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Cinema

Eric Caravaca

Passante

Eric Caravaca esordisce alla regia con Le Passager. Un film autunnale, dove ogni inquadratura risulta necessaria, imperniato sul dolore di due fratelli, Richard e Thomas, che, abbandonati in giovane età dal padre e privati dell’amore della madre che non riesce a reagire al vuoto segnato dalla perdita del marito, sopravvivono legandosi l’uno all’altro. Fino a quando una violenza consumata sulla spiaggia del piccolo villaggio sul mare dove i due ragazzi vivono non condiziona le loro esistenze separandoli irreparabilmente. Dieci anni dopo, quando Thomas, seppellito il proprio passato si ritrova incapace di accettarsi nel ruolo di padre, viene raggiunto dalla notizia del suicidio del fratello. Tornando sui luoghi della propria infanzia per sbrigare le procedure legali e per vendere la casa di famiglia, Thomas incontra altre due persone che come lui sopravvivono in attesa che qualcosa risolva il loro futuro. Jeanne, proprietaria del decadente Hotel Marysol ed il giovane orfano Lucas che lei ha adottato, aspettano il ritorno del compagno della donna, scomparso senza lasciare spiegazioni. Nell’attesa che Thomas impone al corpo morto del fratello, i ricordi a lungo soffocati esplodono permettendo ai tre personaggi di ritrovare se stessi e di capire come, proprio il gesto di Richard, abbia riconsegnato loro la possibilità di donarsi agli altri.

Immagine articolo Fucine Mute

Fucine Mute ha potuto incontrare Eric Caravaca che ci ha parlato di Le Passager in seguito alla proiezione del film, in concorso alla LVI Mostra del Cinema di Venezia nella XX Settimana Internazionale della Critica.

Michela Cristofoli (MC): Un elemento che mi ha molto colpito è il grido con cui si apre il film, cioè il pianto di un bambino. Questo è l’unico rumore diretto e nitido. Infatti sia la canzone un po’ gracchiante del giradischi che le voci del registratore che Lucas (Vincent Rottiers, ndr) ascolta con gli auricolari risultano disturbate. Ha giocato su questo elemento per attribuirgli un’importanza particolare?

Eric Caravaca (EC): Sì, ho voluto mettere in risalto l’impossibilità di una trasmissione efficace tra padre e figlio così come tra i due fratelli e dimostrare che questa incapacità di comunicare è qualcosa che si è trasmessa. Infatti, Thomas (Eric Caravaca, ndr), quando il figlio piange, chiude la porta per non sentirlo. Nell’immagine iniziale ho voluto porre in relazione le lacrime di un neonato con il volto di un adulto per sottolineare come possa essere stato lui stesso in passato a provare un dolore che rimane ancora dentro di lui.

MC: I rapporti di parentela, infatti, sono tutti allentati, solamente Jeanne (Julie Depardieu, ndr), la compagna del fratello morto di Thomas, mantiene un legame con un con sanguigno, cioè con il proprio zio. Ad un certo punto del lungometraggio il protagonista cerca la moglie che non è in casa e non risponde perciò al telefono. Intende avanzare l’ipotesi che alla fine questa relazione è destinata a sciogliersi come è avvenuto per le altre?

EC: Inizialmente avevo realizzato alcune scene in cui era presente anche la moglie di Thomas ma a poco a poco ho deciso di eliminarla, pensando di farla rimanere una presenza astratta e di lasciare in disparte il suo rapporto con il marito. Per parlare di lei sarebbe stato necessario dare spessore anche a questo legame e si sarebbe trattato, in effetti, di un altro film, di un’altra storia. Nella coppia c’è sicuramente una crisi in corso perché, a causa della non trasmissione che si è instaurata tra Thomas e la sua famiglia d’origine, lui è incapace di avanzare, di crescere, quindi gli eventi che si trova a vivere generano una frattura che si nota sia nel suo gesto nei confronti del figlio che piange sia quando la donna non risponde al telefono. Solamente alla fine del film ci può essere uno sviluppo. Si può pensare che tornerà o meno a casa ma i rapporti sicuramente possono cambiare perché qualcosa comunque si è sbloccata dentro di lui.

MC: Lucas, pur essendo sordo, è l’unico che riesce a vedere le cose. È grazie alla condizione in cui si trova questo personaggio che può esserci un cambiamento?

EC: È per questo motivo che ho sviluppato il problema della sordità. Volevo evidenziare come sia proprio la persona considerata disabile che è in grado di far uscire gli adulti dalla situazione di stallo in cui si trovano. Esattamente lui che è bloccato nell’udito, come spesso accade, è diventato sensibile nella capacità di guardare.

Immagine articolo Fucine Mute

MC: La sceneggiatura è molto attenta a tutti questi dettagli, ma ci sono forse anche dei riferimenti letterari? Si vede più volte, ad esempio, una copia di Lord Jim di Conrad.

EC: Il riferimento a Conrad è presente nel libro di cui Le Passager è la trasposizione cinematografica cioè La Route de Midland di Arnaud Cathrine. Questo autore ama molto la letteratura, soprattutto quella anglo-americana, quindi già nel suo testo aveva inserito alcune citazioni. Ho lasciato in superficie questi riferimenti, non li ho voluti approfondire per legarli al contesto del film, perché, mentre il romanzo è ambientato negli Stati Uniti, io desideravo lasciare il mio lavoro in una sorta di terra di nessuno. Si capisce che ho girato in Francia ma in realtà non si riconosce questa terra esplicitamente in nessuno dei paesaggi.

MC: La sua collaborazione assieme a Patrick Chereau, regista che dedica una notevole attenzione ai personaggi ed alla recitazione degli attori, l’ha aiutata a lavorare profondamente sulla sceneggiatura e a descrivere i dialoghi?

EC: Sicuramente. Sia la possibilità di lavorare con lui che il fatto di averlo visto all’opera mentre dirige i membri del cast hanno rappresentato delle esperienze preziose. Sul set Patrick Chereau è molto presente e vicino agli attori che ama. Quando mi sono trovato dietro la macchina da presa e ho avuto alcune difficoltà da risolvere l’ho spesso chiamato e mi ha sempre dato dei generosi consigli. È un regista che ha una capacità incredibile di insegnare, di condividere con gli altri le sue conoscenze. Anche la mia amicizia con Francoise Dupeyron è stata importantissima, ho girato molti dei miei primi lungometraggi grazie a lui. Davvero ci si nutre ogni giorno delle persone che si ama e che si ha avuto la fortuna di conoscere.

MC: Come se è trovato, poi, a dirigere degli attori con alle spalle delle esperienze così lontane come Maurice Garrel e Julie Depardieu?

EC: In realtà il rapporto con ciascun attore è differente, si dirige ognuno di essi in modo diverso, questa è per così dire, la ginnastica che un cineasta deve fare in quanto regista. È necessario utilizzare parole e gesti pensati espressamente per ogni singolo interprete del film. Essendo comunque delle persone brillanti, tutti loro propongono delle cose utilissime. Ad esempio,Vincent Rottiers (Lucas), che a me piace moltissimo, è impulsivo e recita in modo intenso. Mentre montavo le scene girate con lui mi è capitato di utilizzare ciak diversi, alternando momenti in cui lavorava in modo più calmo ad altri in cui era più concitato, proprio per mettere in evidenza questa sua varietà di registri. Su Maurice Garrel (un vecchio amico di Thomas, ndr) non c’è nulla che si possa aggiungere, è entrato immediatamente nella parte, si è calato a fondo con tale bravura anche per recitare in un piccolo ruolo, come in questo caso. Lui ritiene che la difficoltà che si cela dietro ad una parte minore sia la stessa che si riscontra nell’affrontarne una più importante. Anche nel primo caso è necessario costruire un personaggio a tutto tondo perché possa avere peso e dire qualcosa di vero.

Immagine articolo Fucine Mute

MC: Mi ha colpito il contrasto esistente tra i due ambienti del film: da un lato la pensione un po’ dimessa dove vivono Lucas e Jeanne, che, piena com’è di oggetti che rimandano al passato, da l’idea di staticità e immutabilità, e invece il mare in perenne movimento, che però non si vede spesso.

EC: L’hotel dove ho scelto di girare rimanda all’idea di no man’s land di cui parlavo prima. Sorge, infatti, in un luogo dove intorno non c’è proprio nulla. Volevo sottolineare come i due personaggi che vi vivono si siano quasi insabbiati. Il film inizia come un road movie che però ben presto abortisce. Si può essere indotti a pensare che il protagonista sarà sempre in viaggio, ed invece lui si ferma proprio in una pensione balneare sperduta, dove incontra queste persone in attesa. Penso che nessuno possa vivere per sempre in un posto come quello aspettando che accada qualcosa. Magari alla fine Jeanne e Lucas venderanno l’albergo per andare da qualche altra parte. Per quanto riguarda il mare, la sua presenza si percepisce continuamente. C’è una scena importante in cui, mentre Thomas legge la lettera scritta da Richard prima di morire, la macchina da presa avanza verso la finestra. All’inizio del movimento ci troviamo all’interno della stanza, a fianco di Thomas, mentre alla fine si vede solo il mare, come se non ci fosse più nessun vetro. Siamo tutt’a un tratto all’esterno e sentiamo il rumore delle onde. In realtà, il mare possiede in sé l’idea di immobilità dato che occupa uno spazio fisso, definito, ricorda quindi la vita di Jeanne e Lucas che non si spostano dagli stessi luoghi. Sicuramente alla fine qualcosa cambierà, io mi immagino davvero che se ne andranno. Aspettano qualcuno che ormai sanno non arriverà mai.

MC: Scegliendo un titolo come Le Passager voleva sottolineare per contrasto questo aspetto?

EC: Sì, ma il film parla anche di un passaggio, perché nel corso della storia tutti devono affrontare un momento di svolta nella loro vita. Inoltre il ragazzo sta attraversando quel momento di transizione verso la maturità che è l’adolescenza e la presenza di Thomas lo aiuta senz’altro a compiere questo cambiamento. Credo poi che Lucas sarà importante per far accettare all’uomo la sua paternità e lui stesso aiuterà Jeanne a riappropriarsi della sua femminilità. È molto forte l’idea che per i cinque anni in cui ha atteso il suo compagno che non tornerà mai più, lei non sia esistita in quanto donna. I cambiamenti che avvengono dopo l’incontro con Thomas la faranno tornare a vivere.

MC: Adesso stai pensando a qualche nuovo progetto? Magari anche a teatro.

EC: No, a fare teatro ora non ho pensato, però vorrei realizzare un secondo lungometraggio. Tra poco, a gennaio, sarò invece sul set del prossimo film (il cui titolo provvisorio è Les Ambitieux, ndr) di Catherine Corsini assieme a Karin Viard.

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