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Cinema

Sul Bellaria Film Festival 2006

Immagine articolo Fucine MuteDopo quattro anni sotto la direzione di un triumvirato composto da Antonio Costa, Morando Morandini e Daniele Segrè, il Bellaria Film Festival elegge un nuovo direttore e al consueto sottotitolo Anteprima aggiunge la dicitura Doc. Un riferimento non solamente formale ma una precisa volontà di privilegiare nelle pratiche cinematografiche la valenza documentaristica. E tale scelta si concretizza sia nell’omonimo concorso riservato a opere inedite di qualunque supporto, durata e formato, sia nell’altro concorso, il Casa Rossa, che ha proposto dodici opere rigorosamente documentaristiche. Del resto Grosoli ha da tempo sviluppato un’attenzione particolare a quel “cinema del reale” partendo prima come condirettore negli anni ’80-’90 a Riminicinema, poi come selezionatore della Mostra di Venezia, ancora come produttore a Tele+, fino al suo più recente incarico di responsabile dell’aria documentaria alla Fandango.

Un interesse cresciuto di pari passo ad uno sviluppo imperioso del cinema documentaristico e culminato con la Palma d’oro assegnata a Cannes nel 2004 a Micahel Moore per “Farenheit 9/11”. Aria nuova dunque a questa ventiquattresima edizione di Bellaria, festival che in questo lungo lasso di tempo ha tenuto a battesimo la maggior parte di quello che si suole indicare come cinema indipendente e da cui sono emersi autori successivamente divenuti registi affermati. E veniamo a raccontare le tante proposte di quest’ultima edizione firmata Grosoli che, fin dall’introduzione al catalogo, spiega le ragioni della sua scelta: “Perché allora il documentario? Perché in tutto il mondo la fiction classica mostra segni di consunzione e gli autori più innovativi vedono sempre più spesso il segno della modernità nella contaminazione con i procedimenti del cinema ‘diretto’. Perché anche in Italia è ormai la più vera espressione di produzione indipendente ed il più concreto terreno di sperimentazione ‘sul campo’ proprio a partire dalla sua ‘povertà’, dalla cronica mancanza di committenza televisiva.”

Il premio Casa Rossa, consistente in 5.000 euro, è stato assegnato da una giuria composta da studenti universitari di cinema provenienti dagli atenei di tutt’Italia. è risultato vincitore “Il canto dei nuovi emigranti” di Felice D’Agostino e Arturo Lavorato, documentario di un’ora che rende omaggio, fin dal titolo, ad un’opera del poeta Franco Costabile nella ricorrenza del quarantennale della sua scomparsa. In esso si ripercorre la vicenda esistenziale di Costabile, inserta nell’aspra realtà calabrese dove si manifesta in modo significativo la diaspora dell’emigrazione. La giuria ha inoltre assegnato due menzioni speciali. La prima a “Quando capita di perdersi” di Sergio Basso, che segue il casuale girovagare di una ragazza che si inerpica per il colli di Castroacro Terme, dove, inaspettatamente, incontra un gruppo di malati di mente che coltiva la terra. L’altra a “Sillabario africano” di Angelo Loy che raggruppa 21 piccoli film scritti, girati e narrati da settanta ragazzi di Nairobi, in un’età compresa tra i tredici e i ventidue anni, che affrontano con sorprendente maturità temi impegnativi come la violenza, la fame, il lavoro, l’amicizia, la speranza e la difficile condizione esistenziale.

La giuria del concorso AnteprimaDoc composta da Francesca D’Aloja, Edoardo Albinati, Davide Ferrario, Angelica Grizi e Italo Moscati ha visionato le quindici opere selezionate assegnando i seguenti riconoscimenti. Il premio Velambiente ha visto prevalere “Un metro sotto i pesci” di Michele Mellarra e Alessandro Rossi, diario di un viaggio lungo il delta del Po in compagnia dei pescatori che lavorano duramente, unito alla testimonianza di un celebre autore come Florestano Vancini che cinquant’anni fa filmò gli stessi luoghi. Il premio Vela d’argento è stato assegnato a “L’amore che fugge” di Maria Martinelli, una videomaker attiva da oltre vent’anni e che all’inizio del nuovo secolo si è fatta notare con un provocatorio documentario sui set dei film hard italiani. Questa volta il suo terreno di indagine sono le agenzie matrimoniali, perlustrate lungo un anno, dove i single di tutti i tipi cercano e qualche volta riescono a trovare l’anima gemella. Infine il premio Vela d’oro ha visto il prevalere di “Nerik”di Antonella Grieco e Pasquale Di Meglio, due giovani autori milanesi che, in un quarto d’ora raccontano le confessioni di due amiche e il loro rapporto con Nerik, cane pastore. Nella motivazione della giuria si sottolinea “la forza dei personaggi e l’originalità, la semplicità e la purezza narrativa”.

Immagine articolo Fucine MuteIl premio centocinquanta secondi a tema fisso, quest’anno incentrato sulle elezioni del 9 aprile, è stato vinto da “Pocket diary” di Maurzio Losi. Infine la giuria del premio Avanti, incaricata di segnalare opere meritevoli di essere distribuite nel circuito non commerciale, oltre al già citato “Un metro sotto i pesci”, ha indicato “Souvenir Srebrenica” di Luca Rosini, film inchiesta di 90 minuti di un giornalista professionista bolognese sul genocidio bosniaco. Poi “L’isle” di Chiara Malta che in 10 minuti ci racconta le disavventure di un uomo intento a preparare un film d’animazione erotico. “They Call Me Musilm” di Diana Ferrero, giornalista e regista attenta ai cambiamenti sociali. Questa volta esamina la questione del velo islamico attraverso le storie contrapposte di una musulmana siriana che vive a Parigi e sceglie di portare il velo e quella di una giovane madre di Teheran, progressista e moderna, che si batte perché il velo non sia una costrizione obbligatoria. “Matti alla ricerca di un altro destino” di Filippo Lilloni, che racconta il viaggio nel sertao brasiliano di uno scalcinato circo. E infine “Casa Plastica” di Chiara Brambilla, Paola Tursi e Nicola Lombardelli, che ci porta a Sesto S. Giovanni dove, negli anni ’70, è stato costruito un edificio d’edilizia popolare con l’impiego di materie plastiche. Dopo un lungo periodo di abbandono il caseggiato è stato occupato da una comunità di ecuadoregni e peruviani.

Esaurito l’elenco dei vari riconoscimenti ci sono ancora da mezionare le tante proposte degne di essere ricordate. A partire dal tradizionale appuntamento con Festa di Compleanno che ha festeggiato i 30 anni de “Io sono un autarchico” di Nanni Moretti, alla presenza dello stesso regista, degli attori Fabio Traversa e Paolo Zaccagnini e del musicista Franco Piersanti. Per Moretti, reduce dal successo de “Il caimano”, un pubblico straripante ha gremito il cinema Astra mostrando di gradire ancora le disavventure esistenziali del giovane Nanni filmate all’epoca con il mitico Super8. Da un nome consacrato ad un altro meno noto, ma assai significativo nel panorama del documentario italiano. Si tratta di Giuseppe Ferrara, nato a Castelfiorentino nel 1932 ed attivo fin dalla fine degli anni ’50 nella realizzazione di opere di forte contenuto politico e sociale. Tra i suoi corto e mediometraggi si possono ricordare “Brigata partigiana” (1962), “Minatore di zolfara” (1962), “La camorra” (1965), “Mafia d’Aspromonte” (1966), “Banditi in Barbagia” (1967) e “La ‘ndrangheta” (1974). Tra i lungometraggi “Il sasso in bocca” (1970), “Panagulis vive” (1981), “Cento giorni a Palermo — Carlo Alberto dalla Chiesa” (1984), “Il caso Moro” (1986), “Giovanni Falcone” (1993) e “I banchieri di Dio — Il caso Calvi” (2003). Insomma una riscrittura della travagliata storia d’Italia del dopoguerra con tutte le evidenti implicazioni tra politica e potere. Del resto lo stesso Ferrara orgogliosamente rivendica la sua precisa collocazione: “I miei documentari sono in primo luogo dei film politici come si evince dai temi trattati, dalla durezza del commento. Sono un regista di sinistra e mi sono sempre considerato un militante”.

Un altro documentarista, impegnato politicamente, secondo una definizione in voga negli anni passati ed ora un po’ scolorita, è stato Antonello Branca cui Bellaria ha voluto rendere omaggio. Scomparso prematuramente nel giugno del 2002 Branca ha esordito nel 1961 con un reportage insolito intitolato “Aria di Londra”. Dopo una collaborazione durata quattro anni con il celebre programma giornalistico TV7, per il quale realizza “Vajont” (1963), sulla tragedia appena consumatasi, viene allontanato dalla trasmissione. Nel 1966 si trasferisce negli Stati Uniti dove realizza alcune importanti opere come il lungo reportage “California” (1968) e un film “Seize the time” (1970) concepito con la collaborazione delle Pantere Nere sulle condizioni di vita dei neri americani. Tra le sue ultime produzioni si può ricordare la trilogia “Guerra e tecnologia”, incentrata sul rapporto tra gli apparati militari e lo sviluppo economico degli Stati Uniti.

Un altro omaggio ad un maestro del cinema italiano, Alessandro Blasetti, ha riguardato il segmento della sua lunga carriera dedicato a due inchieste sul divertimento e sull’amore. La prima “Europa di notte” (1959), viaggio itinerante nelle capitali europee, da Madrid a Parigi, da Berlino a Londra, alla ricerca del divertimento proibito ebbe all’epoca un successo incredibile. L’altra “Io amo, tu ami” (Antologia universale dell’amore, 1961) che ricalca il precedente con qualche variante moralistica, passò, invece, quasi inosservata.

Un evento speciale è stato dedicato a Marco Paolini, il cinquantenne artista bellunese divenuto celebre dieci anni fa con la messa in onda del racconto del Vajont. Nella cittadina romagnola egli ha proposto spezzoni inediti di alcuni suoi Album televisivi, gli Appunti foresti e alcuni brani di un’intervista allo scrittore Luigi Meneghello. Da ricordare infine la nuova sezione intitolata “Diaries and family movies” il cui denominatore comune è il racconto in prima persona. Tra le opere proposte spiccano due nomi famosi. Atom Egoyan che in “Citadel” (Canada) ha filmato la sua compagna ed attrice Arsinèe Khanjian che ritorna nel suo paese, il Libano, dopo un’assenza di 28 anni. E Viktor Kossakovskij, che ha diretto “Svyato” (Russia), titolo che è l’abbreviativo di un nome Svyatoslav che significa felice, chiaro, gioioso e luminoso. Lui è un bambino di 2 anni che si guarda per la prima volta allo specchio mentre tre cineprese HD lo riprendono. Nella sua linearità la documentazione di un frammento di vita che provoca emozioni.

Immagine articolo Fucine Mute

Fuori concorso è doveroso ricordare un autore importante come Corso Salani che ha alquanto stupito con il sofferto e doloroso “Il peggio di noi”. E Leonardo Celi che ha disegnato con grande sensibilità il ritratto del padre in “Adolfo Celi, un uomo per due culture”.
Come consuntivo non si può che complimentarsi con Grosoli per questa sontuosa edizione facendogli gli auguri per il venticinquennale del 2007 che potrebbe celebrare degnamente il tanto cinema indipendente italico che ha transitato per Bellaria per poi diffondersi lungo il nostro stivale.

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