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Cinema

Cheng Yu-Chieh

Severance

Severance,
The birds of leaving call to us,
Yet here we stand
Endowed with the fear of flight

locandina del filmIntervista a Cheng Yu-Chieh, in concorso alla 63° Mostra del Cinema di Venezia con la sua opera prima Do over.
Cheng è un giovanissimo regista di Taiwan dal nome difficile da ricordare, al contrario di quel che accade quando iniziano a scorrere i titoli di coda del suo dolcissimo Do over — L’inizio di un anno e della carriera di uno spaesato giapano — taiwanese, ubriacato dal buon vino italiano e cresciuto artisticamente con Nuovo Cinema Paradiso.
Quei ragazzi raccontati tra l’irrazionalità che caratterizza la vita degli artisti e la voglia costante di andare oltre, un regista attento a riprendere l’irreale della realtà e la ricerca costante di un’identità persa dove il passato si congiunge al futuro. Sono gli ingredienti di una storia ambientata a Taiwan, ma potenzialmente nella biografia di quasi tutti noi.
Se avessimo l’opportunità di ribaltare il corso della nostra vita, come vorremmo che le cose andassero a finire? Il montaggio di Do Over imposta la domanda senza fornire mai una risposta perentoria. Questo si chiede Cheng, regista dalle poche primavere, ma di gran talento, capace di rispettare i tempi narrativi e ben supportato dalla macchina commerciale taiwanese. Il registro cinematografico Cheng sembra ponderare la difficile distanza tra realtà e finzione cinematografica: la possibilità di piangere di gioia e di dolore allo stesso momento è consapevolezza di essere vivo. Cheng, sceneggiatore, regista e attore vive questo contrasto come il motore generativo del suo cinema, incredibilmente maturo e complesso, del quale sentiremo ancora parlare molto.

Jimmy Milanese (JM): Alla 21° Settimana internazionale della critica Cheng Yu-Chieh (Taiwan) presenta Yi Nian Zhi Chu Do over. Cheng, questo film presenta un montaggio del tutto particolare, soprattutto se pensiamo che sei alla tua opera prima. Dove trae origine questa idea?

Cheng Yu-Chiec (CYC): Essenzialmente questo film nasce dall’incontro di differenti posti e dalla collaborazione con i miei amici, quelli con i quali passo il tempo.

JM: Il tuo film racconta di una storia sospesa tra un incerto passato, presente e futuro. Ci sono dei ragazzi giovani, o di aspetto giovanile, alla ricerca di una nuova identità. Questa idea è raccontata sotto forma di un processo che non conduce mai ad una fine, quindi, che non rivela mai una chiara identità.

CYC: Sì, concordo. Quello che dici rappresenta bene il mio film, senza identità precisa, come la mia personalità o le mie origini del tutto aderenti al messaggio filmico. Ad esempio, mio padre proviene dal Giappone, mentre mia madre è di origini taiwanesi. C’è un mix di identità insita nella mia famiglia, dove sempre sono presenti almeno due culture contemporaneamente. Quindi, la questione della ricerca dell’identità è stato un fatto scontato per tutta la mia adolescenza. Ho sempre cercato di accomodare le differenze al fine di realizzare uno stile di vita confortevole; per questo nel mio film racconto questo genere di storie.

scena del film

JM: Sembra che i protagonisti del tuo film siano refrattari alla conversazione; nessuno sembra realmente interessato ad ascoltare per capire. C’è un gruppo di ragazzi completamente disconnessi dalla realtà circostante. È corretta questa interpretazione?

CYC: Sì, è corretta. Comunque, non mi spiego il motivo per il quale questa pellicola sia diventata per molti così poco realistica. Certo, c’è una enorme e chiara distanza tra la realtà e le persone che popolano il mio film. Quando questa distanza si dilata troppo penso che il cinema possa finire per annoiare gli spettatori, perciò ho cercato di tenere sotto controllo questo aspetto, pur nel rispetto della sceneggiatura. In fondo, io amo il realismo cinematografico, la scuola italiana neorealista, per essere precisi. Anche se questo film sembra astratto è a quella scuola che io mi ispiro, quindi il mio prossimo film sarà molto più aderente alla realtà, ovvero a come io la vedo.

JM: Ci sono molti elementi cinematografici interessanti e di rilievo nel tuo lungometraggio. In particolare il plot sul quale vorrei avere un tuo commento. Ad un certo punto uno dei ragazzi protagonisti si chiede: Cosa è importante nella vita, cosa è realmente importante nella vita? Lui ripete ossessivamente questa domanda. Allora, cosa è importante realmente nella vita secondo te?

CYC: Vivere costantemente sopra una certa soglia di sopravvivenza.

JM: Forse facendo film?

CYC: Certo, ma coltivando un senso di speranza, un sogno, un desiderio ispiratore. Io sono alla ricerca del significato della vita, del suo senso profondo, dei suoi significanti. Purtroppo non ho ancora risposte sagge o colte sulle quali basare la mia ricerca. Forse, molte persone vivono la mia stessa condizione e sono alla disperata e ossessiva ricerca del senso della vita in ogni sua forma. Forse cerchiamo quello che non potremo mai trovare e questo è il senso della vita. In questi giorni io sono semplicemente felice di essere vivo e stare qui con te. Ad esempio, quando incontri una ragazza e senti che qualcosa sta nascendo e capisci che questa cosa, qualunque sia la sua intensità sta crescendo reciprocamente, pensi che quello debba essere il paradiso, il tuo paradiso. Adesso io provo proprio questa sensazione.

scena del filmJM: Rimaniamo sull’amore. Tu investighi questo sentimento in modo del tutto particolare nel tuo lungometraggio. Molto distante è il significato che tu gli attribuisci, rispetto ai canali comunicativi tipici della cultura italiana.

CYC: Veramente? Questo potrebbe allora valere anche nel caso della cultura taiwanese. L’amore è forse uno dei concetti più ambigui che il mondo conosca. In questo mondo ci sono molteplici significati attribuibili al sentimento in questione. L’amore è sempre differente e forse l’amore è proprio differenza in senso stretto. Se due persone condividono un sentimento, come gli amici vivono nel mio film, allora si apre un canale comunicativo che rende queste persone molto simili. In ogni modo, per quali e quante siano le similitudini, resta sempre qualcosa di inespresso e inconoscibile che rende la comprensione reciproca lacunosa, anche se, come dire, fai il bagno nella stessa acqua (il riferimento è a una scena di Do Over, ndr). Io faccio cinema per dire queste cose, perché il cinema è amore per qualcosa, ma sempre in forme diverse. Tu provi ad esprimere qualcosa di veramente personale, ma chi ti guarda, per forza di cose, la percepirà in modo diverso.

JM: È proprio vero che tu ami questo lavoro. Inoltre, hai sperimentato sia il ruolo del regista sia quello di attore. Quale dei due ti affascina maggiormente?

CYC: Per me non ci sono differenze importanti. Non riesco a dire quale sia la mia collocazione, per il momento. I ruoli del regista e dell’attore sono sono solo due modi di raccontare la stessa storia. Cambia il modo di sentirla. Il messaggio è persistente, cambia il modo di comunicarlo. Certo, quando devo interpretare un personaggio sono molto più aderente alla sceneggiatura e tutto sembra più facile. In un certo senso è come dover vivere per un attimo la vita di un’altra persona. Quando recito è come se stessi facendo un documentario, perché sto vivendo il modo di vivere e sentire di una persona che non conosco. L’esperienza dell’attore si muove tra la rappresentazione dell’altro e la limitazione di se stessi. Invece, quando sono dietro alla macchina da presa, il lavoro da fare è diverso. Il sapore dell’impresa cambia, così come la dolcezza con la quale la devi portare a termine. Devi condividere quel sogno o quell’idea con altre persone dello staff, devi raccontare una storia, la tua storia, ma necessariamente con il supporto dell’intera troupe. In questo vedo la maggiore differenza tra recitare e dirigere.

JM: Ho notato che il tuo film presenta molti caratteri di originalità. Questo è veramente incredibile, perché manca in un autore così giovane un chiaro e comodo riferimento al lavoro di altri registi contemporanei o meno. Comunque, sono sicuro che la tua prospettiva particolare debba avere qualche referente, magari in registi italiani come Giuseppe Tornatore, citato in conferenza stampa.

CYC: Sì, certo, i suoi film hanno la capacità di “riscaldarti”. Puoi ridere e piangere di fronte alla stessa scena, come nel film Nuovo Cinema Paradiso. Ho visto questo capolavoro quando ero veramente giovane, e ho provato un brivido immenso, qualcosa di eccezionale che cresceva in me. Mi sono sentito vivo per la prima volta nell’istante in cui mi sono ritrovato a piangere e a ridere allo stesso tempo. Quel momento è stato una svolta nella mia vita.
Io amo anche Coureda, un famoso regista giapponese, che ha girato un film intitolato Distanza, appunto. Lui inserisce sempre una certa distanza tra le sue idee e la realtà, la sua intenzione non è certo quella di scappare dalla realtà, ma di rendere meravigliosa quella stessa realtà.

Cheng Yu-ChienJM: Cosa stai preparando in questo momento?

CYC: Nulla in particolare. Devo prima imparare molte cose e guardare cosa c’è di buono dentro di me. Nei miei film ho sperimentato molti linguaggi, sui quali ora devo lavorare in maniera più approfondita. Per questo è arrivato il momento di riflettere, con la mia famiglia e i miei amici. Forse tra due o tre anni avrò qualche idea, non lo so per certo… ci sono così tante cose nel mio computer. Comunque, prima di tutto devo resettare la mia mente e poi vedremo cosa succederà.

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