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Omnia

Viva Vista!

Java flavoured videos

Kill BillState tranquilli, quando titolo “Viva Vista!” non voglio certo produrmi in esercizio elegiaco per il nuovo sistema operativo di casa Redmond, o in tentativo altrettanto goffo di captatio benevolentiae nei confronti del suo fondatore, l’uomo più ricco al mondo. Niente di tutto ciò, anzi son quasi convinto che nella sua ultima fatica (Kill Bill, per l’appunto), il pulp-Tarantino abbia voluto, con quel titolo, dare inconsciamente voce ad un intimo sentire che è non solo suo ma anche di tutto quel miliardo di persone che in un anno intero guadagnano ciò che mister Gates introita in una sola ora. Come dire, una differenza pro capite che si calcola in quindici ordini di grandezza.
Provate ad immaginare una bilancia in situazione di equilibrio: in un piatto mettete un’unica persona, rispetto a ciò che essa rappresenta in termini di potere d’acquisto, e nell’altro 262.800 miliardi di persone (sic!), a bilanciare la stechiometria di un’equazione mostruosa.
Refrain: state tranquilli, da queste parti sappiamo ben distinguere la differenza tra il software proprietario, le cui licenze commerciali si acquistano al costo di fior di quattrini, e quello open source, a distribuzione gratuita, liberamente modificabile, ancorché frutto del lavoro, nuovamente gratuito, di migliaia di persone. Sarà mica un caso che il server che eroga la pagina che state leggendo sia impersonato da un saggio Apache, piuttosto che da un solipsistico IIS (acronimo di “Internet IS”, con un omesso “mine” a seguire, ogni volta che Bill pensa a fin dove potrebbe spingersi l’ambizione per la sua prossima conquista)?

codiceSia ben chiaro: nulla in contrario, da parte del sottoscritto, nei confronti del software sviluppato da chi poi, in virtù questo suo essersi speso in opera frutto del suo intelletto, giustamente chiede di far valere alcuni diritti economici o di proprietà tout court. Esiste un’intera ed anche potente industria nei cui meccanismi rientrano migliaia di software house che a loro volta danno lavoro a milioni di esseri umani, e non è certo mia volontà criminalizzare un’intera categoria imprenditoriale che legittimamente svolge la propria attività. Io stesso appartengo a quell’industria, e non sono peraltro avvezzo a sputare nel piatto in cui mangio o – giammai! – a rinnegare il sano, giusto ed onesto pane quotidiano.
Resta il fatto che da una parte la propria fortuna certe Big Corporations l’hanno fatta blindando il codice sorgente delle infrastrutture applicative da esse sviluppate, incarnando, di fatto, il malsano principio di una società tecnocratica in cui il potere è relegato ad una conoscenza che è appannaggio esclusivo di pochi eletti; mentre dall’altra parte, altre realtà hanno costruito un modello tecnologico, industriale ed oserei dire sociale, se non addirittura gnoseologico, in cui la conoscenza è alla portata di chicchessia, in cui la sua condivisione collaborativa è principio primo ed ultimo da perseguire. E tra le due visioni di un mondo, peraltro sempre più in mano agli automatismi di macchine quasi senzienti, diciamo che non mi vergogno in alcun modo di preferire quella “democratica” di sistemi operativi quali GNU Linux (nuovamente: sarà un caso che Fucine Mute viva in Debian Sarge, una distribuzione Linux, rectius: la distribuzione per antonomasia?), rispetto ad altri che democratici non sono né vogliono essere.

codiceInsomma, per farla breve: siamo stanchi e stufi di veder costantemente condizionate le nostre scelte operative in relazione all’installazione di software che una qualche sedicente autorità, autoproclamantesi tale, si arroga il diritto di ritenere dannoso per il nostro computer, fino al punto d’impedirci, di fatto, di farne un utilizzo anche minimo, o quel che sia ad ogni modo; siamo stanchi e stufi di un’invadenza massiva da parte di coloro i quali non solo prima ci costringono coattivamente ad usare i loro prodotti (se andate a comprare un computer portatile, scommettiamo che vi ritrovate preinstallato Microsoft Vista?) ma poi anche osteggiano l’integrazione di software prodotto da terze parti con quello ormai ben radicato nei nostri sistemi di elaborazione dell’informazione (mi riferisco, ad esempio, ai vari controlli ActiveX, necessari – quando è possibile installarli – per estendere le funzionalità del ben noto browser Internet Explorer).
E badate bene che “osteggiare” o “impedire” significa non solo negare l’installazione di software non gradito: impedire, in questo contesto, significa anche, ed ancor più subdolamente, fornirci soluzioni preconfezionate (pre-stabilite, pre-cotte) che siano sempre e comunque preferibili a quelle alternative che a questo punto diventano ben più che tali, ovvero alternative al punto da far venir meno in noi la consapevolezza che un’effettiva capacità di scelta può ancora essere esercitata.

Famose le vexatae quaestiones di Windows Media Player, il client predefinito, in sistemi Windows, per la fruizione di contenuti multimediali. Il fatto che la Microsoft abbia dapprima incarnato un principio di concorrenza sleale nei confronti di altre software house che, a loro volta produttrici di player multimediali, sono state tagliate fuori dal mercato e che poi la stessa Microsoft abbia fatto spallucce ad una sanzione europea di quasi 500 milioni di euro, la dice lunga su quanto alcuni colossi possano fare il buono e cattivo tempo, dall’alto delle loro posizioni dominanti.

crackerPeraltro, se ci pensate, è un circolo vizioso che retroattivamente si autoalimenta: quanto più un codice sorgente è “chiuso”, quindi conosciuto da solo poche persone, tanto più è probabile che errori di programmazione si annidino al suo interno. Quando un programma consta in milioni di linee di codice allora anche i beta tester più smaliziati, i sistemisti più competenti, i programmatori e profiler più esperti possono dar prova della loro umanità, intesa nel senso di caratteristica di quanti possono commettere errori. Errori che danno il destro ad exploit di sicurezza (vulnerabilità dei servizi, corruzione dell’informazione), per non parlare della proliferazione di virus informatici che a loro volta alimentano uno spam che va ad assommarsi a quello in altro modo – nuovamente umano, anzi diabolico (nel senso di caratteristica di quanti vogliono reiterare errori) – prodotto.
E poi si sa, l’appetito vien mangiando… Un ladro più probabilmente farà razzia nell’IperCoop o nel MegaStore provvisto di ogni ben di dio, piuttosto che nella piccola drogheria sotto casa e a conduzione familiare. In entrambi i casi un solo cancello separa il bottino dal sacco che andrà a contenerlo, solo che nel primo caso i sacchi potrebbero essere insufficienti e nel secondo uno solo potrebbe essere fin troppo. Ed ecco, quindi, che due generazioni almeno di cracker (non quelli che si sgranocchiano, l’esempio appena lasciato alle spalle potrebbe ingenerare ambiguità in tal senso) quando hanno potuto hanno deciso di mettere in pratica la loro expertise per violare sistemi informatici che fossero quanto più possibilmente diffusi, ovvero quelli Windows-like.
“One size fits all”, cantava irriverente un Frank Zappa d’altri tempi, che peraltro, in questi, sarebbe stato sensibile a tematiche di tal guisa. Oggi potremmo riscriverne il titolo in “One bug cracks all”.

hackering

Perché “Viva Vista!”, allora? Perché una software house italiana, certamente piccola rispetto alle Big Corporations suesposte, e più precisamente una società in accomandita semplice chiamata Vista Tecnologie ed operante in quel di Ravenna, ha sviluppato un sistema di video streaming che agli occhi del sottoscritto, che pur di video e web si occupa da una vita, ha dell’eccezionale a dir poco.
Con VideoVista Streaming Software questa società è riuscita nell’impresa di creare una validissima alternativa a soluzioni pure di streaming on-demand più blasonate ma certamente più costose, nonostante esse siano meno appetibili, sia dal punto di vista tecnologico (Vista offre molti più servizi di altri) sia dal punto di vista dei costi coinvolti (Vista costa molto meno di altri).

moneyDue conti à la carte. Chi vuole fare streaming video in Flash, deve dotarsi del Flash Communication Server MX (che adesso, dopo la fusione tra Macromedia e Adobe, si chiama “Macromedia Flash Media Server”), la cui licenza costa a partire da 4.700,00 euro per poi rapidamente salire a seconda degli add-on o plugin di cui si desidera avvalersi. Chi vuole usare le soluzioni proposte da RealNetwors deve sborsare dai 2.500,00 euro in su, mentre ciò che Microsoft mette a disposizione per utilizzi analoghi è incluso nel Windows Server 2003, ed in questo caso si va da 999,00 (Windows Server 2003 R2 Standard Edition) a quasi 4.000,00 dollari americani (Windows Server 2003 R2 Enterprise Edition) necessari per acquistarne una licenza valevole per singolo server monoprocessore.
Nemmeno i prodotti di casa Cupertino scherzano: per fare streaming video in formato QuickTime ci si deve armare di software proprietario da una parte (Mac OS X Server: 999,00 dollari) con l’immancabile accoppiata di hardware dedicato dall’altra (Xserve, a partire da 3.300,00 euro), anche se esiste un progetto parallelo, completamente open source, chiamato Darwin Streaming Server, il quale, se ci fermiano alle analisi del solo software, rende stessi servizi a costo zero, secondo quanto stabilito dalla Apple Public Source License.

In media sono quindi 3.600,00 euro, ovvero quasi quindici volte tanto ciò che costa il prodotto di punta VideoVista (la Professional Edition): soli 249,00 euro. Certo, con il progressive download (cosa ben altra dallo streaming puro, ovvero real-time), basta un generico webserver per usare proficuamente tutte le soluzioni di cui sopra a costo zero. Di encoder, anche freeware o comunque distribuiti sotto licenza GPL, (Helix Producer, ad esempio, distribuito sotto licenze RPSL e RCSL) ne esistono a bizzeffe ed un server httpd da una parte ed un client FTP dall’altra non negano a nessuno la possibilità di incapsulare i video in tal modo prodotti all’interno di una generica pagina HTML (anche se qui si aprirebbe un altro filone da approfondire, a proposito dei controlli necessari all’embedding e non sempre funzionanti per tutti i browser, soprattutto se altri dal solito Explorer).

Fucine Mute sta facendo streaming video da quasi sette anni, ed ha dapprima usato le soluzioni RealVideo, cui ha poi affiancato, da circa due anni a questa parte, anche quelle Nullsoft/Shoutcast basate sul formato video NSV. In entrambi i casi un progressive download da una parte e la preesistenza di uno o più server dedicati dall’altra hanno fatto sì che noi potessimo permetterci, peraltro in tempi ben antecedenti quelli in cui il video su web avrebbe compiuto il suo passso definitivo (YouTube, MySpace, Google Video), di essere tra i primi in Italia ad aver dato prova di saper usare con intelligenza soluzioni tecnologicamente evolute per ridefinire un concetto di visual entertainment che stava appena radicandosi nell’immaginario collettivo. Tuttavia siamo sempre rimasti consapevoli dei limiti di siffatte scelte: per quanto diffuso, il RealPlayer non è mai stato cross-platform; peggio ancora con il container NSV: solo da poco tempo sistemi Linux e OSX riescono a riprodurre video codificati in quel formato, e – guarda caso – anche in virtù dello sviluppo di un progetto parallelo, completamente open source, chiamato Theora.

Immagine editoriale Fucine Mute

Tanto in un caso, quanto nell’altro, le interfacce grafiche non sono modificabili (con NSV in parte sì), lo streaming non è real-time, alcuni controlli ActiveX sono necessari per gli embedding, e soprattutto non tutti i sistemi di elaborazione dell’informazione sono capaci di consentire la fruizione dei contenuti audiovisivi a chicchessia.
Cercavamo, e lo abbiamo fatto per tanti anni, un sistema che fosse multipiattaforma (ovvero compatibile con sistemi operativi e piattaforme hardware anche diverse dalle solite e più diffuse), flessibile, preferibilmente open source, certamente personalizzabile. Tutto questo abbiamo trovato in VideoVista Streaming Software, con una sola eccezione: il prodotto non ci risulta essere open source (ma la validità dei suoi buoni propositi e la qualità dei servizi offerti a fronte di costi ben più che onesti fanno chiudere un occhio, se non addirittura due).
Quindi, a partire dal prossimo numero di Fucine Mute, sempre più progressivamente interromperemo l’erogazione di contenuti multimediali nei formati cui vi abbiamo finora abituato, rendendo di fatto “discontinued” il progetto NullSoft Video e riprogettando il visore televisivo che troneggia in alto a sinistra in modo da rendere possibile l’erogazione di video serviti con tecnologia Java.

Iraq For SaleMentre già con la presente uscita iniziamo a darvi un’anteprima di tutto ciò, con la trasmissione di quattro docu-film sulla guerra in Iraq (questa ancora in corso, e sulle controverse posizioni assunte dal governo americano): “Occupation: Dreamland” di Garrett Scott e Ian Olds, “Terrorstorm” di Alex Jones, “Beyond Treason” di William Lewis ed infine “Iraq For Sale – The War Profiteers” di Robert Greenwald.
A proposito di streaming in tempo reale: provate un qualche seek, ovvero trascinate il cursore della progressione video in un qualsiasi punto della sua timeline: potrete cambiare scena con l’attesa di un solo secondo, raggiungere fin’anche i titoli di coda senza dover aspettare altro tempo se non quello neccessario per batter ciglia d’occhi. Provate anche – a proposito di accessibilità che VideoVista garantisce, ed altri no – a premere il tasto M (MegaVision) sulla vostra tastiera, con un’unica raccomandazione, in tal caso: spostatevi alla distanza di due metri almeno dal vostro monitor, armatevi di pop-corn con bevande varie al seguito, e godetevi il film, come se foste al cinema.
Un menù contestuale, che compare al click con il tasto destro del mouse, vi svelerà molte altre funzioni interessanti, che nessun altro player – dico nessuno -, embedded in una generica pagina web, è in grado di fornirvi. E se avete una qualche ADSL di quelle che io chiamo “farloffie”, ovvero dalle prestrazioni ancor inferiori alle minime garantite (la congestione della banda ATM in Italia è ormai un dato di fatto), nessun problema: VideoVista vi erogherà i contenuti audiovisivi che saranno effettivamente ottimizzati per la vostra connessione, e quindi: niente più skip, niente più frustranti prebuffering, niente di tutto ciò. Solo un video fluido, scattante, ai vostri diretti ordini.

E visto che il prossimo numero è ancora prossimo a venire (dopo tanti teoremi una sana tautologia), per questo numero eccovi servite, ancora in NSV, la terza e quarta parte di “Berlusconi’s Mouse Trap”, produzione Indymedia della quale avete (forse) già visto la prima e seconda puntata. Da queste parti non ci piace lasciare in sospeso alcun discorso iniziato in precedenza. Tanto meno certi cui teniamo in particolar modo.
Buona visione (soprattutto dopo un editoriale “tecnico”, come poche altre volte mi è capitato di scrivere).

Immagine editoriale Fucine Mute

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