mi ha permesso di lavorare molto sulla qualità dell’immagine, passaggio che ho lasciato da svolgere nel periodo successivo.

Ho realizzato l’acquisizione è il premontaggio con un programma di facile utilizzo ma dalle potenzialità ridotte: ArcSoft Showbiz. Non ho avuto la possibilità di lavorare con il programma che prediligo Adobe Premiere per problemi con il mio computer (imprevisti come questi vanno sempre messi in conto). Utilizzando così un mezzo non in grado di evidenziare le potenzialità del mio lavoro sono stato costretto a presentare una copia quasi rozza del corto. Showbiz per quanto inferiore rispetto ad altri prodotti ha nella facilità d’uso il suo maggior pregio, inoltre permette di esportare i video con moltissime compressioni differenti (io dovevo presentare un filmato in formato MOV per lavorare in Quicktime), qualità comunque rilevante per un programma di editing. Sui programmi di montaggio però intendo tornare dopo per fornire una breve lista dei migliori e dei più utilizzati.

La resa di questo primo montaggio comunque doveva solo permette la realizzazione del doppiaggio in modo pratico. Il ritmo narrativo, che era l’unica cosa realmente importante in questa prima fase, è stato così preciso da rimanere praticante invariato anche nella versione finale, nella quale ho limato solo pochi secondi da alcune sequenze rendendo più fluido possibile lo scorrere dei pensieri dei due protagonisti.

Doppiaggio

Il lavoro di doppiaggio si è rivelato più semplice e ancor più interessante di quanto pensassi, prima di questo corto non avevo mai utilizzato questa tecnica, che oltre a darti grandi potenzialità creative è molto utile tecnicamente nel limare quelle piccole imperfezioni che in altre sedi non potrebbero essere eliminate. Per il tipo di lavoro che dovevo fare ho affittato per un’intera giornata uno studio in modo da poter concentrare le forze sulla registrazione delle voci al mattino e sul montaggio sonoro nel pomeriggio. Naturalmente ho sempre avuto al mio fianco in entrambe queste fasi il tecnico della sala doppiaggio, in grado in ogni momento non solo di occuparsi con grande professionalità della parte tecnica ma di dare anche utili consigli per migliorare la resa del prodotto. I sui pareri su dizione, toni e volumi vocali sono stati importantissimi per perfezionare il corto, oltre ad aver reso più rilassante quello che a tutti gli effetti era un importante rapporto di lavoro.

Immagine articolo Fucine Mute

Mi sono incontrato la mattina prestabilita molto presto insieme ai miei due attori Federico Bava e Roberta Calia, lavorando ancora sul testo, ripassandolo in modo da far recuperare loro, prima di registrare, il ritmo narrativo e le sensazioni che avevamo creato durante le riprese. Anche in questa fase il lavoro è stato esemplare, avendo ricevuto da Roberta e Federico tutta la loro energia e disponibilità. Particolarmente eroica è stata l’impresa di Roberta, in grado di doppiare per quattro ore consecutive nonostante una cicatrice di diversi punti sulla gengiva che rischiava di compromettere la sua ottima dizione di scuola teatrale.

La sala di doppiaggio in cui abbiamo lavorato era divisa in due parti, una nella quale lavoravo io insieme al tecnico, dove oltre al pc su cui registravamo il doppiaggio, predisposto con un doppio schermo per facilitare sia l’utilizzo del programma sia la preview del cortometraggio, c’erano i mixer per regolare le diverse bande sonore e i volumi vocali. L’altra parte della sala, invece, era predisposta proprio alla registrazione, ed oltre ai leggii gli attori avevano a disposizione due monitor per poter seguire le immagini da commentare e per poter vedere anche loro i risultati ottenuti in modo da poterli eventualmente modificare. Io e il tecnico avevamo la possibilità di comunicare visivamente con Roberta e Federico attraverso un vetro divisorio della sala. In questo modo il tecnico poteva controllare la regolare distanza dal microfono delle loro bocche che non deve essere eccessivamente breve per non eccedere nel volume, e consentiva a me di fargli capire le mie impressioni visivamente.

Abbiamo spezzato il lavoro di doppiaggio dei sei minuti del cortometraggio in tre parti distinte,