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The Lesson Betrayed: FFWD>>|

Immagine articolo Fucine Mute“The Lesson Betrayed” è una grande sorpresa, o forse una grande conferma, considerato che è già il secondo album degli Edenshade. Immaginate di noleggiare una sera il dvd di “Pulp Fiction” di Tarantino o di “21 Grams” di Iñarritu, oppure di un qualsiasi altro film contemporaneo caratterizzato dalla struttura a mosaico del montaggio. Pensate poi di infilarlo nel lettore e farlo girare per sbaglio a velocità quadrupla: non ci capirete assolutamente niente, ma avrete assistito al corrispondente cinematografico di “The Lesson Betrayed”. Attenzione però, da smaliziati sceneggiatori quali sono, gli Edenshade riusciranno a farvi appassionare alla deviante storia d’amore che raccontano e vi faranno consumare il telecomando a forza di rewind, forward e skip nel tentativo di ordinare e interpretare i loro pezzi, che sono una sintesi di metal estremo e tentazioni Dream Theater, specie nell’uso delle tastiere. A me era successa la stessa cosa con “Prometheus” degli Emperor, un album che non perdeva un briciolo di forza seppur intricatissimo nelle strutture, ma è chiaro che nel caso specifico il paragone più calzante possa essere quello coi Meshuggah, visto il retroterra death — e non black metal — di Stefano Wosz e soci. Quando avrete finalmente ricostruito la trama del film, avrete modo di apprezzare anche le aperture all’elettronica (“trust in ME”), momenti new metal e un artwork che aderisce alla storia in maniera perfetta. Forse rimarrete perplessi di fronte alla consueta tendenza del metallaro — pur nella maggiore complessità del caso — di abbinare la violenza alle donne (almeno nella sua fervida immaginazione) e vi chiederete cosa sarebbe stato questo disco con delle parti vocali “pulite” leggermente più mature e consapevoli oppure senza quel “lentazzo” in chiusura, certo funzionale al racconto, ma inferiore al resto.

In ogni caso: silenzio in sala! Qui gli Edenshade competono per l’Oscar.

Fabrizio Garau (FG): Siete al secondo album, ma sembra che solo con “The Lesson Betrayed” abbiate avuto una promozione capillare. Vi chiedo di approfittarne e di presentarvi brevemente.

Stefano Wosz (SW): The Lesson Betrayed” è il nostro secondo album, che ha seguito “Ceramic Placebo for a Faint Heart” è uscito nel 2003 su Atrheia Records.
Atrheia aveva lavorato molto bene su “Ceramic…” in Italia, d’altronde il label manager Fabrizio è un personaggio di tutto rispetto (cura tra l’altro gli interessi dei Labyrinth ad esempio): il problema si è venuto a creare quando, dopo un momento iniziale di grande entusiasmo, le cose si sono raffreddate un po’ non riuscendo a trovare un contratto “importante” per le licenze estere, facendo così il disco ha finito per non essere spinto praticamente per niente fuori dai nostri confini, perdendo secondo me una bella occasione, perché si poteva fare davvero bene.

FG: A proposito di promozione: congratulazioni per gli importanti consensi ottenuti. Per forza di cose ci sono molte recensioni italiane, ma ciò che forse sorprenderà qualcuno sono quelle giapponesi…

SW: Be’ ovviamente è chiaro che moltissime recensioni e interviste siano italiane: siamo un gruppo italiano che incide per una label italiana!
Riguardo al Giappone, sin dall’uscita di “Ceramic…” abbiamo avuto un ottimo riscontro di critica da quelle parti, nonostante anche quel disco fosse uscito là soltanto come import. è incredibile constatare come prima dell’uscita di “Lesson…” si fosse venuta a creare una certa aspettativa per il nostro nuovo album, e non immagini quanto sia stato gratificante vedere che le primissime recensioni del nostro nuovo album arrivavano in parallelo dall’Italia e dal Giappone!
La cosa divertente è che, non avendo una label che cura i nostri interessi direttamente in Giappone, molto probabilmente chi ha recensito l’album così velocemente se l’è scaricato da internet! Da un lato fa davvero piacere pensare che ci siano ragazzi dall’altra parte del mondo che adorano la tua musica e facciano di tutto per procurarsi il tuo nuovo album appena disponibile, dall’altra la cosa fa pensare… adesso non voglio mettermi in questa sede a disquisire sulla bontà o meno del peer 2 peer per la musica, ma penso che questa situazione sia davvero esemplificativa dei pro e dei contro della condizione in cui le band come noi si vengono a trovare!

FG: Ancora sul farsi conoscere: quanto è importante nell’era telematica e di MySpace portare sui palchi il proprio disco? Come sono le vostre esibizioni? La complessità dei vostri pezzi viene un po’ meno?

SW: È davvero fondamentale suonare dal vivo! Finché non hai portato in giro la tua musica in lungo e in largo non sarai mai nessuno, rimarrai semplicemente un nome letto da qualche parte su una fanzine o una rivista, e sono convinto che sia proprio questo uno dei motivi per cui dopo l’uscita di “Ceramic…” le cose per noi siano rallentate bruscamente: senza un tour di supporto all’album non siamo riusciti a consolidare i risultati che stavamo ottenendo!
Ripeto: per il genere di musica che facciamo la prova live è assolutamente indispensabile… riguardo la difficoltà di riproporre la nostra musica dal vivo ti posso dire che sì, certe partiture possono richiedere un po’ di concentrazione in più al momento di essere eseguite e sicuramente a volte castrano la volontà di saltare di qua e di là, resta comunque il fatto che non si tratta quasi mai di roba non riproponibile!

FG: Poiché tenete un piede nel metal estremo, vorrei farvi un grosso complimento: quell’accavallarsi a tutta velocità di riff e cambi di tempo mi ha ricordato “Prometheus” degli Emperor; pezzi con grande impatto dunque, ma anche molta tecnica (direi talvolta “tentazioni” Dream Theater). Si pone il classico rischio che la troppa carne al fuoco tolga immediatezza e melodia. Vi siete trovati di fronte a questo problema in sede di composizione?

SW: Grazie del complimento innanzitutto!
Riguardo la seconda parte della tua domanda, quando ci siamo trovati a comporre i pezzi che sarebbero finiti su “Lesson…” abbiamo lavorato parecchio sugli arrangiamenti e sulle strutture dei pezzi, cercando da un lato di creare delle partiture “interessanti” e dall’altro tenendo sempre un occhio alle strutture delle canzoni e dando sempre e comunque priorità assoluta alla melodia: se ci fai caso, tutte le canzoni di “Lesson…” riportano comunque la classica forma canzone, con strofe, ritornelli e variazioni e sono basate sul riff e sulla melodia.
Poi magari partiture ed arrangiamenti sono basati su pattern ritmici particolari, poliritmie o tempi dispari ma l’idea di base era proprio quella di riuscire a creare qualcosa che fosse da un lato complesso, ma che potesse in qualche modo avere una chiave d’accesso immediata, fornita appunto dai ritornelli e dalle melodie.

Immagine articolo Fucine Mute

FG: Avete scelto un percorso solo vostro, operando una sorta di sincretismo tra diversi sottogeneri metal. Tra i gruppi con i quali siete cresciuti, quali vi hanno trasmesso questa mentalità?

SW: È sempre stata una nostra priorità creare qualcosa che fosse solo nostro: è pieno di gruppi che, pur offrendo una proposta musicale davvero valida si limitano a ripercorrere la strada indicata da qualcun altro. Nulla di male, per carità, scelta rispettabilissima, ma quello che cerco dalla mia musica è proprio la possibilità di esprimere me stesso in maniera totale…
Diciamo che in realtà mi è sempre piaciuto ascoltare gruppi che propongono qualcosa di unico e che hanno/hanno avuto il coraggio di creare qualcosa di nuovo. Non so, adoro i Dream Theater come molti si potrebbero aspettare, o i Pain of Salvation, ma sicuramente non tutta la marea di gruppi prog che sono venuti dopo “Images & Words”, per me non ha senso! Perché devo ascoltare qualcuno che suona come i Dream quando ho gli originali? Lo stesso discorso vale, ad esempio per il death svedese, oltre a Dark Tranquillity ed In Flames mi piace ben poco…

FG: Nel disco inserite cautamente anche dell’elettronica (“trust in ME”). In futuro percorrerete questa strada? Quali band secondo voi hanno sono riuscite a fondere bene il metal e le “macchine”?

SW: I Fear Factory sicuramente sono stati pionieri i questo senso, e sono in assoluto uno dei miei gruppi preferiti. Poi direi i Dark Tranquillity di “Haven”, o i Moonspell del periodo “Sin/Pecado”…
Non so se ti ricordi ma c’è stato, qualche anno fa, un periodo in cui tantissime metal band si sono scoperte grandissime fan dei Depeche Mode ed hanno conciato a sfornare dischi con chitarroni metal ed elettronica, creando a mio parere dei risultati davvero interessanti… poi la cosa è rientrata e si sono tutti ributtati indietro riproponendo qualcosa di più consono allo stile che li aveva resi celebri: in quel periodo sono usciti “Sin”, “Haven”, “Host” dei Paradise Lost, per esempio, tutti album carichi di scelte davvero intelligenti e soluzioni interessanti… anche la nostra voglia di elettronica è figlia di quel periodo, quando ci stavamo ritrovando con tutta una serie di dubbi riguardanti quali soluzioni adottare per riuscire ad ammodernare il nostro suono e reinventare l’uso delle tastiere all’interno delle nostre canzoni.
Per cui sì, sicuramente l’elettronica farà parte del nostro suono in maniera importante.

FG: In quest’album cantare con la voce pulita è stata un’esigenza narrativa e una sfida: secondo voi è un punto da migliorare? Qualcuno ha detto che somiglia a quella di Samuel dei Subsonica, però a me ha ricordato i Linea 77 (non il mio gruppo preferito, per così dire).

SW: La scelta di utilizzare prevalentemente un cantato “pulito” ci ha aperto una serie di prospettive incredibili a livello creativo, trasformandoci da una band death metal con influenze prog in un gruppo metal a tutto tondo e ci ha garantito di ampliare in maniera importante le nostre capacità espressive.
Possibilità di miglioramento ci sono sempre, ovviamente, soprattutto per chi come noi si è appena affacciato in un “nuovo mondo” e sta iniziando a padroneggiarne le possibilità.
Riguardo le influenze: Linea 77 onestamente praticamente non li ho mai ascoltati, per quello che riguarda i Subsonica ti posso dire che sono sicuramente una nostra influenza e uno dei miei gruppi preferiti… spero nessuno si scandalizzi!

FG: “The Lesson Betrayed” parla dell’ossessione patologica per una ragazza. Alcuni, certo i classici benpensanti, ma anche la più colta critica “indie”, avranno gioco facile nel tacciarvi del classico maschilismo metallaro, condito di immaturità e violenza gratuita. Qual è il vostro commento in proposito?

SW: No, dai…! Maschilismo metallaro? No, non credo proprio… anzi se proprio qualcuno potrebbe darci addosso sono i “machi” del metal per la ragione opposta!
“Lesson…” parla sì dell’ossessione quasi “patologica”, come dici tu (ottima definizione!), per una donna, ma cerca di esplorare la fragilità della condizione di un uomo che si trova a dipendere in tutto e per tutto dall’amore per questa persona: a tutti gli effetti dunque il protagonista della storia è davvero “sottomesso”, un vera “femminuccia” se vuoi!
A parte le battute, è comunque una storia, un racconto: non ho pensato che nessuno potrebbe mai accusarmi/accusarci di una cosa del genere per la storia raccontata in “Lesson…”: si tratta a tutti gli effetti di una storia dai risvolti psicologici, che vuole analizzare la condizione di un uomo che si trova ad un punto di svolta della sua vita a dover combattere con un peccato commesso che segnerà per sempre la sua coscienza.

FG: La storia di “The Lesson…” viene raccontata filmandone diversi momenti significativi senza seguire un ordine cronologico, un po’ come nei film di Tarantino (o Iñarritu). Come mai avete scelto questo tipo di narrazione?

SW: L’idea della scomposizione temporale de racconti che si trova in molto del cinema moderno mi ha sempre colpito: non è detto che per raccontare una storia il filo logico più corretto da seguire sia per forza quello del flusso temporale degli eventi. In “Lesson…” la storia è raccontata in modo tale da mostrare in una prima fase il dramma interiore di un uomo senza più punti di riferimento, solo citando il fatto che la sua situazione è tale perché ha commesso qualcosa di grave e perso qualcuno che per lui era importante, poi raccontando in maniera più umana il senso di vuoto lasciato da questa perdita e svelare solo nel finale che la causa della perdita era proprio il peccato che questa persona aveva commesso. In questa maniera chi segue la storia si trova ad immedesimarsi con il protagonista, sentendolo sempre più vicino e scoprendo solo alla fine il personaggio che ha cominciato ad amare in realtà è “il cattivo” della storia…

FG: Il primo pezzo si intitola “Tmesis”: è un termine molto impegnativo. Potete spiegarne il significato?

SW: La tmesi è una figura retorica in cui una parola viene divisa in due parti, comunque di senso compiuto, lasciando la prima parte alla fine di un verso e la seconda all’inizio di quello successivo. Alla stessa maniera la vita del protagonista è stata divisa in due parti dall’evento raccontato nella storia, rendendolo di fatto un persona diversa da quello che era prima.
Il protagonista si rende conto di trovarsi di fronte ad un taglio netto della sua vita, senza però capire che riuscirà a perdonare se stesso e ritrovare la pace solo nel momento in cui riuscirà a rendersi conto che, come in una tmesi, la sua vita e la sua persona sono un insieme di ciò che c’era prima e di ciò che ci sarà.

Immagine articolo Fucine Mute

FG: La frase ricorrente è “sometimes you need to close your eyes”. Vi va di spiegarne il significato?

SW: Il protagonista della storia sceglie di non chiamare i soccorsi quando trova la ragazza che amava, una tossicodipendente che lo stava sfruttando e annullando, in preda ad un’overdose.
La grande colpa di cui si macchia è perciò un peccato di omissione: chiudere gli occhi di fronte alla propria coscienza e alle proprie regole morali per un istante soltanto per ottenere la “libertà” da una strada apparentemente senza via di uscita. Ma a quale prezzo per la sua coscienza?

FG: Avete di recente suonato in un importante festival del Sud Italia. Cosa dobbiamo aspettarci in futuro dagli Edenshade?

SW: Per il momento altre date dal vivo! Stiamo organizzando una serie di date in Italia per promuovere “Lesson…” il più possibile!
Saremo a Roma il 10 Novembre al Palarockness insieme ai Disease ed il 1° Dicembre suoneremo un concerto praticamente in casa a Montegranaro, in un nuovo locale che si chiama “La Tana delle Tigri”. La data prevista invece per il 8 Novembre con i Node all’Anomalia a Prato è stata rimandata per motivi tecnici e devono ancora confermarci quando sarà recuperata.
Altre date sono comunque in via di definizione, sperando di poter fare una puntatine all’estero!

Title: The Lesson Betrayed
Record label: My Kingdom Music
Tracklist: 1. tMésis – 2. thatBlind – 3. theY – 4. the Drop – 5. the Lesson Betrayed – 6. Contemplate – 7. trust In ME – 8. as Water – 9. Insect – 10. day zer0
Recorded, mixed & mastered: by Stefano Wosz and EDENSHADE at Duality Studios (Italy).
Drums recorded: at Potemkin Studio.
Line-up: Roberto Cardinali (drums), Lorenzo Morresi (vocals), Stefano Wosz (guitars), Massimiliano Wosz (electronics), Daniele Tiberi (bass)
Artwork, Layout & Design: Stefano Wosz

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