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Cinema

Sulle Giornate del Cinema Muto 2006

locandina XXV edizione delle Giornate del cinema muto“Dio mio come passa il tempo” avrebbe affermato con serafica indolenza il grande Totò. E, senza ombra di dubbio, i 25 anni delle Giornate del cinema muto di Pordenone (e di Sacile) sono un bel traguardo che merita di essere ricordato e celebrato.
Il ristretto manipolo di coraggiosi cinefili che, in modo quasi carbonaro, organizzò in un week-end del 1982 una retrospettiva su Max Linder, Cretinetti, Kri Kri, e Polidor, per un totale di 49 film, certamente non avrebbe immaginato che quella loro fragile iniziativa avrebbe richiamato, cinque lustri dopo, un esercito di oltre ottocento adepti alla decima musa. In effetti l’idea di rivisitare gli albori del cinema è diventata, nel corso del tempo, una bella realtà ampiamente consolidata ed universalmente apprezzata. Merito soprattutto di due ragazzi di allora, Livio Jacob e Piera Patat, che quel lontano sogno hanno saputo coltivare pazientemente con tanta passione e altrettanta competenza. Ma, aldilà del legittimo orgoglio degli organizzatori e alle numerosissime scoperte cinematografiche, se si ripensa alle edizioni passate non si può non ricordare i tanti amici e colleghi che delle Giornate sono stati compagni di viaggio e che ora ci hanno lasciati, come Angelo R. Humuda, Alberto Farassino, Mario Quargnolo e Davide Turconi. Reso doveroso omaggio ai cari maestri scomparsi, veniamo a rendere conto delle tante proposte che hanno caratterizzato questa 25a edizione. Le luci della ribalta si sono, metaforicamente, accese su alcune icone del cinema muto. Di Rodolfo Valentino si è visto Stolen moments (1920) di James Vincent, in cui il nostro divo di Castellaneta si cimenta nel ruolo di un paffuto cattivo latino che va incontro ad una inaspettata e tragica fine. Solamente con il successivo I quattro cavalieri dall’apocalisse (1921) avrà l’opportunità di prodursi in un ruolo da protagonista tagliato su misura del suo fascino. L’altro film proposto è stato The young Rajah (1922) di Philip Rosen, un’opera che ci è giunta in un’edizione ridotta della durata di 50 minuti, in cui era coinvolta, come costumista, anche la moglie di Valentino, Natacha Rambova. Inoltre, è stato proposto il recente cortometraggio Good night Valentino (2003) scritto, diretto e interpretato da un giovane italo-americano, Edoardo Ballerini, attento cultore del grande Rudy, ricostruisce la drammatica intervista, concessa pochi giorni prima di morire, in cui il celebre latin lover difendeva la propria reputazione.

Rodolfo Valentino con la moglie Natacha Rambova

Decisamente meno attraente di Valentino, ma maestro nell’interpretare personaggi bizzarri e grotteschi, Lon Chaney (1883-1930) è stato omaggiato con tre film: Poor Jackie’s Demise (1913) di Allen Curtis, Broadway love (1918) di Ida May Park e Mockerey (1927) di Benjamin Christensen. Particolarmente interessante quest’ultimo, in cui l’attore disegna con bravura il ruolo di un rozzo contadino russo che, aiutando nella fuga una nobildonna, corre grossi pericoli ai tempi della rivoluzione russa. Meno note, ma baciate un tempo da un effimero successo, Mary Miles Minter e Olive Thomas sono state ricordate con A dream or two ago (1916) di James Kirkwood e Out yonder (1919) di Ralph Ince. Quest’ultimo è il fratello minore di un altro gigante del cinema muto: Thomas H. Ince che le Giornate avevano, per così dire, riscoperto già nel 1984. Oggi, con la competente consulenza del critico Steven Higgins, sono stati proposti sei lungometraggi accuratamente selezionati. La sua più grandiosa e celebre produzione è Civilization (1916), con successiva riedizione nel 1931, una sorta di inno al pacifismo, ricco di riferimenti alla situazione politica di allora e di simbologie religiose, compreso il ritorno di Cristo sulla Terra. Da ricordare ancora The coward (1915) sulla guerra civile americana e War in the planes (1912) sul conflitto che oppose pellirosse a coloni.
Ma il nucleo centrale di quest’anno è stata la celebrazione dei cent’anni della compagnia tuttora in attività. Il merito della sua nascita si deve ad Ole Olsen (1863-1943) che, dopo essere stato imbonitore nelle fiere, aveva deciso di puntare sulla nascente attrattiva dei film acquisendo una sala, il Biograph-Theatret, nel centro di Copenhagen.

Nordisk Films

Successivamente decise di filmare lui stesso le scene da proiettare nel suo cinema. Quindi, nel 1906 affittò un terreno poco fuori la capitale, a Valby, dove far sorgere un attrezzatissimo studio cinematografico. Il 15 settembre di quell’anno ebbe la soddisfazione di poter proiettare il primo programma di soli film danesi. Olsen era particolarmente abile nel sintonizzarsi sui gusti del pubblico, ed ottenne un enorme successo con Caccia all’orso polare (1907) e Caccia al leone (1908) che furono visti anche all’estero. Per quest’ultimo film andò incontro anche a qualche guaio giudiziario su denuncia della locale società umanitaria. Ciò, in ogni caso, non gli impedì di realizzare Caccia all’orso in Russia (1909), anch’esso esportato con successo. Se nel primo anno di produzione la Nordisk mise in cantiere trentasette film, tre anni dopo la cifra superava il centinaio arrivando a coprire tutti i generi più popolari, dal melodramma alle comiche, senza tralasciare temi particolari come la tratta delle bianche e le storie legate all’harem. Gli anni di maggior fulgore riguardarono il periodo 1911-1916 grazie soprattutto all’abilità da mattatore di Valdemar Psilander (1884-1917), un divo dell’epoca protagonista di ben 83 film. Disgraziatamente morì a solo 32 anni e l’ultima sua opera, Il clown, uscì due mesi dopo la sua scomparsa. In quel periodo la Nordisk realizzò più di 700 film di fiction. Con lo scoppio della prima guerra mondiale iniziarono i problemi di distribuzione all’estero, mentre sul mercato interno continuava una variegata produzione, con costi spesso sostenuti. Tra gli attori illustri che iniziarono alla Nordisk non si può non ricordare un maestro come Carl Th. Dreyer, che debuttò nella regia con Il presidente (1919), seguito l’anno dopo da Pagine del libro di Satana. In seguito i risultati economici furono sempre più insoddisfacenti, finché nel 1928 la società fu costretta alla liquidazione. Poco dopo però risorse come Nordisk Tonefilm.

Louise Brooks

Un altro centenario ha riguardato un’attrice il cui fascino non è stato minimamente scalfito dallo scorrere del tempo. Lei, Louise Brooks, nata a Cherryvale nel Kansas il 14 novembre 1906 e scomparsa a Rochester nel 1985, ha avuto una carriera relativamente breve, ma la sua immagine nel fulgore dei suoi anni giovanili è rimasta così impressa nell’immaginario collettivo da aver affascinato legioni di ammiratori, fra cui il compianto disegnatore Guido Crepax che l’ha presa a modello per il personaggio di Valentina. Della Brooks è stata proiettata una splendida copia con didascalie di Prix de beauté (1930) di Augusto Genina, dove interpreta una modesta impiegata che viene eletta, prima, reginetta di Francia e poi Miss Europa. Dopo un matrimonio infelice la ragazza fugge di casa ed ottiene, per intercessione di un principe, di essere protagonista di una pellicola. Ma i sogni di gloria vengono recisi brutalmente da una revolverata esplosa dal marito geloso. Il film fu girato secondo i canoni del cinema muto e poco dopo sonorizzato in quattro lingue, di cui l’unica copia conservatasi è quella francese.

Lillian GishUn’altra musa del cinema, Lillian Gish, deceduta quasi centenaria nel 1993, è stata omaggiata con uno dei suoi film più intensi Agonia sui ghiacci (1920) di David W. Griffith, di cui è stata proposta la produzione 1919-1920. Si tratta di un melodramma a fosche tinte che vede Anna, una ragazza di campagna, andare in città in cerca di lavoro. Qui incontra e sposa un signorotto che poco dopo l’abbandona. Trovato rifugio presso una famiglia religiosa, dove simpatizza con il giovane figlio David, viene rintracciata dal perfido marito che la spinge sull’orlo della disperazione. Finita in una bufera invernale, sul precipizio di un lastrone di ghiaccio, viene tratta in salvo dal provvidenziale arrivo di David. Il film ottenne all’epoca un enorme successo, soprattutto per le emozionanti sequenze finali e venne rifatto, 15 anni dopo, da Henry King.
Un altro capolavoro kolossal, celebre per il coinvolgimento letterario di Gabriele D’annunzio, è il famosissimo Cabiria di Giovanni Pastrone, presentato sia nella versione muta del 1914 sia in quella sonora del 1931, entrambe recentemente restaurate. La vicenda della piccola Cabiria, venduta come schiava a Cartagine, con tutte le successive complicazioni, continua ancora ad avvincere, come si è visto dall’accoglienza riservata dal folto pubblico delle Giornate. Tra le altre proposte come non entusiasmarsi ad una selezione di dieci , originalissime storielle animate nate nel 1929 dal genio creativo di Walt Disney e tendenti a sincronizzare perfettamente suoni e disegni. In più, a corollario delle proiezioni, è stato edito un bellissimo volume ad opera dei curatori della rassegna Russell Merritt e J.B. Kaufman.
Silly SinphoniesIl tradizionale evento di chiusura ha ridato visibilità al Lubitsch berlinese, non ancora attratto dalle sirene hollywoodiane. Ne La principessa delle ostriche (1919) il grande Ernst si diverte e ci diverte mettendo a confronto i ricchi rampanti americani con gli aristocratici decadenti europei. Il signor Quaker, prototipo dei primi, si è stabilito in una sfarzosa villa di stile europeo. Sua figlia, la principessa del titolo, avvampa di gelosia quando viene a sapere che la principessa del lucido da scarpe sposerà un nobile. Per placare la sua crisi isterica, il padre le promette che comprerà per lei un principe. Ma la situazione, per uno scambio di persone, si ingarbuglierà. Lubitsch, memore dell’operetta austro-ungarica, mette alla berlina il comportamento dei suoi personaggi e ci regala alcune sequenza memorabili come il banchetto di nozze.
Oltre alle immagini che scorrono davanti al proiettore, Sacile, in attesa del prossimo ritorno a Pordenone, è stata anche la sede di due mostre che hanno messo in luce aspetti diversi di un glorioso passato.
Grazie al contribuito del Museo nazionale del cinema di Torino, sono state selezionate fotografie di attori, registri, e tecnici che, agli inizi del secolo scorso, hanno contribuito a fare di Torino la capitale della cinematografia italiana dell’epoca. Lì, infatti, operarono celebri case di produzione come la Ambrosio, l’Itala Film, la Film Artistica Gloria, la Pasquali e la Savoia, ed artisti prestigiosi come Giovanni Pastrone, Domenico Gajdo, Luigi Maggi, Mario Caserini, Segundo de Chomon, Decoroso Bonifanti e Giovanni Vitrotti.
L’altra mostra ci ha fatto conoscere un Chaplin inedito grazie alla collezione fotografica di Toraichi Kono (1885-1971). Chi volesse sapere qualcosa di Kono, compulsando qualche corposa storia del cinema, rimarrebbe a bocca asciutta. Perché il suo ruolo fu extra cinematografico e, all’inizio, solo di collaboratore domestico ed autista di Chaplin. Ma andiamo per ordine. Toraichi, nato da un’agiata famiglia ad Hiroshima, a soli cinque anni si recò negli Stati Uniti per motivi di studio.

Chaplin e la moglie Paulette Godard

Dieci anni più tardi volle imparare a volare, e nel 1916 conobbe il papà di Charlot che era alla ricerca di qualcuno che lo sollevasse da alcune incombenze pratiche. La sua capacità di affrontare e risolvere problemi di ogni tipo indusse Chaplin ad affidargli mansioni sempre più impegnative, al punto tale che egli diventò, nel corso di vent’anni, molto più di un consigliere fidato. Inoltre, su suggerimento di Kono, Chaplin compì quattro viaggi in Giappone riportandone sensazioni molto positive. Tutto filò liscio fin quando si affacciò all’orizzonte l’attrice, che non gradiva l’eccessiva influenza dell’orientale su quello che sarebbe diventato suo marito. Così, un po’ a malincuore, Chaplin lo congedò, non senza tuttavia essersi speso per trovargli un lavoro alla United Artists di Tokyo. Ritornato successivamente negli Stati Uniti, Kono venne accusato di essere una spia e imprigionato durate la seconda guerra mondiale. Quindi rientrò nella capitale giapponese, dove si unì in matrimonio con una donna molto più giovane di lui, Tomie Higashijia. Quest’ultima ha messo ora a disposizione molte fotografie inedite che ci fanno conoscere la Hollywood degli anni Venti e Trenta e i soggiorni orientali dell’illustre ospite. La mostra, dopo un’esposizione a Kyoto e a Nara, è approdata in Friuli. Non fosse altro che per il piacere di scoprire un Chaplin mai visto alla corte del Sol Levante, la visita a Sacile sarebbe già ampiamente giustificata.

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