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Cinema

Zoltán Miklós Hajdu

L’acrobata solitario

Due fratelli, uno davanti alla macchina da presa, l’altro dietro, e un ottimo film: Mani Bianche (Ungheria, 2006, titolo originale Fehér Tenyér), interpretato da Zoltán Miklós Hajdu, sceneggiato e diretto da Szabolcs Hajdu. Il regista, considerato dalla critica uno degli esponenti più interessanti della nuova generazione di filmmakers ungheresi, è al suo terzo lungometraggio (dopo Tamara, Ungheria 2004; Sticky Business, Ungheria 2000) e sembra già avere un proprio stile espressivo piuttosto definito ed originale.

scena del film Mani Bianche (Fehér Tenyér)

Il suo ultimo lavoro ha portato a casa moltissimi riconoscimenti, europei e non, dopo il pluripremiato debutto alla Settimana del Cinema Ungherese di Budapest nel 2006. Quest’anno il film è approdato in concorso anche al Trieste Film Festival riscuotendo un buon successo di pubblico e critica.
Miklos, ginnasta ungherese di talento, costretto ad interrompere la propria carriera in seguito ad un incidente, arriva in Canada per rifarsi una vita come allenatore. Per far fronte a sfide e ostacoli che il nuovo ambiente presenta, il ragazzo deve vincere i condizionamenti che inconsapevolmente si porta dietro, retaggio di un’infanzia dolorosa, solitaria e infelice. Soprattutto nel difficile rapporto con Kyle, suo promettente e problematico allievo, Miklós si ritrova a dover fare i conti con se stesso. Con determinazione e coraggio, riuscirà ad affrontare le proprie paure e gli spettri del passato ritrovando finalmente un equilibrio.
La storia alterna diversi piani temporali e intreccia dati autobiografici ad elementi di pura fantasia. Come il protagonista del film, entrambi i fratelli Hajdu sono stati dei ginnasti nell’Ungheria degli anni Ottanta; entrambi sono stati vittime dei maltrattamenti fisici e psicologici cui, per stimolare senso di competizione e aggressività, sin da bambini erano sottoposti gli atleti più promettenti. Il film può essere letto come un vero e proprio atto di denuncia nei confronti dei metodi terroristici e brutali, comuni all’epoca nel mondo degli sport agonistici, utilizzati dagli allenatori per spronare gli allievi a raggiungere i massimi risultati.
Il regista smentisce però un intento di pura critica sociale e ribadisce che nel suo film c’era piuttosto la voglia di raccontare da vicino una storia vissuta. L’opera cinematografica riflette appieno un coinvolgimento profondo ed esprime una dimensione narrativa particolarmente autentica. Autore ed interprete regalano alla pellicola un tocco personale e sentito che impregna le immagini e viene colto dallo spettatore.
Gran parte delle vicende del protagonista, che non a caso si chiama Miklós, si rifanno proprio alle esperienze reali dell’attore Zoltán Miklós Hajdu, atleta affermato che ha lavorato in Canada come allenatore e a Las Vegas assieme al famoso Cirque du Soleil. L’abbiamo incontrato per soddisfare qualche curiosità e ci siamo lasciati contagiare dalla simpatia, dalla semplicità, dal suo entusiasmo sbarazzino e da un certo fascino naturale…

Zoltán Miklós HajduCristina Favento (CF): Com’è nata l’idea per questo film?

Zoltán Miklós Hajdu(ZMH): L’idea è nata da un sogno comune, di mio fratello e mio, di fare un film sullo sport, in particolare sulla ginnastica. Era qualcosa che ci stava davvero a cuore. L’idea per il soggetto è stata mia, mi è venuta mentre stavo lavorando a Calgary come allenatore. Consigliai a mio fratello di venire a trovarmi per vedere effettivamente ciò che intendevo per “insegnare ginnastica”. Mi ero appena trasferito in Canada e trovavo molto interessanti le differenze nello stile di vita tra comunismo e capitalismo. Fu una parodia!

CF: Nel film interpreti te stesso, quanto c’è della tua vita reale e della tua storia e quanto invece è finzione? Quali sono le parti completamente differenti dalla realtà?

ZMH: È una combinazione! È tutto mescolato e quindi è difficile rispondere a questa domanda. Non posso realmente affermare che quanto vedete nel film sia davvero successo a me. [Ehm… (pausa, scoppia una risata collettiva, ndr) Scusate! Questa tagliatela! Mi è venuto da ridere senza motivo. Sarà forse colpa di questo microfonino che mi sconcerta! Come dicevo…]
I fotogrammi della pellicola potrebbero essere immagini della mia vita, ma si tratta di finzione, nel film impersono qualcun’altro, non solamente me stesso. Il film rispecchia gran parte della mia personalità, ma non solo, rispecchia anche la personalità di mio fratello e di altri ancora. Per questo mi è molto difficile fare un’analisi. Si fa riferimento ad una storia vera ma, per esigenze drammaturgiche, Szabolcs ha mescolato realtà e fantasia basandosi sulle nostre esperienze reali. In ogni caso, tutto è basato su una storia vera.

CF: Sono molto curiosa riguardo alla tua esperienza nel circo. Come vediamo nel film, anche nella vita reale sei stato un ginnasta, poi hai fatto l’allenatore e infine hai lavorato al circo. Com’è stata quest’esperienza nella realtà?

ZMH: È stata interessante, perché sino a qualche anno fa non conoscevo neppure il Cirque du Soleil. Una volta trasferitomi in Canada, viaggiavo con i miei ragazzi per partecipare a varie gare e andammo a Montreal alle Nazionali canadesi. Anch’io gareggiavo agli anelli, vinsi la gara e mi misi a improvvisare qualche numero divertente per il pubblico. Fu proprio questo che colpì quelli del Cirque du Soleil. Gli era piaciuto l’eclettismo del mio personaggio perché ricercano abilità acrobatiche unite a doti attoriali. M’invitarono al quartier generale a Montreal e fui selezionato come potenziale artista per il Cirque du Soleil.
Questo successe nel 2000 e all’epoca parlammo di che cosa avrei potuto fare per loro. Dissi che ero interessato a progetti legati al cinema, al teatro, a qualche tipo di show. Due anni dopo, nel 2002, ero ai campionati mondiali ad accompagnare un mio studente e mi ricontattarono proponendomi la creazione di una show chiamato .
L’idea mi piacque molto. Mi piaceva la proposta di creare qualcosa di completamente nuovo, che nessuno aveva mai fatto prima: testare gli equipaggiamenti, pensare a coreografie aeree. Era davvero un progetto interessante.
In quel momento dovevo prendere la decisione cruciale: interrompere la mia carriera di allenare per diventare un entertainer. In realtà l’avevo sempre voluto perché fa parte di me, volevo fare spettacolo, e al mio ritorno ho chiuso con la ginnastica.
Non ho mai partecipato alle Olimpiadi come ginnasta, ma sono stato un membro della Nazionale. Non ero mai soddisfatto dei miei risultati e quando ho iniziato ad allenare mi sono sentito realizzato come allenatore. Quando ho visto il mio allievo partecipare alle Olimpiadi nel 2000, partecipò ai campionati mondiali proprio nella mia città natale, fu davvero speciale, mi sono sentito completo. Non ho potuto prender parte a questa gara, ma ho fatto il mio lavoro davanti a seimila persone, proprio nello stesso posto in cui sono nato. Ho pensato: “Sono “olimpionico” e sono un campione, in ogni caso!”. Ero all’apice della realizzazione e non fu un problema decidere di lasciare il mondo della ginnastica. Dopo quel momento ho firmato il contratto col Cirque du Soleil.

scena del film Mani Bianche (Fehér Tenyér)

CF: Quindi nella vita reale sei stato un allenatore completamente diverso rispetto a quello che interpreti nel film?

ZMH: Decisamente si. Il personaggio del film non sono io, lui è parte di me, ma non me. Quando dovetti colpire il ragazzino fu estremamente difficile (in una scena del film il protagonista schiaffeggia un allievo indisciplinato, ndr), specialmente perché era uno dei miei allievi preferiti e lui aveva una grande ammirazione per me come allenatore. Avevamo un’ottima relazione anche con i genitori, parlammo assieme della situazione e decidemmo che nel film sarebbe stato schiaffeggiato, però è stata dura, perché io sono molto diverso.
Vorrei approfondire il discorso riguardo l’aggressività presente nel film. Negli sport competitivi ci deve essere una certa aggressività, non fisica quanto piuttosto una forte determinazione a raggiungere gli obiettivi, ma non avrei avuto nessuna possibilità di continuare ad usare gli stessi metodi che mi portavo dietro dalla mia esperienza in Europa, in Ungheria.
Capivo che c’era un solo modo per ottenere dei risultati: ho cercato di avvicinarmi ai ragazzi, di creare un rapporto con loro e ci sono riuscito. Quando venivano all’allenamento con qualche problema, stavo loro vicino e superavamo assieme le difficoltà. Volevo essere sicuro di tirar fuori il meglio, di avere e di dare loro il meglio. Volevo essere sicuro di aver creato un metodo di allenamento che potesse essere valido in ogni circostanza. Per restare in tema di aggressività, detesto il metodo subdolo e terroristico (riferito all’allenatore ungherese del film, ndr). Indubbiamente c’è competizione e devi motivare i ragazzi senza risparmio né emotivo, né fisico. Per quanto mi riguarda, però, ho sempre cercato di creare degli esercizi divertenti, giocosi o competitivi per farli gareggiare, sudare, lavorar duro senza che se ne accorgessero, senza che mi biasimassero o altro.

CF: Quand’eri bambino, invece, la tua esperienza fu diversa: nel film si presenta una situazione durissima che sono costretti ad affrontare i bambini a causa del loro allenatore. Questa situazione corrisponde a parte della tua esperienza reale?

ZMH: Si, è stata parte della realtà. Quello che vedete nel film è successo a me e a tutti gli altri del gruppo. Nel film non abbiamo mostrato ogni cosa. Quello che abbiamo fatto vedere era abbastanza, perché non volevamo… (si nota una certa commozione nella voce, ndr) perché non era necessario. Abbiamo fatto vedere alcune percosse con la spada e qualche altra cosa, ma la realtà era anche peggio. In quel periodo non succedeva solo nella ginnastica, ma in molti altri sport: nuoto, lotta, qualsiasi sport competitivo. Non solo in Ungheria, anche altrove. Credo, questo è il mio pensiero, che all’epoca un paese era tenuto a dimostrare la sua potenza anche nello sport. Rappresentare la tua patria, essere un campione olimpico per la Russia o per l’Ungheria, era qualcosa che rendeva fiero il paese e faceva sentire bene la gente. Volevano raggiungere gli obiettivi ad ogni costo, era come una sorta di scopo ultimo: arrivare alle Olimpiadi, formare la squadra. I più deboli erano lasciati indietro, veniva loro addossata tutta la pressione che inevitabilmente poi ti fa cedere.
D’altra parte, durante il comunismo, non si poteva viaggiare granché, a meno che tu non fossi bravo nella carriera cinematografica o negli sport. Per noi questa era un fortissima motivazione: viaggiare, vedere qualcosa fuori. Viaggiare mentre eravamo così giovani era qualcosa d’incredibile. Era una grande emozione portare a casa dai nostri genitori le nostre esperienze. “Sono stato in Finlandia, in Belgio, di qua, di là…” Significava portare l’occidente in oriente. È stata una motivazione incredibile a scegliere la carriera sportiva, anche se comunque amo la ginnastica. Non sarei qui se non fossi stato un buon ginnasta. Devo molto a questo sport, mi ha dato tutto.

Zoltán Miklós HajduCF: Tuo fratello è il regista del film ed è un po’ strano pensare all’attore protagonista diretto dal fratello. Com’è il vostro rapporto? Quello personale è diverso rispetto al vostro rapporto professionale? È stato difficile lavorare con lui?

ZMH: No, lui è stato grandioso. Sono stato contentissimo, Szabolcs è davvero fantastico. Mi ha dato il meglio e mi ha aiutato tantissimo. Soprattutto mi ha dato fiducia, mi ha fatto sentire a mio agio nei confronti del film. Mi ha diretto alla perfezione.
Non mi ha neppure dato la sceneggiatura. Anche se ovviamente conoscevo la storia, non ho letto la sceneggiatura. Ha deciso così, perché non voleva che perdessi la mia naturalezza. Voleva che ci fossi anch’io nel film, non solo il mio personaggio. Tornando alla tua domanda di prima (quanto c’è nel film della tua vita reale e quanto è invece finzione?, ndr), questo è uno dei motivi per cui è difficile rispondere. Ho improvvisato durante tutto il film. Il giorno prima mio fratello mi spiegava che cosa sarebbe successo l’indomani. Un attimo prima di girare mi diceva: “Ok, questo è quello che devi fare…” oppure “per favore parla di questo… e vediamo che succede”. È stata un’esperienza bellissima, ci ha molto riavvicinati.
C’era un rapporto stretto anche da bambini, ma avevamo due caratteri molto diversi. Come me, anche lui era un ginnasta e la prima parte del film fa in gran parte riferimento alla sua vita. Io ero un cabarettista, mentre lui era introverso, scalavo le pareti e lui no, è un mix.
Lui faceva l’attore, poi è diventato regista, ed è anche musicista. Paragonato a me, era uno spirito libero. Ha questo forte senso della libertà e ha sempre fatto quello che voleva. Io invece ho iniziato la carriera di ginnasta, ho seguito un percorso rigido, strutturato. Poi la mia strada ha preso un’altra direzione e ho trasferito questa rigidità all’università, all’allenamento, all’esperienza nel Cirque du Soleil. E oggi mi ritrovo invece a recitare. Inizio ora a prendere esempio da mio fratello, a maggior ragione nel caso volessi continuare a fare l’attore.

CF: A parte il personaggio minore della madre di Miklós, nel film non ci sono donne. È stata una scelta precisa? Quel è il significato della totale assenza di personaggi femminili?

ZMH: Mio fratello potrebbe rispondere meglio di me. In ogni caso, credo sia perché la solitudine è uno dei principali messaggi che il film trasmette. Attraverso questi continui allenamenti sei sempre solo con te stesso, con te stesso, con te stesso…
Penso che lui (il regista e sceneggiatore, ndr) non volesse interrompere quest’atmosfera solitaria con la presenza di una donna, perché se non sei solo diventa più divertente, no? Penso che fosse proprio una decisione predeterminata non avere una donna nel film. Probabilmente per renderlo più drammatico senza la presenza di una compagna.

Zoltán Miklós Hajdu

CF: Questo film ha avuto dei lunghissimi tempi di realizzazione, è stato un lungo “viaggio” in tutti i sensi. Avete visitato posti diversi, è stato difficile trovare i bambini adatti, eccetera. Hai qualche ricordo particolare da raccontarci a proposito delle riprese?

ZMH: Ho milioni di ricordi, non saprei da dove cominciare. In effetti, è stato un periodo molto lungo, ci abbiamo messo sette anni dall’idea, nel 1999, all’uscita del film nel 2006. In questo periodo ci sono stati però anche molti tempi morti e attese. Abbiamo iniziato a sviluppare l’idea, quindi il viaggio in Canada, bisognava trovare il posto, coinvolgere mio fratello, farlo venire a vedere. Quando lui è tornato a casa, abbiamo iniziato ad approfondire…
Sono stati poi gli avvenimenti della vita reale a sviluppare il film. Lo scenario per il campionato del mondo era stato deciso proprio dopo la nostra idea. Mia madre mi scrisse una e-mail nel 2001 parlandomi dei campionati mondiali che si sarebbero svolti proprio nella mia città e mi sono detto: “Wow, devo assolutamente andarci!”. In quel periodo avevo smesso con la ginnastica, ma decisi di riprendere. Eravamo convinti di fare questo film e la vita stessa lo stava costruendo per noi.
Quindi ai campionati mondiali eravamo lì e stavamo riprendendo con i cameramen immagini per preparare il film. È stato nel 2002. Mio fratello ultimò la sceneggiatura in quel periodo, perché con il campionato avevamo abbastanza materiale. Una volta terminata, fece richiesta per dei finanziamenti governativi che in quell’anno, 2003, gli furono rifiutati. Nel 2004 ricevemmo invece una bella somma che ci permetteva di iniziare il film, ma, proprio lo stesso anno, Kyle, il ragazzo che interpreta il giovane ginnasta del film, andò alle Olimpiadi e dovemmo aspettarlo. Non potevamo iniziare le riprese perché era impegnato e senza di lui il film non esisteva.
Nel frattempo, nel 2003, io avevo smesso di fare l’allenatore e avevo iniziato col Cirque du Soleil. Ecco perché non conosco neppure la sceneggiatura originale! Con tutta probabilità, mio fratello deve averla scritta e riscritta parecchie volte. Anche il Cirque du Soleil divenne un’ulteriore parte del film. In definitiva, fino alle ultime scene, non fu che una continua aggiunta. Dal 1999 le varie parti si sono sviluppate da sole, senza che dovessimo pensarci troppo su.

CF: Ieri hai assistito con noi alla proiezione del film al Trieste Film Festival, quel è stata la tua impressione?

ZMH: Mi sono emozionato. Era da un anno che non rivedevo il film dall’inizio alla fine. Per qualche motivo ieri ho deciso di restare. Guardavo il film e riaffioravano i ricordi. Avevo questa strana sensazione di essere qui a Trieste e di vedere il film. Assieme ai vecchi ricordi, nascevano pensieri nuovi, riflessioni sulle possibilità. Mi chiedevo che farò dopo, qual è il prossimo passo… Mi sono sentito davvero emozionato durante tutto il film. E dopo che mi sono alzato in piedi e ho avvertito la risposta positiva del pubblico, mi sono sentito ancora più felice, ancora più emozionato. È stata davvero una bella esperienza.

CF: Dunque riflettevi sul prossimo passo… quale?

ZMH: Mi spaventa parlarne. Domani parto per vedere se ci sarà un prossimo passo. Ho un incontro per un altro film, è interessante. I responsabili che se ne occupano mi hanno cercato direttamente, senza contattare altre persone, perché gli è piaciuto Mani Bianche. Lo considero un bel complimento, mi fa sentire bene. Tuttavia, dal momento che non sono un attore professionista e che questo è il mio primo film, mi sto facendo un sacco di domande e mi sto chiedendo se sono in grado di farcela. Per me è una cosa grossa e sono molto eccitato all’idea!

Zoltán Miklós Hajdu

CF: Che tipo di cinema ti piace e che tipo di film vorresti fare avendo la possibilità di scegliere?

ZMH: Per il momento credo di essere più adatto al genere drammatico, ma sono anche un po’ commediante. Confesso di non sentirmi molto artistico, sono piuttosto un tipo sportivo. È tutto completamente nuovo per me. Sarebbe facile dire: “Ok, viste le mie capacità fisiche, andrei benissimo come eroe d’azione”. Penso però che potrei fare anche qualcosa di meglio… vedremo…

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