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Musica

Davide “Van de Sfroos” Bernasconi

Lucertola d’acqua dolce

Immagine articolo Fucine MuteGiulio Donini (GD): Fucine Mute intervista Davide “van de sfroos” Bernasconi. A Spilimbergo: come mai da queste parti?

Davide Van De Sfroos (DVDS): Perché fortunatamente ci hanno invitato. È una terra (il Friuli, nda) che io personalmente ho sempre cercato di comprendere; l’ho anche stimata per tantissimi motivi: ho amici friulani, ho letto tantissime storie e leggende, e finalmente veniamo per un concerto. L’ultima volta, a Udine, purtroppo c’è stato un temporale fortissimo che ha tolto la luce a due vallate e non abbiamo potuto fare granchè. Però eccoci qui, finalmente.

GD: Parlavi delle leggende, delle storie, della magia e della tradizione popolare, che è importantissima per le tue canzoni. Le storie di cui parli le vai a cercare una per una o drizzi semplicemente le orecchie e poi di quello che senti ne fai una canzone?

DVDS: Credo che sia sufficiente, come dici tu, drizzare le orecchie e rimanere fermo. Loro arrivano: arrivano come il vento, arrivano come gli uccelli, sono in giro… perché siamo fatti di storie, siamo fatti di culture popolari e anche di leggende. Pochissimi sanno questa cosa, però nel nuovo disco Akuuadulza c’è una canzone dal titolo abbastanza impronunciabile, Shymmtakula, che non significa niente. È un suono a cui io ho attribuito dei significati; però il sottotitolo è “Il canto del camminatore ben sperante”; è un modo, una parafrasi, per parlare dei benandanti. La leggenda, la storia dei benandanti del Friuli; e la storia di questi personaggi, di questi sciamani, di questi “maghi”, che cercavano anche di combattere le streghe, m’ha sempre colpito. A parte i friulani, non la conoscono in molti ‘sta cosa. Questa canzone, che è molto strana, non la capisce nessuno perché nessuno sa che è come se fosse cantata in prima persona da uno di questi sciamani. Questo per dirti quante leggende ci sono in giro e quante storie, sia a casa nostra sia a casa di altri si possano andare a prendere, a conservare e poi a distribuire a chi non le sa.

GD: A proposito di casa “nostra”: a casa tua, sul Lario, dove comunque hai ambientato la stragrande maggioranza delle tue storie, trovi ancora adesso motivi di ispirazione forti? (nell’ultimo album ci sono anche storie che vengono da fuori). Cerchi insomma di esplorare il più possibile la zona nella quale sei cresciuto, quella che conosci meglio, quella gente e quelle terre oppure stai cercando di aprirti sempre di più, anche per il futuro, verso altre storie?

DVDS: È ovvio che il tempo è passato anche da me, è ovvio che non puoi relegare tutto ad una cartolina, non puoi imbastire tutto quanto come se fosse il bel tempo che fu. I tempi sono stati i tempi, belli e brutti, a seconda delle epoche. Ti posso dire che è interessamte vedere come la cultura, il dialetto e la lingua si muovono e si modificano col passare degli anni, col cambiare delle mode e degli atteggiamenti del mondo. I ragazzi sono molto più interessati ad altre cose e non è facile vederli cercare e rovistare; però quando trovano qualcosa, o qualcuno la trova per loro, non sono indifferenti. E questa cosa potrebbe già essere un buonissimo segnale: rispolverare streghe, fantasmi, personaggi, persone esistite e leggende da bar, esagerate o meno. È comunque un qualcosa che ci tocca, che ci spetta e tutto sommato ci obbliga anche a ricordare. Ricordare, magari senza fanatismi e senza cretinate dell’ultima ora, è una cosa molto importante. Perché noi veniamo da ieri, non veniamo da domani, guardar dritto dove stai andando in autostrada è importante ma senza specchietti è pericoloso. Ecco, capire cosa ti sta arrivando dietro e cosa stai lasciando dietro è una forma di rispetto oltre che per il tempo, per il mondo, per gli altri e anche per te stesso. Perché un uomo senza memoria… Vedi, parlano tutti di radici: è bello averne ma si dimentica spesso il vaso o la terra dentro le quali impiantarle ‘ste radici. Mi sembra sia altrettanto importante.

Immagine articolo Fucine MuteGD: Io, da ascoltatore, ho sentito un cambiamento grosso tra il tuo primo album “vero”, Manicomi, e Breva e Tivàn, il secondo. C’è stata una lunga pausa, in mezzo; c’è stato anche il percorrere altre forme d’espressione: hai scelto di continuare con la musica perché è quella che ti viene più naturale o perché è quella che ti viene meglio?

DVDS: I dischi sono cambiati perché io sono cambiato, fortunatamente. Sono cambiato non perché era sbagliato come fossi a vent’anni, ma perché giustamente cambi: cambi fisicamente, cambiano i ricordi, cambiano i luoghi che hai visto e le persone che incontri, cambiano le convinzioni; ti viene in mente che c’è al mondo altra roba da cantare, da raccontare e allora ecco che, finalmente, arrivi ad avere anche qual coraggio, come in Akuaduulza, di togliere dai cassetti quelle cose che prima eri reticente a prendere in considerazione. Sembravano un po’ troppo intime, troppo tue, troppo particolari; poi, strada facendo, capisci che tutto andava fatto e tutto dev’essere fatto, perché se tu vuoi essere in armonia con te stesso, e rispettare il pubblico, devi fare in modo che ci sia sempre un interscambio da parte di tutt’e due. Il disco Akuaduulza non è un di disco che avrei potuto fare a venticinque-trent’anni, ma è giusto farlo a quaranta. È un disco fatto in cantina, un disco fatto prendendo dal profondo quelle cose che ti appartengono. Gli altri album non sono rinnegabili: erano esattamente lo specchio di quello che era Davide in quel momento: è molto semplice, è una cosa quasi fisiologica.

GD: E riguardo le altre forme di espressione: la poesia, il racconto, i romanzi…

DVDS: Sono costantemente intrecciate, tanto più che io mi metto a cantare probabilmente perché voglio raccontare; la musica è una passione ma non è il fine ultimo: scrivo… scrivo sui taccuini, scrivo libri, scrivo cose; scrivo tutto quello che mi viene in mente per paura che vada perduto o per paura io stesso di non ricordarmi poi di aver avuto quell’emozione, se mai è possibile dimenticare un’emozione. Quindi il lavoro è sempre quello: una penna, la chitarra o quello che vuoi; l’importante è proprio raccogliere, cantare, raccogliere e fare quello che va fatto.

GD: Nell’ultimo album, Akuaduulza, in Rosanera dici di aver deciso di suonare “senza pesare le persone”. Questo è indubbiamente vero, dato che hai fatto più o meno tutto da solo: niente grossi distributori, niente appoggi clamorosi, niente di particolrmente “ingombrante”. Questa cosa quanto ti è pesata, a livello non dico personale ma sicuramente di carriera?

DVDS: Direi che è stato un lavoro abbastanza duro, da artigiano, nel quale hai dei palchi piccoli, qualche volta hai la possibilità di apparire in televisione o alla radio, su un’emittente nazionale. È chiaro che tutto quello che puoi avere non te lo regala nessuno e non torna indietro, quindi devi anche arrangiarti. Però è un bel lavoro: passi prevalentemente attraverso le persone e le persone sono quelle che poi fanno il tam-tam, quelle che fanno sì che questa musica diventi fattibile anche qui, in Friuli, come stasera. È un lavoro duro, sicuramete più duro di quello di una persona che viene presa, portata al Festivalbar e passata in radio fino all’angoscia. D’altra parte penso che sia anche il giusto tragitto che deve fare una musica come questa. Non è una musica che si presta bene al regalo: si presta piuttosto all’andare dentro in profondità. Ho sempre detto che preferisco piacere totalmente a cinquecento persone che così così a mille. Queste canzoni sono importanti nel momento in cui uno le fa sue e le sente, altrimenti c’è in giro tanta altra roba da ascoltare. Non è obbligatorio ascoltare queste cose.

Immagine articolo Fucine Mute

GD: Un altro elemento molto presente nelle tue canzoni è il viaggio: la gente di passaggio o la gente che ritorna; è una caratteristica della tua gente o è un’attitudine nell’aria, un desiderio di viaggiare, di muoversi?

DVDS: Noi siamo sempre in movimento. Anche se stiamo fermi, anche se ci mettiamo in meditazione sulle rive del Gange dentro abbiamo cellule che nascono, muoiono, sangue che scorre, un cuore che pulsa e si muove. Siamo nati per viaggiare; non abbiamo quella sedentarietà delle pietre, noi. Non siamo fatti per rimanere lì. Noi viaggiamo e portiamo le nostre convinzioni a ossigenarsi, a disinfettarsi, a cambiare e a volte ad ammalarsi. L’esperienza del viaggio è forse una delle più dirette, una delle più probabili per l’uomo: l’uomo ha l’angolo nelle gambe, con la possibilità di muoversi e fare e di captare sonorità, mondi e storie che sono altrove. Non è importante tanto il bersaglio del viaggio, cioè dove devi arrivare, ma il tragitto: e durante quel tragitto chi sei, cos’hai visto, cosa farai… è quella la cosa veramente importante. Quando arrivi poi arrivi; ma poi ripartirai pechè non ti basta più.

GD: La tua gente è ancora così, ha ancora questa voglia di viaggiare e di muoversi?

DVDS: Per amore, per forza, turisti per caso e turisti per forza, l’hanno fatto per lavoro, l’hanno fatto per la guerra, l’hanno fatto per le vacanze e l’hanno fatto per cercare qualcosa perché l’akuaduulza rischiava di schiacciarli in un mondo che gli era diventato troppo piccolo. Poi tornavano con una certa emozione e la voglia di rivedere quello che era il loro mondo. Un uomo che io conosco che va perfino sulle montagne più alte del Perù ha sempre detto: “Il momento più bello è quando torno”. Lui va su una montagna altissima in Perù per dire che poi quando torna il boato è sempre più grande. Il viaggio è anche tornare…

GD: Per te il boato è sempre grande?

DVDS: Sì. Io mi sposto spesso ma ogni volta che torno so che sto tornando, ogni volta che vado so che sto andando. Il mondo lo vedo come espansione e compressione: tu ti ricomprimi per tornare a casa dove raccogli le tue energie e poi vai a esplodere da un’altra parte raccontando tutto quello che hai a delle persone sconosciute: è un viaggio anche quello non da poco.

Immagine articolo Fucine Mute

GD: I tuoi programmi per il futuro: progetti, cose che stai facendo…

DVDS: Il coltello alla gola è un libro che devo consegnare a breve e che devo ancora scrivere: per primo verrà questo. Poi chissà mai che riusciamo a far qualcosa! C’è un piccolo lavoro televisivo che forse vedremo in autunno e da lì in poi vedremo cosa succede.

“Ortiche pentite, serpenti in inverno, ferite guarite più per pigrizia che per cura. Ci conosce bene tutta questa acqua che abbiamo davanti e che ci obbliga a guardare il nostro riflesso, ma qualcuno ogni tanto lancia un sasso e vede anche oltre. Ho tuonato tutto il blu che avevo, ma anche il verde scuro delle foglie, il bianco assurdo della foschia, il nero lucido dell’anguilla o il grigio di quello che si finge di dimenticare. Ho fatto in modo di potermi arrampicare sui fulmini ogni volta che cadevano. Ho perfino assaggiato la pioggia ruggine che grondava da un cancello. Adesso guardo il cielo che rimette a posto le nubi, facendo finta di niente… …e vado in giro a dire che il temporale ero io.”


Davide Van De Sfroos


Retro di copertina dell’album Akuaduulza
Produzione: Davide Bernasconi e Alessandro Gioia – Tarantanius 2005
www.davidevandesfroos.com

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