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Cinema

Lamberto Bava

Brividi d’autore

Immagine articolo Fucine MuteIl festival del cinema Scienceplusfiction, dopo Dario Argento, ha consegnato quest’anno il premio “Urania d’argento” al regista Lamberto Bava. Figlio d’arte, (I vampiri di Mario Bava è considerato il film capostipite del cinema horror italiano), negli anni Ottanta Lamberto Bava realizza alcuni autentici “cult” per gli appassionati del brivido come Macabro, La casa con la scala nel buio e Demoni.
Oggi, dopo un periodo d’assenza dagli schermi cinematografici, Lamberto Bava è tornato dietro alla macchina da presa con il lungometraggio Ghost son, un thriller ispirato al mondo del paranormale.

Sarah Gherbitz (SG): Partiamo appunto con Ghost son: il film è il risultato di una co-produzione internazionale. Come si è sviluppata questa idea?

Lamberto Bava (LB): Sono tornato al cinema dopo dieci anni durante i quali ho fatto dei film per la televisione come Fantaghirò, Sorellina, e poi, dopo le favole, ho fatto anche dei film d’avventura. Poi mi sono accorto che il rapporto con il cinema mi mancava. Rivedendo una sera in televisione Ghost mi ha sfiorato il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere “dopo”. E l’estate successiva, durante le ferie, mi sono messo a riscrivere la storiella, con la penna e un computer vecchissimo. Ne è venuta fuori una storia, che poi è diventata proprio il soggetto di Ghost son. Una grande storia d’amore, una storia d’amore che vorrebbe andare oltre la morte, con tutti i limiti che ci sono, naturalmente… Ghost son però resta e rimane, oltre un film di suspense, una grande storia d’amore.
Il film è tutto in chiave femminile perché è la storia di una donna; siccome cercavo il punto di vista di una donna, la sceneggiatura l’ho scritta con una ragazza che si chiama Silvia Ranfagni, di cui avevo letto già alcune novelle. Dopo aver lavorato molto sulla sceneggiatura, ho cominciato a farla leggere a poche persone: l’ho mandata a un produttore e, dopo due soli giorni che gli avevo mandato la sceneggiatura (la sceneggiatura, non il trattamento), mi ha risposto: “Lamberto, io vorrei produrre questo film perché la storia mi è piaciuta moltissimo”.
Volevo realizzare questo film con un cast internazionale, come del resto sono stati fatti tutti i miei film. E per questo ho fatto una cernita di possibili attrici. Quando l’ha letto Laura Harring, una delle sei candidate (che poi è stata la prima che abbiamo contattato a Cannes due anni fa), anche lei ci disse subito: “Questo è un film che voglio fare”. Insomma, ci sono state sempre reazioni positive, e la storia è sempre piaciuta a tutti. Spero che altrettanto valga per gli spettatori!
Abbiamo incontrato diverse difficoltà per trovare i produttori, quindi abbiamo cercato partner in tutto il mondo. La storia, anche se poi è stata tutta girata praticamente in una villa in Sudafrica, inizialmente doveva svolgersi in un luogo un po’ estremo, dove la civiltà non è completamente arrivata, con richiami ancestrali di qualche civiltà minore ma sconosciuta. Alla fine il film è una co-produzione tra inglesi sudafricani e spagnoli, in tutto quattro paesi.
L’attrice protagonista, Laura Harring, forse molti non la conoscono: però per chi ha visto o si ricorda Mulholland drive di David Lynch, è la mora di Mulholland drive. Il protagonista maschile è un attore inglese che si chiama John Hannah, anche lui noto per aver recitato in Sliding doors, ed era anche il fratello un po’ cattivello in La mummia. Poi c’è un altro attore, che nel film interpreta il ruolo dell’amico di tutti, che è Pete Postlewhite, un altro grande attore inglese candidato varie volte all’Oscar che ha recitato in Nel nome del padre.
Ghost son è un film a cui sono molto affezionato perché lo riconosco veramente come “mio”. Dovrebbe anzi quasi sicuramente uscire a gennaio in Italia e… spero che qualcuno vada a vederlo!

Laura Harring in Mulholland drive

SG: Sergio Stivaletti (collaboratore abituale dei registi dell’horror italiano, a partire da Riccardo Freda, Dario Argento, fino allo stesso Lamberto Bava per Demoni, nda) ha firmato gli effetti speciali di Ghost son: come si è svolta la vostra collaborazione?

LB: Nel film, come dicevo, c’è un effetto speciale che non è stato facile realizzare: oltre ai tre protagonisti, c’è un altro protagonista che si chiama John, e che nel film prende il nome di Martin. È un bambino di tre o quattro mesi, ed ovviamente ad un attore di tre mesi non si può dire “Fammi quell’espressione” perché non ti seguirebbe! L’ho scelto dopo tremila provini a tutti i bambini del Sudafrica, e ho trovato un bambino eccezionale, proprio quello che cercavo, ossia un bambino bellissimo, meraviglioso, col sorriso da pubblicità. Ma con un viso che, quando diventa serio, ti viene da pensare: “Ma è proprio un bambino che mi guarda?” perché la sua è un’espressione decisamente non comune. Non dico che incute paura, ma quasi…
In questo John mi ha aiutato moltissimo, lui adesso avrà quattro, cinque mesi in più rispetto a quando abbiamo girato Ghost son, quindi avrà ormai un anno. Nel film abbiamo creato un animatronic, (un robot, nda) oltre alle varie controfigure di bambini un po’ più grandi: così se, ad esempio, in una scena, il bambino doveva sgambettare, invece di avere una sedia in proporzione, ne usavamo una un po’ più grande così sembrava più piccolo. È stato proprio Sergio Stivaletti a realizzare l’animatronic, in parole povere un bambino costruito per compiere determinati movimenti, come chiudere gli occhi, riaprirli, sorridere e così via.

SG: Lei ha realizzato anche The Torturer, un film destinato direttamente per il mercato home-video. Che cosa racconta?

LB: Il progetto di The Torturer parte contemporaneamente a Ghost son. Mi era stato chiesto se c’era la possibilità di fare un film in digitale, e la proposta mi ha interessato molto fin da subito: per un regista che viene dalla pellicola il passaggio al digitale richiede un approccio diverso, che in quel momento mi offriva possibilità diverse. È forse un nuovo modo di fare cinema — anche se mi sembra un’espressione un po’ esagerata — che certo ti offre sensazioni diverse, così come ti dà la possibilità di fare scelte diverse.
Abbiamo scritto la sceneggiatura del film proprio pensando al digitale, ossia a quelli che sono ancora i problemi del digitale: il pieno giorno. Così abbiamo fatto un film tutto di notte e questo andava benissimo per la storia che volevamo raccontare!
La storia, abbastanza semplice, segue la doppia vicenda di una ragazza alla ricerca di una sua amica andata a fare un provino e mai più tornata a casa; e quella di altre ragazze che vanno a fare anch’esse dei provini per diventare attrici, per essere scelte da un regista famoso di cinema horror.
Naturalmente nessuna di loro, compresa l’amica della ragazza, va a fare un provino molto usuale perché poverine… be’, sicuramente non vanno a fare le attrici!
La storia si svolge in due location: c’è la villa antica, abbandonata, con il giardino incolto, un po’ come quelle dei film horror classici, quelli dove piove sempre. La seconda è il teatro dove vengono fatti i provini.
Ed infine, c’è tutto ciò che combina il “Torturatore”, ovvero il personaggio che dà il titolo al film: per questo ci siamo serviti molto del digitale che in quest’occasione ci ha dato delle cose che forse la pellicola non ci avrebbe potuto dare.

Immagine articolo Fucine Mute

SG: Lei è noto per aver realizzato numerosi film per la televisione, come Fantaghirò, Desideria e l’anello del drago… che cosa guarda oggi alla televisione?

LB: La televisione è ormai un compagno, un amico che abbiamo in casa, di solito è sempre accesa. Tra un po’ ci parleremo anche con la televisione! Devo dire con la televisione ho un rapporto abbastanza strano: per esempio, adesso è un periodo che vedo solo i film! Ho sempre avuto una specie di avversione, o almeno non mi è proprio mai piaciuto, il programma a puntate, anche se capisco benissimo che ormai è diventato un appuntamento fisso.
Quindici anni fa la televisione m’interessava molto, quando abbiamo pensato di realizzare le favole dove abbiamo mischiato tanti elementi del fantasy con elementi romantici forse abbiamo contribuito anche a far conoscere a tanti italiani il mondo del fantastico: così ci sono stati tutti i Fantaghirò, poi Desideria e l’anello del drago, Sorellina e il principe del sogno, La principessa e il povero… insomma, ne abbiamo fatte tantissime.
Poi, ad un certo punto, come avviene per tutte le cose, ho sentito il bisogno di diversificarmi. Mi era già accaduto quando mi ero allontanato dal cinema horror, perché avevo fatto anche un po’ di film horror per la televisione, e forse mi piaceva l’idea di cambiare totalmente genere. Ecco quindi che in quel momento ho sentito il bisogno di tornare al fantastico (che però era la mia passione fin da piccolo).

SG: Recentemente il film horror realizzato a basso costo Radice quadrata di tre ha riscosso molto successo: segno che il genere sta uscendo dalla crisi?

LB: Io sono tornato a girare dopo dieci anni, anche di più; dieci anni durante i quali ci sono stati parecchi cambiamenti, quindi è ovvio che anche il mio approccio sia stato diverso.
Non a caso The Torturer uscirà forse solo in home video perché anche per il pubblico, per i giovani che sono poi quelli che vanno di più al cinema o vedono di più questo tipo di film il rapporto col cinema nel frattempo è cambiato. Oggi è più facile che un giovane acquisti un dvd o che affitti una cassetta piuttosto di andare a vedere i film al cinema, soprattutto un certo tipo di film.
Questo vale per l’ottanta, il novanta per cento dei film che escono anche al cinema: ormai la sala non è più il cardine, quindi da questo punto di vista penso che la strada home video, quella dei film per il dvd, sia una strada abbastanza percorribile.
Mi ha meravigliato la difficoltà incontrata per realizzare Ghost son: ma questo fa parte del cinema italiano di questo momento, che è un cinema un po’ malato, un cinema che soffre per tanti motivi.
Se mi si chiede negli ultimi anni quale film italiano mi è piaciuto, devo dire che ce ne sono pochi.
Quindi spero che l’approccio home video porti alla riqualificazione di un certo genere che anche ai festival è poco presente. Questo è un male che mi fa molto dispiacere, ma fa parte del male che ha il cinema italiano. Speriamo che il mio film o quello di cui mi parli (io non l’ho visto, più che altro non so quale tipo di distribuzione abbia avuto), speriamo possano aprire una strada.

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