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Cinema

Alessandro Angelini

Il tarlo della semplicità

Locandina del film L'aria salataL’opera prima di Alessandro Angelini, vincitore della sezione Ippocampo al festival Maremetraggio, indaga in modo originale la scissione tra la vita dentro e fuori dal carcere attraverso il vissuto dei diversi personaggi. L’accento è posto sul fardello portato dalle famiglie dei detenuti, su chi, pur stando fuori, sconta una pena parallela fatta di assenza e privazioni, di rabbia, di vergogna e senso di colpa.
“In carcere si dice aria l’ora di libertà” ci racconta il regista “nei luoghi vicino al mare, l’aria salata brucia i prati, arrugginisce e rende inservibili cancelli e lucchetti. Il titolo del film è stato scelto per dare l’idea di una libertà a termine, una libertà che va via via corrodendosi e che si arrugginisce come il rapporto che c’è tra Fabio e Sparti”.

Fulcro del racconto è un difficile e apparentemente irrecuperabile rapporto tra padre e figlio. Lo spigoloso e irrequieto Fabio (Giorgio Pasotti) è un educatore carcerario che, dopo la morte della madre, è cresciuto assieme alla sorella Cristina (Michela Cescon). Un giorno, al lavoro, Fabio si ritrova davanti suo padre (interpretato da un superbo Giorgio Colangeli, meritatamente premiato alla Festa del Cinema di Roma come miglior attore), da vent’anni in carcere per omicidio, che non lo riconosce neppure. Il confronto è duro, doloroso ma quanto mai necessario.

Non è un film di maniera ma il racconto di un osservatore che, attraverso le immagini, mette in luce piccoli grandi dettagli, carpiti soprattutto dalla personale esperienza del regista. Dal punto di vista umano, Angelini ha vissuto la realtà del carcere facendo il volontario a Rebibbia mentre, dal punto di vista formale, ha alle spalle numerosi lavori documentari. Questo suo duplice bagaglio lo ha reso capace di tratteggiare l’atmosfera di fondo del film con precisa consapevolezza e partecipazione sentita. Prezioso è stato indubbiamente anche l’apporto del co-sceneggiatore, Angelo Carbone, e di attori come Pasotti, Colangeli e la Cescon.

Cristina Favento (CF): Hai dichiarato che l’idea per l’aria salata è nata da un’immagine, quella dei bambini in fila fuori dal carcere, in attesa di entrare per incontrare i propri padri. Raccontaci un po’ questa genesi…

Alessandro Angelini (AA): Quello è stato il primo giorno di lavoro con Angelo Carbone. Gli avevo parlato della mia esperienza di volontario a Rebibbia ma non volevo raccontare quello che avevo vissuto a parole, volevo che vedesse il carcere così come l’avevo visto io.
Siamo andati a Rebibbia nel giorno della visita parenti e in silenzio abbiamo osservato la lunga fila. Lì, tra le donne cariche di buste e i bambini che, un po’ annoiati e un po’ inconsapevoli del posto in cui si trovavano, si rincorrevano tra loro, c’era tutto ciò che volevamo raccontare: una famiglia divisa dal muro del carcere e, in un certo modo, costretta a condividere una condanna.

Abbiamo scritto un trattamento di sessanta pagine e, con quello, siamo andati da Donatella Botti e RAI cinema (che poi hanno prodotto il film). Donatella ha da subito mostrato interesse e lo stesso atteggiamento ha avuto Giorgio Pasotti, che ha accettato dicendo una cosa che ricorderò sempre con enorme piacere: “ci sono film che si accettano per il personaggio, altri per la storia che il film racconta. Anche se mi chiedeste di fare un piccolo ruolo accetterei, perché questa è veramente una bella storia”.
In un solo colpo avevamo l’attore protagonista e il produttore, pensavo che di lì in poi tutto sarebbe filato dritto ma non eravamo che all’inizio…

CF: Oltre alla tua esperienza come volontario, sicuramente determinante, in questo lavoro ci hai messo anche qualcos’altro di tuo che magari non si evince dal tuo curriculum professionale?

AA: Nello sguardo c’è tutta la mia esperienza da documentarista. È lì che ho preso il “tarlo” della semplicità nella messa in scena. La ricerca di un linguaggio scarno ma diretto, sincero nei confronti dei personaggi che vuoi raccontare.
La riuscita di un documentario è in buona parte dovuta all’approccio e quindi all’empatia con le persone che vuoi raccontare. Questo non riguarda solo la tecnica ma il modo di essere.
Il mio primo documentario è del 1996, in questi anni sono cresciuto come regista ma soprattutto come essere umano; giusto quindi portare nel film anche il mio “prima” professionale… è stato un processo naturale, avvenuto senza doverci pensare…
 
CF: In primo piano, nel film, c’è una grande e dolorosa difficoltà nel rapporto padre-figlio. Nonostante si concedano pochi sconti nel giudizio e nel finale, allo spettatore arriva un messaggio in qualche modo positivo.
Se sul piano individuale il dolore e l’impossibilità di recuperare restano, sul piano della relazione padre-figlio, si percepisce che i protagonisti hanno vinto nel momento in cui a superare questa difficoltà ci hanno davvero provato, si sono cercati e sentiti, indipendentemente da ciò che succede poi. Che ne pensi? Sei d’accordo?

AA: Per suturare una ferita è necessario avvicinare due lembi di pelle. Se questo avviene solo da una parte immancabilmente si arriva ad un nuovo strappo.
Per quel che riguarda il personaggio di Fabio, il suo riscatto avviene attraverso l’ostinazione di voler recuperare suo padre. Ciò non può essere valido per il personaggio di Sparti che si accorge di aver spinto la sua vita in un vicolo cieco, e quindi allontana da sé la possibilità di riavvicinamento con la sua famiglia, che gli appare troppo dolorosa. Sceglie un’altra strada che è però anche un gesto di grande generosità, ed anche il solo gesto “da padre” che compie in tutto il film.

CF: Con Carbone, il co-sceneggiatore, avete avuto parecchi dubbi riguardo al finale, quali erano le perplessità e sul quali basi avete poi preso una decisione?

AA: Inizialmente avevamo pensato ad un finale aperto. Ma poi ci sembrava di non prendere una posizione netta nei confronti della storia. Per fortuna (lo dico solo ora, all’epoca ero disperato!) le riprese del film sono state rimandate e ho avuto la possibilità di rivedere la sceneggiatura lavorando con gli attori. In particolare con Colangeli.

Giorgio Colangeli in una scena del film L'aria salata

A poco a poco, sia io, sia Angelo, abbiamo iniziato a pensare che un uomo della sua età, in quelle determinate condizioni di salute, non avrebbe avuto la forza di riprendere in mano la sua vita. Questo, unito al fatto che i detenuti, purtroppo, hanno una frequentazione dell’idea del suicidio molto più assidua di quanto non faccia una persona che vive in libertà, ha fatto il resto.

CF: Grande punto di forza del film è stato certamente il cast: mi  riferisco naturalmente a Pasotti, a un Colangeli strepitoso e a un’azzeccata Cescon, questi ultimi due provenienti da una formazione teatrale. Come e per quali motivazioni è avvenuta la scelta degli attori? Com’è stato il vostro rapporto sul set?

AA: Sono tre attori straordinari ma anche persone speciali. Mi reputo fortunato ad averli incontrati, devo molto ad ognuno di loro, loro lo sanno, ma non perdo mai occasione per ribadirlo.
Già scrivendo il trattamento avevo pensato a Giorgio Pasotti, sicuro che poteva regalare a Fabio quella tensione emotiva che lo rende un personaggio “non libero dal suo passato”.

Per quanto riguarda Michela invece si è trattato di un autentico regalo di Natale! Ci siamo visti il 22 dicembre, le ho dato il copione e la sera stessa mi ha chiamato per dirmi che accettava di fare il film.
Il suo è un personaggio davvero difficile perché nell’arco di poche scene deve rovesciare l’iniziale impressione di donna forte che si ha di lei. Ancora oggi mi sorprendo di come sia riuscita a rendere questo stato d’animo, come qualcosa di molto concreto. Il suo dolore appare come qualcosa di tangibile, di fisico.

Colangeli invece è stato bravissimo, anche a non perdere la pazienza! Abbiamo provato e riprovato più volte. Dopo quattro provini su parte mi ha detto: “Cosa c’è che non va?”. Io ho parlato con franchezza, senza misurare le parole e lui ha ascoltato in silenzio. Insieme abbiamo lavorato su quello che non c’era o che c’era solo in parte. Alla fine si è creata un’unione molto forte che va al di là del film. Per certi versi è stato il nostro esordio al cinema; per me da regista, per lui da co-protagonista. Anche questo ci ha uniti in maniera molto forte.

CF: Larghissimo il tuo uso dei primi piani e di inquadrature molto “fotografiche” costruite ad arte. È stata un’esigenza espressiva  legata al film o piuttosto una tua personale scelta formale, magari legata a un retaggio dei tuoi inizi come fotoreporter e fotografo di scena sul set?

AA: Ho pensato che una storia familiare, quasi intima come è L’aria salata, dovesse essere raccontata attraverso i dettagli.
Gli occhi, le espressioni del volto, i silenzi raccontano il passaggio da uno stato  d’animo all’altro, spesso veicolati da sentimenti contrastanti.
Volevo sottolineare ogni minimo cambiamento d’umore e dare l’impressione che la storia si svolgesse davanti agli occhi dello spettatore in maniera unica e irripetibile. Anche per questo non ho operato molti tagli all’interno delle scene.

Alessandro Angelini assieme a Giorgio Pasotti durante le riprese del film L'aria salata

CF: Ho letto che ci hai messo due anni prima di dichiarare che volevi fare regia. Come mai?

AA: Un film è un’occasione importante per dire come la pensi e da che parte stai. Se non sei più che determinato a raccontare una storia, se non sei profondamente convinto di avere qualcosa da dire, meglio non provarci. Io ho atteso quella determinazione e la storia giusta. Sarà banale ma è la verità.

CF: Un’opera prima presenta notoriamente notevoli difficoltà, che vanno dai limiti di budget alla necessità, per esempio, di superare piccole ingenuità dovute a qualche inesperienza. Il tuo primo film è stato accolto, però, molto bene, sia dalla critica, sia dal pubblico.
Volendo, invece, onestamente fare un po’ d’autocritica: quali sono secondo te, se ce ne sono, i punti deboli del film? C’è qualcosa che ti rimproveri o che avresti voluto fare diversamente?

AA: Non ho rimpianti ma è certo che devo migliorare. Ho avuto collaboratori di grande esperienza e talento, cito per tutti Catinari e Fiocchi. Grazie a loro, posso dire di aver limitato i danni…

CF: Parliamo un po’ dei tuoi lavori precedenti come Ragazzi del Ghana e La flor mas linda de mi querce, entrambi documentari che sembrano avere in comune una sincera vocazione sociale e una certa attenzione a realtà geografico-culturali diverse dalla nostra. È un caso o piuttosto un intento programmatico?

AA: Ho sempre scelto i miei lavori sulla base delle emozioni che una storia o una persona mi procuravano. Di sicuro il taglio sociale è quello che preferisco. Poter raccontare la gente è un grande privilegio, oltre che un’esperienza umana intensa. Non ho mai sentito i confini geografici come un limite; se una storia mi emoziona non sto tanto a guardare se il protagonista vive a Roma o a Managua. Faccio del mio meglio per raccontarla con onestà.
Purtroppo il genere documentario ha sempre meno spazio… meno finanziamenti. Se per mettere in piedi un film impieghi due anni, per un documentario rischi di starci almeno il doppio!

CF: Come sei passato alla fiction? Come pensi che le tue esperienze  nel documentario abbiano influenzato il tuo modo di fare regia? Nella fiction ti senti piuttosto stimolato o limitato dal tuo bagaglio di documentarista?

AA: Stimolato. L’impegno è quello di rendere esseri umani dei personaggi che esistono solo sulla carta. Occorre dar loro gesti e modi appropriati, le giuste sfumature per farli risultare credibili al primo sguardo. E questo deriva dall’osservazione, che è la prima fase del documentario.

Giorgio Pasotti e Michela Cescon in una scena del film L'aria salata

CF: M’interessava approfondire un po’ anche le tue esperienze come aiuto regista di Nanni Moretti, Mimmo Calopresti e Francesca Comencini. Ci sono degli elementi che accomunano queste tre esperienze? Che cosa ti è rimasto, nel bene o nel male, di ciascuno dei tre?

AA: Hanno stili e modi differenti ma un unico tratto comune, che è stata per me una grande lezione. Vedendoli lavorare ho imparato che il risultato passa solo ed esclusivamente attraverso il lavoro. Che si deve essere leali verso la storia che si vuole raccontare al punto da essere spietati giudici di se stessi e avere la forza di ricominciare da capo quando è necessario. Anche e soprattutto quando costa fatica.

CF: Per un giovane cineasta, quali sono, secondo te, limiti e vantaggi del cinema e del mercato italiani?

AA: Scusa la franchezza ma di vantaggi ne vedo ben pochi… I limiti sono i soliti da vent’anni a questa parte: invasione dei prodotti USA, poco spazio e poca protezione per i film italiani, spinta verso un cinema sempre più vicino, per linguaggio e contenuti, alla televisione.
Da più parti ci sparano addosso eppure ci sono molti nuovi autori: Matteo Garrone, Sorrentino, Costanzo, Crialese. Mi verrebbe quasi da dire che finché c’è vita c’è speranza…

CF: Recentemente sei diventato padre, quali sono in questo momento le tue priorità personali e professionali?

AA: Ho gli stessi obiettivi ma con molte più responsabilità. Sto imparando ad economizzare il tempo perché un figlio ti obbliga a vivere intensamente la quotidianità. Impari a scegliere che cosa è importante fare e cosa non lo è, che cosa puoi rimandare. Di sicuro, da quando è nato Gael, andare al cinema è diventata un’impresa…

L’aria salata


Regia/Director Alessandro Angelini
Soggetto/Subject Alessandro Angelini, Angelo Carbone
Sceneggiatura/Screenplay Alessandro Angelini, Angelo Carbone
Fotografia/Cinematographer Arnaldo Cantinari
Montaggio/Editing Massimo Fiocchi
Scene/Scene Design Alessandro Marrazzo
Costumi/Costume Design Daniela Ciancio
Musica/Music Luca Tozzi
Suono/Sound Dolby Sr
Cast/Cast Giorgio Pasotti, Giorgio Colangeli, Michela Cescon, Katy Saunders, Sergio Solli, Paolo De Vita, Paolo Pierobon, Emanuel Bevilacqua, Simone Colombari, Bruno Santini, Federico Del Monaco, Maria Caterina Frani
Genere/Genre
Drammatico/Dramatic
Formato Originale/Original Format 35 mm – Color
Durata/Running Time 87’
Paese Di Produzione/Country Of Production Italia / Italy
Produzione/Production Donatella Botti
Distribuzione/Distribution 01 Distribution

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