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Musica

Vanessa Van Basten

Good Morning, Vanessa Van Basten!

La stanza di Swedenborg è stato uno degli album più interessanti del 2006. Con colpevole ritardo diamo spazio a Vanessa Van Basten, creatura complessa eppure semplice. Vediamo chi sono e da dove vengono musicalmente le due persone che le hanno dato vita.

Immagine articolo Fucine Mute

Fabrizio Garau (FG): Vanessa Van Basten è Morgan e Stefano. Come funziona tra voi due in studio? C’è molta improvvisazione come uno potrebbe pensare?

Morgan Bellini (MB): Diciamo che inizialmente l’improvvisazione è fondamentale. Ogni musicista tende a proporre sempre le stesse soluzioni melodiche, quelle che conosce bene e che ‘gli appartengono’. Io e Stefano abbiamo un gusto melodico differente. È importante che ci sia uno scontro di vedute. Io ad esempio tendo ad aggiungere intensità alle musiche, Stefano a toglierla, a intiepidire. Solo questo tipo di confronto può generare il giusto equilibrio nel sound. Comunque questo processo dura relativamente poco: noi crediamo che praticamente tutte le combinazioni melodiche siano buone, invece, quello che rende buona una canzone è l’intenzione, il concetto, gli arrangiamenti costruiti ‘ad hoc’. Molti grandi capolavori sono essenzialmente una sequenza di pochi banalissimi accordi, non è un segreto. Mi vengono in mente i Velvet Underground.

Stefano Parodi (SP): Non c’è molta improvvisazione. Quel tanto che basta per esplorare le sfumature del brano in costruzione… in molti casi, invece, è Morgan che propone il brano già strutturato, io non faccio altro che aggiungere il basso ed eventualmente discutere alcuni arrangiamenti.

FG: Dico tre nomi: Jesu, Burzum, Mogwai. Un vostro commento, per cortesia.

MB: In tutte queste band c’è una preminente componente strumentale, trattata in modo differente. Diciamo che quelli che mi piacciono meno sono i Mogwai, che trovo spesso prevedibili e un po’ stucchevoli. Anche se sono sicuramente i migliori musicisti del lotto. Jesu ha una personalità imponente, inconfondibile. Justin Broadrick è tremendamente innovativo nell’associare melodie evocative e solari a suoni di chitarra lividi e ultrasaturi. È proprio la solarità di chi ha toccato il fondo e può solo risalire… Mi sono sempre piaciute le band ‘gonfie’ di chitarre: come gli Smashing Pumpkins nel contesto grunge, o i vecchi Weezer in quello pop-rock. O lo stesso Burzum: nessuno nel suo ambito è mai riuscito a riproporre in modo credibile il suo stile intimista ma metafisico. Ora alcune band americane ci stanno provando, vedi Xasthur o Nachtmystium, ma mi sa che il caso Burzum resterà unico nella storia del rock estremo.

SP: Burzum rappresenta un caso particolare, musica piena di tutto il gelo oscuro del profondo nord europeo. I Mogwai invece hanno dato un buon contributo alla scena post-rock, li sento nominare spesso. Purtroppo non ho mai avuto modo di ascoltare il loro unico disco che ho (Happy songs for happy people). Jesu invece mi affascina proprio quando attraversa territori melodici con sonorità molto pesanti senza cadere nel banale. Sono buoni esempi di come la musica strumentale sia in grado di esprimere molto anche in generi così diversi.

Immagine articolo Fucine Mute

FG: Del campionamento iniziale da Von Trier tutti vi hanno chiesto. Io vi chiedo qualcosa sul campionare: tecnica appresa da ascolti industrial et similia o di differente provenienza?

MB: Da adolescente comprai un campionatore per poter in qualche modo dare il mio contributo alla musica, essendo un pessimo chitarrista. Il mio primo progetto fu infatti di matrice dark/industrial, molto elettronico… Ora invece ascolto molto meno quel genere di cose ma continuare a usare i campioni (soprattutto quelli musicali) è estremamente stimolante. L’ho sempre associato al ‘ready made’, alle avanguardie.

FG: Una cosa che avete in comune con l’ambient, oltre alla ricerca delle atmosfere, è la dilatazione del tempo. Laddove il punk deve bruciare la sua rabbia in due minuti, Vanessa Van Basten deve “macerare”. Perché? A quale vostra caratteristica personale corrisponde?

MB: È solo una questione di ‘testo’ musicale. Non sempre i nostri tempi sono dilatati, anche se spesso le durate superano i 5-6 minuti. Quando questo avviene, è perché presumo che chi ascolta ha anche bisogno di riflettere, di distendersi, di prepararsi ad un nuovo assalto. In controtendenza, credo che al giorno d’oggi chi ascolta musica con profondità abbia bisogno di estraniarsi ed allontanarsi dagli impulsi della vita quotidiana. Per farlo è necessario prendersi tutto il tempo necessario. La musica deve trasportarti in un altro mondo, molto diverso da quello che percepiamo nelle metropoli, nella loro frenesia, nei telegiornali.

SP: Forse è una reazione, in parte inconscia, ai ritmi della città. È stimolante lasciarsi guidare dal pezzo, esplorare alla ricerca di nuovi scenari che ci permettano di allontanare la mente dal vortice cittadino e dalla frenesia urbana… A volte bisogna lasciarsi andare e finalmente rilassarsi. In certi casi è il brano che ci prende per mano, altre volte siamo noi a spingerlo oltre.

FG: Abbiamo gusti cinematografici comuni. Avete visto INLAND EMPIRE? Le immagini di Lynch affascinano a un livello pre-razionale: in questo il regista è molto “musicale” e Vanessa Van Basten è molto lynchiana. Esagero?

MB: Sicuramente paragonarci ad un artista di questa caratura è esagerato, ma ti ringrazio per l’associazione e ammetto che quel tipo di sensazioni (prerazionali, gran bel termine) di cui parli sono fonte di grande ispirazione per noi: David Lynch è forse il mio regista preferito. Ho visto al cinema INLAND EMPIRE e mi ha totalmente affascinato. Apparentemente non ha un filo logico ma credo che le stesse dichiarazioni del regista a riguardo (il film sembrerebbe improvvisato) rappresentino una chiave di lettura riguardo al suo punto di vista estetico piuttosto che alla modalità in cui è stato concepito.
Anche quando uscì Mulholland Drive il pubblico non lo comprese immediatamente: chiaramente è difficile ricostruire un testo che ha due o tre piani di narrazione (tra cui quello onirico), per di più in ordine cronologico sparso… Spero che qualcuno prima o poi sveli questo INLAND EMPIRE perché, quando un’opera non è facilmente comprensibile, può suscitare una fastidiosa ‘sospensione del giudizio’, a mio avviso, ingrata in questo caso. Comunque ho la sensazione che l’unico piano reale sia, per intenderci, quello della prostituta che muore sul marciapiede…

FG: Sul sito citate anche Cronenberg tra i vostri preferiti. Qui però non riesco a fare nessuna associazione con voi. Lui è molto asettico, presenta l’orrore con una sorta di distacco, voi invece siete assolutamente emotivi. Dov’è il link che non trovo, se c’è?

Immagine articolo Fucine MuteMB: Il distacco è una forma di riflessione… ma per me Cronenberg rappresenta soprattutto un tentativo di ‘visualizzazione concreta’ delle ossessioni di Borroughs (autore che stimo moltissimo). Mi è molto piaciuto come ha reso il testo di Naked lunch in immagini. Immagini schifose e repellenti che mettono a repentaglio la stabilità delle persone, e fanno riflettere sulla carnalità, sulla nostra condizione di organismi. Mi sono piaciuti anche Spider, EXistenZ, e… La mosca!!! Il finale di quest’ultimo è straziante! Devo rivedermelo…

FG: Musica e immagine, dunque. Quanto vi rappresenta l’artwork de La Stanza di Swedenborg e perché?

SB: Ci rappresenta in pieno…tutto. Le foto e i colori in particolare. Ritengo siano un’ ottima scelta associati ai brani de La stanza. È importante curare l’ artwork, deve essere in sintonia con i contenuti del cd.

MB: Inizialmente per la copertina avevamo scelto quella fotografia con la nuvola, che invece ora si trova nella bustina, ci piaceva molto ed era stata selezionata tra migliaia di immagini di nuvole che abbiamo trovato su un sito web di amatori. Mauro Berchi, al momento della realizzazione, mi ha consigliato di piazzare in copertina la seconda scelta, perché maggiormente d’impatto. E ha avuto ragione. Personalmente considero l’artwork un aspetto non fondamentale ma importante in un disco rock. È un biglietto da visita, può determinare la prima impressione in chi deve comprare il disco, l’estrazione musicale della band ecc. Il tema delle nuvole e dei paesaggi è stato ampiamente utilizzato anche da band simili alla nostra e, in un certo senso, ci faceva piacere essere accostati a quella scena. Inoltre è un richiamo a quel mondo ‘altro’ di cui parlavo prima…

FG: Di recente Genova non è più “solo” patria di cantautori. Ci sono dark (gli Ianva), ci sono alternativi (i Meganoidi e il loro lavoro con la Green Fog Records e dunque tutte le band collegate, tipo Cut Of Mica), ci sono degli “heavy post-rocker” come voi. Che sta succedendo di bello in città? Le band collaborano tra loro?

MB: È vero, tanti trovano che a Genova ci sia un notevole fervore musicale ultimamente. Ma il carattere chiuso del genovese non aiuta molto la collaborazione tra band. In ogni caso c’è una professionalità diffusa, come se la città si fosse stufata di rappresentare l’ennesima provincia italiana. E nel caso dei Cut of Mica, c’è un livello qualitativo ben sopra la media. Ma io sono un triestino-emigrante-pentito, forse è meglio che risponda Stefano a questa domanda…

SP: In questi ultimi anni a Genova sono spuntate una manciata di band piuttosto valide e i Meganoidi hanno intrapreso un percorso interessante e molto difficile con la loro etichetta Green Fog Rec.

Meganoidi

La scena genovese è un pochino più vivace rispetto a qualche anno fa, anche grazie ad alcuni personaggi che dedicano molto del loro tempo all’organizzazione di concerti. Ora ci sono maggiori opportunità culturali per il pubblico genovese. E il pubblico genovese ne ha molto bisogno… Intendo dire: è necessario rendersi conto che non esistono solo i “big”, e che nel “sottobosco” della scena musicale genovese, italiana e internazionale esistono gruppi che dal punto di vista espressivo e “culturale” hanno molto di più da offrire rispetto alla roba che si trova sugli scaffali dei “supermarket” della musica. Per quanto riguarda la collaborazione fra le band non saprei, quella genovese non è una scena così dinamica e aperta, non ha una grande storia da raccontare… Forse ci vorrà ancora del tempo.

MB: Non dimentichiamoci del metal: in questo Genova è veramente ‘la superba’… Sadist, Necrodeath, Detestor…

FG: Cantautore vuol dire parola, Vanessa Van Basten invece è laconica. Deve parlare solo la musica secondo voi?

MB: Certo che no, sarebbe una limitazione all’espressione più vera e innata dell’uomo. Ma per quanto mi riguarda, quando il messaggio musicale è davvero potente non c’è bisogno di altro, anzi, la musica strumentale quando è fatta bene ‘canta’ da sola. Abbiamo ancora molta strada da fare, se riusciremo a diventare proprio bravi toglieremo anche i dialoghi cinematografici.

SP: Vanessa ritiene la voce come uno dei tanti strumenti possibili per comunicare i suoi concetti, non è sempre indispensabile. A volte un testo cantato può dare molto, altre volte può dare molto una bella parte di… che ne so… fagotto, trombone, ukulele…

FG: Il disco è uscito (anche) per Cold Current, l’etichetta di Andrea Penso, ma anche per Eibon Records, in contemporanea con l’intimo e fragile Selaxon Lutberg, cioé Andrea Penso. Pare inoltre sia previsto uno split con We Wait For The Snow, un progetto di Andrea Penso. È il caso che ci raccontiate qualcosa sulla vostra amicizia con lui e sulle cose che ritenente di avere in comune a livello musicale.

MB: Andrea è stato tra i primi a contattarci dopo aver ricevuto il demo, congratulandosi e proponendoci l’uscita che abbiamo in mano oggi. Ho scoperto di avere molte influenze in comune con Andrea, come certo shoegaze o alcune cose della Neurot, o Klaus Schulze. Sia come Selaxon Lutberg che come We wait for the snow, Andrea ha un approccio molto diverso dal nostro, proprio per questo speriamo di far fruttare questa collaborazione a distanza fondendo i nostri stili. È una persona piacevolissima, con cui sto spesso delle ore al telefono, e nella musica ha senz’altro molto da dire. Anche se sto ancora aspettando un cdr di colonne sonore di poliziotteschi che non mi vuol proprio spedire! Andrea, mandamelo che sono in ansia!

SP: Non ho ancora avuto modo di parlare con Andrea! Aspetto soltanto di avere una buona occasione per conoscerlo dal vivo. La prima parola che mi sento di dovergli dire è: GRAZIE!

FG: Ho il vostro disco da un po’ e mi spiace di aver tardato a contattarvi. Così però ho potuto leggere tutta la vostra “rassegna stampa”. Vi succede quello che succedeva una volta ai NIN, oggi a Isis e Jesu. Il recensore di estrazione “metal” apprezza e prende il tutto come una boccata d’aria fresca, il recensore indie va subito a caccia delle influenze e rimane più distaccato (addirittura ho letto un “derivativi” decisamente gratuito). Perché accade?

Immagine articolo Fucine MuteMB: Mi piacerebbe poter rispondere che siamo ancora difficili da comprendere, che siamo nuovi e ‘freschi’… Invece, secondo me, i recensori hanno già capito molto di noi. Sono molto soddisfatto delle recensioni che abbiamo ricevuto. Anche di quelle meno positive, le critiche sono costruttive. Dal mondo indie era facile prevedere una spaccatura di opinioni, essendo la nostra una proposta a cavallo tra due mondi differenti. Poi non tutti i recensori ‘metal’ sono rimasti entusiasti. Non ho ancora notizie delle grosse testate italiane come Rumore, Blow up, Rockerilla… ci sarebbe piaciuto ricevere attenzioni anche da loro. Comunque, ormai, la carta stampata ha i giorni contati. Troppo scomoda, troppa pubblicità, poca interattività.

FG: Riassumendo: ben quattro etichette devono unire le loro forze per far uscire questo disco, dopo che l’EP autoprodotto con il quale avete esordito aveva avuto critiche strepitose, esattamente come accade per il full length … poi leggo che non sapete se “La stanza” potrà avere un seguito. Com’è possibile? Cosa bisogna inventarsi per vendere?

SP: Sono ottimista in questo caso. Le etichette che ci hanno supportato per i primi due lavori sono molto disponibili nei nostri confronti e, da quanto ho capito, sono pronte a sostenerci per un prossimo album. Al tempo stesso, preferisco non dare nulla per scontato. Ora come ora, stiamo guardando poco più avanti. Siamo impegnati in sala prove per affrontare i primi concerti di giugno ma appena possibile rientreremo in studio per lavorare al nuovo materiale. Abbiamo già qualche idea abbozzata.

MB: In qualche modo un seguito ci sarà. A costo di autoprodurci, magari in modo spartano e poco lussuoso. Forse non ce ne sarà bisogno. Attualmente siamo in contatto con qualche realtà oltreoceano, magari il nuovo VVB uscirà negli States… Ci sentiremmo davvero a un buon punto. Il problema è proprio che in Italia adesso si vende poco, o almeno così si dice. Per fortuna i nostri numeri sono ancora molto bassi e le piccole tirature sono un traguardo raggiungibile. Per ora non ci penso, ci stiamo concentrando sui concerti, inizieremo a registrare materiale nuovo tra un po’ di tempo. Roba che farà viaggiare parecchio.

MORGAN BELLINI: guitars, synth, sampler, sequencer, mic, software, fx, harmonica, glockenspiel, percussions
STEFANO PARODI: bass, synth
————–
ROBY: live drums
BERNA: other drums, synth
CLAUDIO PARODI: eq feedback on ‘Good morning VVB!’

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