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Omnia

Della trasparenza (e altre virtù ancora)

fucine.itTante volte, nel corso della sua ormai quasi decennale storia, ho ringraziato apertamente Enti ed Istituzioni pubbliche che hanno, a vario titolo, compartecipato finanziariamente al progetto di diffusione e promozione della cultura, incarnato dal quotidiano agire di Fucine Mute.
‘Sta volta, di fatto la prima in tanti anni, decido di ringraziare un ente privato. La sua ragione sociale contratta è “Fucine” e la sua tipologia giuridica ci rivela trattarsi di una Snc, ovvero di una Società in nome collettivo. Società, quindi, di persone e non (solo) di capitali stricto sensu.
Fucine Snc, fondata dal sottoscritto e da Fabio Bonetti nell’agosto del lontano 2000, ora legalmente rappresentata sempre da chi vi scrive ed anche da Serena Smeragliuolo, nostro presidente e caporedattore, nacque allora per valorizzare le competenze che i suoi soci erano stati capaci di mettere in campo con la realizzazione tecnica della testata elettronica, prima ancora che l’associazione culturale “Fucine Mute” si costituisse nel dicembre del 2001 per dare un corpo giuridico a quella che a quei tempi era solo l’omonima testata giornalistica.
Ben prima di un anno dai tragici eventi dell’11 settembre 2001 e quindi con più di un anno di anticipo rispetto all’implosione della bolla della New Economy, con gli indici Nasdaq ai loro minimi storici e con tutto quello che sarebbe derivato in seguito in termini di instabilità dei nuovi mercati ed insicurezza delle loro prospettive di crescita, ci siamo resi conto che se non avessimo trovato fonti di finanziamento per il sostentamento del progetto, alternative o quanto meno complementari a quelle che rappresentavano una primigenia forma di autofinanziamento, non saremmo andati molto lontano.

Certo eravamo piccini, e l’hosting per ospitare le prime pagine del webmagazine ci veniva offerto a titolo non oneroso da Spin Srl, storico Internet Service Provider del Friuli Venezia Giulia. Parimenti disponevamo di un luogo fisico in cui poter raccogliere ed elaborare i primi contributi di coloro che sarebbero poi diventati redattori in pianta stabile: la sede operativa de “La Cappella Underground” di Trieste, associazione culturale al cui interno, per l’appunto, sotto la presidenza di Massimiliano Spanu, già direttore editoriale di quelle Fucine Mute in limbo, quel progetto di rivista telematica fu prima programmaticamente voluto, poi definito ed infine promosso e sostenuto.

moneyPiccini, pertanto, al punto tale che bastava il mio portatile per far uscire ogni mese un nuovo numero, e una scrivania su cui appoggiarlo, oltre che un modem cui collegarlo, per far sì che la macchina produttiva funzionasse quanto meno nei primi tempi, quelli dell’entusiasmo di noi tutti, allora giovani ben più di quanto si possa dire d’essere adesso (bella consonanza).
Poi, si sa, giovani o meno che si sia, alle scommesse iniziali, peraltro suffragate da risposte incoraggianti da parte del pubblico dei lettori, fa sempre seguito il confronto con la realtà, quella che dice che un progetto, anche frutto di sola prestazione d’opera volontaria, deve poter vivere con le proprie forze e reggersi in piedi da solo, pena la sua morte prematura (e sono state tante le testate, anche storiche e mirabili, che hanno seguito questo destino).
A Fucine Mute servivano quindi risorse finanziarie per accrescere la qualità dei suoi contenuti, per variegare l’offerta dei suoi servizi e per innestare nel volano della sua macchina produttiva un moto virtuoso in grado anche di determinare il potenziamento della sua offerta tecnologica: server dedicato da una parte, maggiore banda dall’altra (siamo stati tra i primi in Italia a proporre il video streaming) ed anche servizi multimediali ed interattivi rivolti ad una community sempre più operosa, costante ed attiva.

Fucine Snc fu la risposta. Una società di servizi informatici e di comunicazione, che su Internet ha innervato il proprio business e che grazie ad Internet ha acquisito nel corso degli anni clienti sempre più importanti.
Di solito in Italia le sedicenti associazioni culturali-sportive-ricreative, senza fini di lucro s’intende, nascono proprio in subordine al fatto che una Società preesistente, già in grado di perseguire ed anche legittimamente produrre lucro, possa attuare operazioni finanziarie finalizzate all’ottenimento di crediti d’imposta (leggasi: pagare meno tasse, pagarle magari… proprio manco per niente). Quella nostra fu situazione giusto opposta: una Società nacque per far sì che i suoi soci potessero riversare in un progetto no profit parte anche non esigua dei propri guadagni.

muscoliAltro che associazioni sportive intestatarie di palestre con fior fiore di apparecchiature ginniche per fior fiore di clienti paganti, tutti ovviamente soci che versano ogni mese la loro quota associativa al fine di poter ottenere in cambio i servizi per essi previsti (bicipiti e tricipiti portentosi). Altro che associazioni culturali che organizzano fior fiore di concerti con fior fiore di biglietti staccati al costo di venti e passa euro l’uno e che magari all’interno dei luoghi in cui gli eventi musicali prendono luogo gestiscono anche bar che spillano fiumi di birra ed alcolici annessi, senza l’emissione di uno scontrino fiscale che sia uno, ché in effetti anche il birrino è un servizio rivolto al socio tesserato (il ruttino per la sua digestione, o, se preferite, la sbornia complementare al suo ludico divertissement).
Cose ben altre da quelle suesposte furono quelle che non solo consentirono a Fucine Mute di continuare a vivere ma le resero anche possibile una crescita mai venuta meno, ma anzi capace a sua volta di innestare un circolo virtuoso per la stessa Società finanziatrice, che poteva esibire credenziali di per sé evidenti su come essa fosse capace, a riprova dei fatti in tal modo testimoniati, di professionalità tecniche da una parte e di competenze giornalistiche, comunicative ed “umanistiche” dall’altra (Fucine Snc non era allora, e men che meno adesso è, solo una Società di tecnici informatici che masticano quotidianamente bit e byte, salvo poi magari perdersi nei meandri di una consecutio temporum… Fucine Snc era allora, e tutt’oggi è a maggior ragione, una Società di giornalisti e comunicatori, capace di produrre contenuti e non solo contenitori – che spesso sono vuoti, in mancanza di ciò per cui essi hanno ragion d’essere).

Quindi, miei cari lettori, ringraziate innanzitutto Serena Smeragliuolo, poi anche Fabio Bonetti ed infine il sottoscritto se ogni mese avete potuto leggere un nuovo numero di Fucine Mute. E se i mesi passano ed i numeri rincorrono una periodicità ormai persa come il tempo di proustiana memoria, sappiate che non c’è alcunché di cui preoccuparsi: stiamo lavorando per voi, e mai frase fatta potrebbe essere così calzante e pregna di significati come in questo caso (in un mese, oltre che chiudere un numero, da queste parti si realizzano almeno tre siti Internet – da zero: contenitore e contenuto – e si sta dietro alle richieste di centinaia di clienti).

triesteA proposito delle Istituzioni pubbliche che contribuiscono alla vita dell’associazione Fucine Mute, vorrei piuttosto sapere dove sia finito il Comune di Trieste da qualche anno a questa parte, visto che le nostre istanze di contributo, pur presentate ogni anno – ad esclusione del solo attuale – sembrano esser passate nella più totale indifferenza dell’assessore alle Politiche Culturali e Museali, signor Gilberto Paris Lippi prima e Massimo Greco adesso.
Un giorno, a fronte dell’ennesima lettera di risposta in cui ci si serviva un due di picche, mi son anche preso la briga di prender penna, carta e calamaio, e di scrivere due righe in cui andavo richiedendo, all’assessorato suesposto, contezza sul modo in cui i contributi pubblici, erogati dal Comune di Trieste nei confronti degli Enti beneficiari (organizzatori di eventi o attività culturali) venissero assegnati. Chiedevo null’altro se non acquisire le tabelle di riparto, per conoscere quali altri realtà cittadine, operanti nei nostri stessi ambiti dell’associazionismo culturale e volontaristico, fossero state assegnatarie dei contributi, e in quale misura ne beneficiassero.
La risposta che mi fu data suonava a grandi linee in questi termini (libera perifrasi, citazione fedele nella sostanza, non nella forma): “Caro Baravoglia, faccia richiesta scritta che sia altresì motivata, e poi paghi il costo delle fotocopie dei documenti che vuol acquisire per presa visione”.

Due cose non mi convinsero allora, men che meno adesso, e poi scoprirete il perché. La prima: che la richiesta scritta (ok, ci sta) debba esser “motivata”.
Motivata de che? Da quando in qua per l’ottenimento di un suo proprio diritto un cittadino deve motivare la richiesta che a quel diritto dà possibilità di manifestarsi? E se la mia “motivazione” non fosse risultata sufficientemente “motivante” qualcuno a produrre i documenti richiesti, ovvero a riconoscere il mio diritto, cosa sarebbe potuto accadere? Che il diritto di qualcuno, e quindi il dovere di qualcun altro, sarebbe potuto diventare la possibilità per qualcuno, in subordine alle volontà di qualcun altro? Ovvero devo ma non voglio perché così posso? Chissà se il signor Massimo Greco vuole, può o sente che deve rispondere a tal quesito?
Seconda cosa che non mi convinse: dover io sostenere un costo per poter veder riconosciuto il diritto di cui sopra, pagando al Comune di Trieste le spese di fotocopie o chissà cos’altro. Come se non bastassero le tasse che già versiamo per ICI, asporto rifiuti solidi urbani, affissioni pubbliche (quando si organizza un evento si devono pagare dazi e balzelli salatissimi per affiggere un manifesto o una locandina promozionali, in cui magari compaia anche in bell’evidenza il logo del Comune di Trieste che patrocinia).

trieste

Trascorsero i mesi, ed io neanche risposi a quella lettera, ma giunse infine il giorno 28 ottobre 2007 e su Rai Tre non mi persi la solita, eccezionale Milena Gabanelli che nel “Report” di quella domenica, presentò un servizio (Good News) dal titolo “Trasparenze Svedesi”, a cura di Giuliano Marrucai. In quella puntata venne data evidenza al fatto che in tutti i Paesi Scandinavi, dal diciottesimo secolo, è in vigore una legge che vincola ogni Istituzione pubblica a rendere completamente accessibili a chiunque i documenti che genera o riceve, tanto che la trasparenza della pubblica amministrazione in Svezia è un principio sancito addirittura dalla costituzione del 1766, ben prima che quello diventasse uno Stato democratico, e tale tradizione è diventata legge anche per le Istituzioni europee.
“Per entrare negli archivi del governo svedese non bisogna esibire alcun documento e nemmeno dichiarare la propria identità. E una volta dentro si ha accesso ad un computer che contiene l’elenco di tutti, e quando dico tutti intendo davvero tutti i documenti prodotti o ricevuti da tutti i ministeri” (Giuliano Marrucci, voce fuori campo nel servizio).
Helena Jäderblom, Giudice Corte D’appello Tribunale Amministrativo, riferisce che: “Il principio è che il tutto deve essere molto molto semplice, non è necessario compilare nessuna richiesta formale, e i documenti possono essere richiesti in ogni modo, telefonando, scrivendo una lettera, anche solo una mail, o un fax, e i documenti devono essere consegnati in tempi brevissimi”.
Comunque, senza che io prosegua con i miei copia/incolla per la bisogna, invito voi tutti a leggere il testo integrale di quel servizio o a visionarne il video, servito in streaming dal sito della Rai.
Invito che rivolgo a voi tutti in primis, ed anche al signor Massimo Greco in secundis.

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  1. […] una webzine) debba venir prima del lavoro; questo, va da sé, quando son stati e tuttora sono altri a lavorare, scommettere e rischiare di proprio, per garantire il divertimento a qualcuno e le […]

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