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Cinema

Werner Schroeter

Ritratto di Maria

Vagabondo del cinema underground, melomane incallito, innamorato di Lisbona, dove è in procinto di trasferirsi per realizzare il suo prossimo film ispirato al romanzo Para esta noche di Juan Carlos Onetti, il regista è ancora una volta ospite del festival internazionale del cinema e delle arti I Mille Occhi.

Werner Schroeter

Già vincitore nella scorsa edizione del “Premio Anno Uno a un cineasta del nostro tempo”, Werner Schroeter è un autore la cui opera trova molteplici intrecci con l’opera lirica, sin dal suo amore per il melodramma e per le figure di Maria Malibran e Maria Callas.
Scrive Schroeter nell’introduzione a Casta Diva: “come ogni forza espressiva umana che può emergere soltanto da lesioni, ingiurie, passioni viscerali, e dal necessario, inevitabile coinvolgimento verso di sé e verso il mondo, così la voce di Maria Callas era, per natura, quella grave di un mezzosoprano che lei stessa, proprio come quando si scagliano delle stelle da un mucchio di cenere verso il cielo, ha innalzato a quei toni al di sopra del sistema, tanto da scuotere un ragazzino diciassettenne come me, a tal punto da causarmi sanguinamenti al naso”.

Maria Callas in Werner Schroeter è una sezione del festival I Mille Occhi, che per l’occasione ha proposto sei film brevi amatoriali in 8 millimetri. Tutti realizzati con riprese originali, materiale ritrovato, fotografie, registrazioni di brani d’opera, i lavori testimoniano della passione di Schroeter per la divina icona della musica lirica.
“Tra tutte le interpreti femminili che conosco, Maria Callas era quella che con la sua carica espressiva riusciva a sospendere il tempo finché ogni paura svaniva, anche quella della morte stessa, e finché si raggiungeva una condizione simile a quella che potremmo chiamare felicità” scrive ancora Schroeter. Oltre ai film d’esordio, il programma è proseguito con il mediometraggio Neurasia (1968) e Poussières d’amour (1996), intenso docu-film con l’attrice Isabelle Huppert che introduce interviste con famose cantanti d’opera.

Sarah Gherbitz (SG): Com’è nata questa passione per la “divina” Maria Callas?

Maria CallasWerner Schroeter (WS): Questi piccoli lavori li ho creati quando avevo venti, ventidue anni, come in un gioco che facevo con me stesso, ma sempre pensando a Maria Callas, che per me era come una stella, una luce estremamente importante per la mia vita e per il mio lavoro. Solo, a casa, con la mia camera da 8 mm, li ho creati tutti così, nella mia fantasia. E soltanto in un secondo momento li ho dedicati a Maria Callas. Si è trattato di un gioco, quasi una solitaria masturbazione poetica, dove già iniziava la mia visione, la mia espressività, il mio potenziale espressivo.
Il vero omaggio che ho portato a Maria Callas è il film Poussières d’amour che ho fatto nel 1995 con tre cantanti liriche che io adoro, Martha Mödl, Anita Cerquetti, Rita Gorr e altri giovani cantanti. Questo film è il vero omaggio a Maria Callas, il film che ho dedicato a lei e a tutte le altre cantanti.

SG: Com’è nata l’idea per il film Poussierès d’amour?

WS: Già all’epoca, quando avevo conosciuto Maria Callas, negli anni Settanta. Il titolo originale in tedesco è Abfallprodukte Der Liebe: vuol dire che la musica e l’arte sono il sentimento della passione, l’arte come espressione umana è qualcosa che si sviluppa in parallelo con la vita umana, con la ricerca dell’amore e con la ricerca dell’altro. Dunque l’arte esiste unicamente come espressione di questa ricerca verso l’altro, di questa nostalgia. L’idea originale per il film era invitare queste cantanti in un posto, l’Abbazia di Royamount vicino a Parigi, per due o tre giorni. Che sarebbero venute con la persona, o le persone, fra le più importanti della loro vita, dunque ciascuna è venuta con quelli, quello o quella che amava: così il soggetto del film è raccontare la loro vita. Ad esempio, nel caso di Martha Mödl, la più grande cantante tedesca, ormai morta (quando abbiamo fatto il film aveva già ottantatré anni), lei è venuta sola perché dopo la morte di sua madre Martha Mödl non aveva più voglia di punti di riferimento, perché la sua passione, tranne l’arte, era sua madre.

Poi c’è Anita Cerquetti, l’altra cantante idolo della mia infanzia. Per un motivo psicologico, molto presto nella sua carriera, Anita ha avuto il problema di perdere la voce, la più bella, la più espressiva del canto drammatico italiano. Lei è venuta con suo marito, un uomo molto simpatico. Mi spiace parlarne perché ormai è morto: mi spiace perché Anita lo amava tanto. E poi c’era sua figlia. Ma se lei ha visto il film, be’, anche la figlia era una creatura abbastanza speciale…
Invece, Sergej Larin, il famoso tenore russo, arrivò con il suo amante, un ragazzo di Torino. Insomma, un film intimo che unito al canto e alla rappresentazione di qualche pezzetto musicale ci dà l’idea di quanto il rapporto tra la vita e l’arte è importante. Io amo molto questo film perché tutte le domande che faccio sono domande di base, come ad esempio: “avete paura della morte?”, “lei ha conosciuto l’amore?”, “chi ama?”, “che cos’è la passione per lei?”. Domande molto semplici, semplici e profonde. Dunque questo è un racconto di vita, di amore, di morte, di paura, di angoscia, ma anche di creatività e di espressione artistica.

Werner Schroeter

SG: Lei ha diretto moltissime messinscene di opere liriche. Quali sono le maggiori analogie, oppure le differenze, tra questo lavoro e quello di regista cinematografico? Che cosa cambia nella direzione degli attori?

WS: Le messinscene teatrali di opere liriche, i melodrammi, sono un servizio che io posso fare a un compositore o librettista. In questo caso servo all’opera di un altro, voglio sempre rinnovarlo, dare una nuova idea, anche se resta un lavoro di passione.
Ma quando sto scrivendo un film, come in questo periodo, è un altro fatto, completamente personale dove non sto servendo nessuno. Per quanto riguarda il lavoro con gli attori e i cantanti, bisogna dire che con i cantanti lirici ho fatto delle esperienze bellissime, perché li trovo più liberi rispetto agli attori, meno nevrotici: nessuno mi crede, ma in ogni caso è così. Molti miei colleghi lo sanno che i cantanti, nel migliore dei casi, sono veramente bravissimi a improvvisare e a creare. Questo perché evidentemente c’è la musica come partenza, dunque sia i cantanti, l’orchestra, il coro, ma anch’io, dobbiamo seguire questa musica preesistente, e questo ci dà una grande sicurezza di poter anche fare dei cambiamenti.

Invece nel teatro di prosa tutto è possibile, e dunque proprio per questo c’è un’angoscia più forte. Parecchie volte, secondo le mie esperienze con gli attori c’è un’angoscia, una paura che non c’è nel cantante lirico, perché lui ha già come fondamento la musica scritta, il ritmo, il tempo. Soprattutto con gli attori tedeschi, che hanno la tendenza a chiedere spiegazioni su tutto, a chiedere continuamente “ma devo alzare la mano?”, “ma devo guardare così?”…
Dunque il lavoro con i cantanti permette maggiore libertà. Certo, poi dipende anche dai cantanti, ho fatto anche delle esperienze orrende, ad esempio con un tenore che non faceva niente… Ma con i cantanti di grande educazione artistica, come quelli americani, c’è un grande piacere, una grande libertà, si può fare e ‘co-creare’ qualcosa. Poi, quando si lavora con gli stessi attori parecchie volte, aumenta anche la libertà, perché loro mi danno fiducia e in questo caso funziona molto bene.

In ogni caso, la più grande differenza con la messinscena di una tragedia, che sia la Fedra di Racine o di un’opera, come la Norma di Bellini o il Macbeth di Verdi, è che in questo caso lavoro con l’idea di rinnovare e dare un nuovo aspetto alla cosa.

SG: Nel suo prossimo film ci sarà nuovamente l’attrice Isabelle Huppert, con cui ha lavorato già parecchie volte. Che tipo di attrice è?

WS: Il lavoro con Isabelle Huppert è una cosa molto bella e speciale perché nella vita ci vuole una relazione “chimica”. All’inizio è stato interessante conoscersi perché siamo talmente diversi, differenti. Adesso, invece, prima addirittura di parlare, lei sa già che cosa voglio fare! Dunque la nostra è diventata soprattutto un’amicizia che per me è molto più importante del lavoro artistico.

Isabelle Huppert

Io la trovo un’attrice magnifica, quasi unica, che nei film, nel nostro lavoro si presta a una grande apertura. Come ho già detto, il mio lavoro con i cantanti e anche con gli attori è una ‘co-creazione’, una ‘co-creatività’, non mi piace fare il regista che insiste stupidamente “io ho scritto così”, “io ho detto così”… no! Si può creare un film o un pezzo teatrale solo dal vivo, ascoltando l’altro e guardandolo. Nel mio lavoro lo faccio da trentacinque anni, in settantasette messinscene e trentacinque film. Negli ultimi anni, Isabelle Huppert per me è la stella dell’amicizia, che lei mi dà sempre quando voglio lavorare con lei, e comunque non siamo lontani l’uno dall’altro come io avevo pensato dieci anni fa. Isabelle merita sempre i più grandi complimenti perché lei va lontano lontano, quando recita non assomiglia a nessun’altra… No, lei va lontano, va avanti, forse in un modo talvolta anche eccessivo, ma sempre controllato. Lei ha visto il film Deux? Le scene che Isabelle ha dovuto girare, tra cui le scene di grande violenza come quella in cui mangia il suo vomito non sono cose facili, ma lei le ha fatte con il piacere di ‘ co-creazione’. Perché quando lei sente il bisogno, la necessità, fa tutto nel senso artistico e amichevole di ‘co-creazione’ umana e artistica.

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