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Fumetto

Bruno Brindisi

Dylan Dog? Uno di famiglia

Immagine articolo Fucine MuteNel 2003 la Giuria del concorso nazionale per autori di fumetti Cartoomics (considerato l’Oscar italiano del Fumetto) che si tiene a Milano ormai da nove anni, premiò Bruno Brindisi definendolo “…un giovane caposcuola del fumetto che ha dimostrato qualità tecniche ed artistiche di eccezionale livello. Per la capacità di descrivere ed evocare incubi e sogni, paesaggi reali e fantastici, mettendo il proprio stile a servizio dell’avventura e del divertimento” (Corriere della Sera, 11 aprile 2003).
Bruno Brindisi è sicuramente uno dei disegnatori italiani più produttivi (solo per Dylan Dog ha realizzato migliaia di tavole) ed è anche uno dei più apprezzati, in particolar modo nel nostro paese, anche se all’estero non è di certo uno sconosciuto.
Il suo tratto, sottile, pulito ed estremamente netto e preciso, conferisce un profondo realismo alla tavola disegnata. Dylan Dog deve molte delle sue storie più belle al giovane salernitano, perché con i suoi disegni è capace di andare oltre la semplice sospensione dell’irrealtà, proiettando il lettore direttamente nelle storie.
Non a caso, quindi, la Bonelli ha deciso di affidare matite e chine della sua ultima creatura a Bruno. Bred Barron inaugura un nuovo capitolo della storia della Casa delle Idee italiana e non poteva esserci segno migliore per dar vita all’incubo metropolitano di un’invasione aliena che, dal punto di vista grafico, fa concorrenza alla Guerra dei mondi di Spielberg.

Valentino Sergi (VS): Che ne diresti di cominciare parlandoci dei tuoi primi passi nel mondo del fumetto… Quali speranze ti animavano?

Bruno Brindisi (BB): Non ero animato da particolari speranze, ho iniziato a fare fumetti da bambino, era un bel gioco, un hobby come un altro. Non avrei mai immaginato che sarebbe stato il mio lavoro. Quando ho conosciuto altri ragazzi animati dalla stessa passione, i miei colleghi salernitani, più volitivi e alcuni già proiettati verso il mondo del lavoro, allora ho cominciato a considerare la possibilità di guadagnare qualcosa. Ma se avessi fatto un altro lavoro (come per un periodo ho fatto) avrei comunque disegnato, anche gratis!

VS: Cos’è cambiato quando sei entrato in casa Bonelli?

BB: Dopo un paio d’anni di “gavetta” e di prove per Bonelli mi fu data la possibilità di disegnare per un personaggio già mitico come Dylan Dog, e da allora è veramente cambiato tutto. Un editore come Bonelli credo sia unico al mondo per la correttezza e il grande rispetto con cui tratta tutti i suoi collaboratori, l’incertezza e la precarietà tipiche di questo lavoro con lui non sono mai esistite. E poi disegnare sui testi dei migliori sceneggiatori, per personaggi letti da centinaia di migliaia di persone è una soddisfazione che va ben al di là della “sistemazione” lavorativa.

VS: Cosa puoi dirci di Brad Barron, uno dei tuoi più recenti lavori realizzati per il celebre editore italiano? Cos’ha di diverso dagli altri questo nuovo personaggio?

BB: Con Brad Barron si inaugura in Bonelli la stagione delle miniserie. Fino ad ora ogni personaggio era progettato per durare…in eterno! La diversa situazione del mercato, più incostante e decisamente in crisi ha spinto verso questa nuova politica che, tra l’altro, determina tre vantaggi: la possibilità di mettere “tutta la carne a cuocere” da parte dello sceneggiatore, che non ha bisogno di risparmiarsi per il futuro; l’obbligo da parte del protagonista di avere un fine, un obbiettivo da raggiungere, al contrario degli altri personaggi seriali che vanno avanti senza un progetto, “alla giornata”; e poi la spinta a completare la serie da parte dei lettori e dei collezionisti.

VS: E per te cosa significa lavorare ad un progetto di questo calibro?

BB: Disegnare il numero uno di un nuovo personaggio è stimolante perché svincolato da confronti e riferimenti precedenti, quindi si lavora anche con maggiore libertà. La serie di Faraci tra l’altro è ambientata negli anni cinquanta, quindi ho potuto anche cambiare un po’ registro e andarmi a rivedere le atmosfere e i lavori dei grandi disegnatori di quell’epoca, sopra tutti Alex Toth.

Immagine articolo Fucine MuteVS: Parliamo, invece, di uno dei tuoi personaggi d’elezione: Dylan Dog, cos’è stato e cos’è ancora per te il celebre indagatore dell’incubo? (dopo averne disegnato centinaia e centinaia di tavole credo che non si possa esulare da un po’ di “trasporto sentimentale”… nel senso: o lo si odia o lo si ama, o entrambi)

BB: Dylan è ormai uno di famiglia, dire che lo amo è eccessivo, gli sono molto affezionato, gli devo moltissimo. Quando ho dovuto abbandonarlo per fare altro, a volte per mesi, ogni volta ritornare su quelle pagine è stato come tornare a casa. Potrei annoiarmi a disegnare un fumetto “di genere” come il western o la fantascienza per anni e anni, come capita a tanti colleghi. Ma con Dylan Dog ciò non mi accade perché ha una varietà di registri paragonabile a quella di un organo Hammond (la musica è la mia seconda passione)!

VS: Qual è il tuo approccio alla tavola? Che strumenti utilizzi e cosa ti aiuta a concentrarti?

BB: Prima leggo la tavola. Faccio un abbozzo su un foglio leggero A3 che poi ripasso a matita su cartoncino con il tavolo luminoso. Poi inchiostro. A volte tutto questo senza pause, tranne quelle dovute alla ricerca di documentazione. Durante il lavoro ascolto musica, sempre per me è fondamentale, la sento tutto il tempo ed anche a volumi notevoli, se è il caso! Adoro la black music, soprattutto il soul-funky dei primi anni settanta. Per disegnare uso fogli Fabriano, micromine 0,5 F e pennarelli Pilot DR 0,8 che smeriglio da un lato per modulare il tratto. Per i neri uso evidenziatori a scalpello caricati a china.

VS: Un commento sull’attuale situazione del fumetto…

BB: Da ragazzi si tende a sparare a zero, le cose che piacciono sono capolavori e tutto il resto è cacca. Una visione manichea che con la maturità scompare fino a vedersi quasi appiattire il gusto, per cui alla fine tutto diventa buono, da un certo punto di vista, ma comunque niente è più esaltante. Il mio giudizio più comune ultimamente, ma non solo sul fumetto, anche su musica, cinema ecc. è: BAH! Ma probabilmente mi sono inaridito io.

VS: Quanto è cambiato dai tuoi esordi come disegnatore ad adesso il tuo rapporto con la tavola disegnata?

BB: Ovviamente oggi è molto più rilassato, anche troppo a volte, il panico da pagina bianca è scomparso una volta acquisito un metodo. È fondamentale, prima di iniziare una nuova storia, preparare tutto il materiale che può servire, cioè studio dei personaggi e documentazione. È come preparare la valigia prima di partire per un viaggio!

VS: Chi sono i tuoi maggiori ispiratori? (non solo a livello fumettisitico)

BB: I miei riferimenti da sempre sono Moebius e Alex Toth, anche se ormai in pratica non li riguardo quasi mai, ce li ho nel DNA! Ma sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli, ogni tanto scopro ancora qualcuno che mi da la spinta a fare di meglio, come il grande Robert Fawcett o la bravissima Claire Wendling.

VS: Quali fumetti leggi e quali sono i tuoi preferiti?

BB: Leggo sempre meno fumetti, ma aspetto sempre con piacere una nuova storia di Paolo Bacilieri. Tra le testate bonelliane leggo un po’ di tutto, ma ho il brutto difetto di scegliere solo le storie dei disegnatori che mi piacciono, e non sono tantissimi. Molti mi hanno deluso, perché pur essendo dei talenti, nel corso del tempo non sono migliorati, ma anzi hanno cominciato ad andare avanti di routine. Manga ed americani mi interessano poco. Invece non vedo l’ora che esca ogni nuova ristampa delle storie del commissario Spada di Gianni De Luca, secondo me il più grande disegnatore italiano di sempre. Uno che non mi stancherei mai di rileggere invece è Pazienza.

Immagine articolo Fucine Mute

VS: Oltre ai lavori per casa Bonelli, hai altri progetti in cantiere?

BB: Per la casa editrice francese Les Humanoides Associés sto realizzando una serie di albi di ambientazione storica, la Russia del 1700 per la precisione, che hanno per protagonista un poliziotto imperiale di San Pietroburgo, Alexis Novikov. Il primo è uscito a marzo del 2005, il prossimo è imminente. Testi del belga Patrick Weber.
Ma il mio impegno principale rimane Dylan Dog, di cui sto realizzando la doppia storia del ventennale che uscirà a ottobre di quest’anno, a colori.

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