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Cinema

Paolo Virzì

Il cinema di un osservatore

Paolo VirzìToscanaccio colto e tagliente, Paolo Virzì è uno dei registi più interessanti nel panorama cinematografico italiano. Diplomato al centro sperimentale in sceneggiatura, esordisce nel 1994 con La bella vita: brillante commedia che racconta le vicende di un operaio disoccupato e di sua moglie, invaghita di un presentatore della televisione locale. Il film ha un buon successo, vince il Ciak d’oro come miglior film e lancia Sabrina Ferilli (Nastro d’argento come migliore interprete femminile dell’anno), fino ad oggi, alla sua prima e migliore interpretazione.
Nel 1995 Ferie d’agosto si aggiudica il David di Donatello e lancia il livornese nel gotha della cinematografia italiana. Il cinema “toscano” di Virzì è chiaro, attento nel cogliere il particulare dell’italianità provincia lotta, ma al contempo geniale.

Con queste premesse, nel 1997 Virzì firma la sua opera più significativa Ovosodo, un film sull’amore giovanile e tutte le sue contraddizioni. Un tipo d’amore che, come dirà il protagonista in una scena diventata cult per i giovani, “è come un ovo sodo, rimane in gola e non va ne su ne giù”. Anche se tra alcune sterili polemiche, con Ovosodo Virzì si aggiudica il Gran premio speciale della giuria al Festival di Venezia e bissa il suo primo successo con un altro Ciak d’oro per la migliore sceneggiatura.

Degno erede di autori come Camerini, Monicelli, Steno e Dino Risi, Virzì si destreggia bene tra registro ironico e un certo realismo minimalista, coglie l’umorismo anche nelle situazioni drammatiche, veicola i suoi personaggi nel terreno minato delle nevrosi e ansie giovanili, è abile a raccontare le vicende controverse di un paese in evoluzione, nel senso più darwiniano del termine. Insomma, un regista tutto tondo come pochi in Italia, che, da buon toscanaccio, predilige il germe creativo dell’osservazione delle persone.
Recentemente, dopo Baci e abbracci (1999)è tornato nelle sale con My name is Tanino (2002) e con due produzioni pseudo-storiche, Vita (2005) e N. — Ucciderò il tiranno (2006).

Jimmy Milanese (JM): Benvenuto a Trieste Virzì, esattamente dieci anni dopo l’uscita di Ovosodo.

Paolo Virzì (PV): Caspita, sono già dieci anni? Non ci avevo pensato…

JM: Come è iniziata la tua carriera cinematografica?

PV: In effetti, devo confessare di non aver immaginato che un giorno sarei diventato regista. Mi ero avvicinato al cinema pensando di scrivere. Avevo fatto la Scuola nazionale di cinema, che all’epoca si chiamava Centro sperimentale di cinematografia, con l’idea di lavorare al copione del film. Poi, probabilmente perché in quel periodo erano morti alcuni registi, si è materializzata l’esigenza da parte dell’industria cinematografica di far debuttare tanti nuovi registi, sicché capitò anche a me l’occasione. Da allora lo faccio ancora qual mestiere, anche se sono pronto a tornare dietro la macchina da scrivere.

JM: Perché nella commedia italiana sono sempre rappresentati i martoriati, coloro che vengono tartassati? So che tu non sei molto d’accordo con questo tipo di rappresentazione del cinema italiano.

PV: No, devo dire di essere d’accordo, perché no. Anzi, mi inorgoglisce che questa sia una prerogativa della nostra commedia, che trae origine dalla Commedia dell’Arte italiana. È una specie di riscatto o senso di riscossa dei subalterni. Nel caso dei film che si fanno in questi anni e dei miei film in particolare, c’è sempre stato il tentativo, la simpatia sociale di avvicinarsi agli esclusi, agli ultimi, ai meno privilegiati, con uno sguardo di simpatia e anche di complicità nei confronti dei più sfortunati.

JM: Senti Paolo, hai iniziato con La vita è bella nel 1994

PV: (ride…, ndr) La vita è bella non l’ho fatta io, neanche La dolce vita

JM: Pardon, intendevo, ovviamente, La bella vita. Uno dei tuoi ultimi film, l’ultimo credo, s’intitola, invece, Napoleone. A prima vista il registro sembra totalmente cambiato rispetto ad Ovosodo. Qualcosa è cambiato nel tuo modo di fare regia?

PV: Vedo che possa sembrare, almeno a colpo d’occhio, un film totalmente diverso, anche perché è un film ambientato nell’Ottocento, con un personaggio monumentale, anche se non dissacrato. Comunque, se lo guardi più da vicino, ti accorgi che il film non è poi così diverso dai miei altri film, anzi, secondo me è proprio la stessa zuppa: la provincia specchio dell’Italia; un giovane nella temperie ormonale, poetica e politica della gioventù; il suo ingresso nel mondo degli adulti, anche attraverso un percorso di disincanto e disillusione; una riflessione ironica sulla politica; un ritratto della famiglia livornesaccia, anche se ottocentesca. Insomma, a me sembra uno dei miei soliti film.

Locandina del film Napoleone

JM: In Napoleone si nota come i dittatori esercitino un certo fascino… Visto che tra poco torneremo a votare (l’intervista è stata registrata nel gennaio 2007, ndr), credi che in Italia ci sia una certa voglia, anzi, una irresistibile voglia di avere un dittatore?

PV: Questo racconta il film! Ovvero come la plebe, il popolino o la corte, la rozza borghesia che abbiamo, tende ad ringalluzzirsi laddove vede la possibilità di sentirsi accomunata con il destino di una vedette della politica, come poteva essere all’epoca il Bonaparte, imperatore destituito il quale viene esiliato nel buco del culo mondo di allora, che era l’Isola d’Elba.
L’allegoria con il presente è molto viva, seppur questo non sia un film di satira smaccata, anzi, ci siamo permessi alcune raffinatezze. Per quanto riguarda l’Italia di oggi, io mi auguro che gli italiani, mano mano, comincino ad immaginare il proprio destino in modo più adulto e non in modo scioccherello, come ogni tanto manifestano. Poi non è detto che si torni a votare, perché mi sa che Berlusconi non vuole andare a votare.

JM: Tu hai avuto indubbiamente un grandissimo successo con Ovosodo. Il tuo collega Gabriele Muccino ha riscosso un successo internazionale con La ricerca della felicità.
Qual è la caratteristica che ti manca per fare quel salto di qualità, magari non per sbarcare ad Hollywood, ma per entrare nel panorama internazionale? In buona sostanza, di cosa ha bisogno un regista italiano per entrare nel gotha della cinematografia internazionale?

PV: Non lo so. Io un film come quello non lo farei mai. Non mi interessa. Posso vacillare di fronte all’offerta economica, ma preferisco fare i miei film. Lo dico senza risentimento, anzi, Muccino fa benissimo a fare quel film, che ho visto con piacere, ma mi inorgoglisce di più fare i miei film.

JM: Guardando la tua filmografia, si nota come ogni tuo film sia legato a qualche evento particolare. Nel 1994 hai lanciato la Ferilli con La bella vita; con Ferie d’Agosto hai vinto il David (Virzì ironizza con l’intervistatore sulla sua pronuncia “anglosassone” del premio, ndr), nel 1997 sei uscito con Ovosodo e ci sono state enormi polemiche.

PV: (Con ironia, ndr) Ma quali polemiche?

JM: A Venezia, forse dimentichi questo particolare…

PV: Guarda, non me lo ricordavo…

JM: Poi, se non sbaglio, nel 1999 ci sono stati i problemi con la produzione di Cecchi Gori mentre registravi Baci e abbracci

Paolo VirzìPV: No, i problemi veri ci sono stati con My name is Tanino, quando ci hanno arrestato il produttore mentre stavamo girando, nel 2000-200! In Baci e abbracci Cecchi Gori era ancora vivo e vegeto come produttore e, anzi, mi presi lo sfizio di fare un piccolo, strano film, quasi senza attori professionisti con uno stile d’improvvisazione da film jazz, divertendomi ad almanaccare su una fiaba di Natale in salsa scurrile livornese. Poi abbiamo avuto problemi con il produttore per vicende lette sui giornali, vedi lo “zafferano”.

Adesso lavoro per conto mio, ho cambiato produttore e il mio prossimo film lo produco da solo.

JM: Pure Michel Cimino ebbe, anzi, causò problemi al suo produttore! Quali sono i veri problemi nel panorama cinematografico italiano per quanto riguarda la produzione e la distribuzione delle opere?

PV: Non saprei. Senz’altro noi italiani siamo alle prese con una battaglia ad armi impari contro un cinema che ha una potenza, un glamour, fascino e ricchezza imparagonabili a qualsiasi altra cinematografia del mondo. Per loro (gli americani, ndr) è forse la più importante industria nazionale dopo quella delle armi, credo.

Per noi il cinema è una chicca per le èlite, anche se negli ultimi anni non ci possiamo lamentare, dal momento che ci sono molti film italiani capaci di raccogliere consenso popolare. Inoltre, il fatto che ci siano tanti film italiani e un cinema italiano in un mondo dove la lingua italiana non è molto parlata, è un fatto positivo. Il nostro cinema continua, nonostante tutto, a circolare nel mondo e questo sembra quasi un miracolo.

JM: Ritornando al tuo grande successo del 1997, Ovosodo, dieci anni dopo, con l’avvento delle tecnologie multimediali, dei telefonini ecc, cosa aggiungeresti a quel film?

PV: Va bene così. Io non riguardo i miei film, altrimenti soffro, perché li cambierei tutti. è giusto che rimangano così i film, perché questi prodotti hanno come una natura umana, un’identità, e camminano da soli, specie quelli più amati, che sono patrimonio di tutti. Quindi, non mi azzarderei mai a metterci sopra le mani, semmai immagino i film per il futuro, anche utilizzando le tecnologie digitali, con le quali divertirmi in altro modo.

JM: Progetti per il futuro? C’è qualcosa in pentola?

PV: I progetti per il futuro non li racconto a te. Scherzo, sto scrivendo una storia, ma è meglio non esca nulla al mondo, anche perché magari poi non ne esce nulla veramente.

JM: Problemi di distribuzione?

PV: No, il problema è che sono incontentabile.

Paolo Virzì

JM: Senti, un’ultima domanda. Ma il regista dove trae ispirazione?

PV: Dall’osservazione delle persone, meno dall’introspezione. Il cinema è un’arte collettiva, che si fa con tante persone e per tante persone. Le sale cinematografiche hanno tante sedie. Un primissimo germe creativo è quello che ti spinge a uscire da te stesso e guardare gli altri.

JM: E se domani mattina dovessi svegliarti e accorgerti che non viene fuori più niente?

PV: Ho una bella idea: aprire un ristorantino.

JM: Livornese?

PV: Non necessariamente ma perché no, di pesce magari.

Le foto pubblicate sono di Giulio Donini

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