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Arte

Jean Giraud

Le visioni metafisiche di Moebius

La metodologia dell'errore

Per gli appassionati di fumetto, Jean Giraud è un nome che racchiude un mondo, anzi parecchi mondi. Più noto con gli pseudonimi di Moebius e di Gir, è considerato uno dei più grandi autori di tutti i tempi.

Moebius

Ideatore per Pilote del celebre personaggio Blueberry, Giraud ha realizzato anche storie fantastiche dallo stile onirico (sua la serie Il garage ermetico con Jerry Cornelius, Arzach e L’Incal su testi di Alejandro Jodorowsky) e ha lavorato per il cinema su capolavori della fantascienza come Tron (1982), Alien (1979), The Abyss (1989) e Il quinto elemento (1997).
Nell’ambito del Science+Fiction e grazie alla collaborazione di Napoli COMICON, l’artista è stato ospite a Trieste come testimonial della retrospettiva Voyage Fantastique, dedicata quest’anno agli incroci tra il cinema di fantascienza francese e il mondo del fumetto, dove l’abbiamo incontrato.

Circondato da giornalisti e fan che gli chiedono ammirati di firmare albi e stampe, Moebius è tranquillo e disponibile. Vado a salutarlo sapendo che l’intervista non si farà perché è troppo impegnato, almeno così mi è stato detto. Per fortuna quel po’ di francese che ricordo facilita l’interazione. Scambiamo due parole e gli racconto che ero venuta lì con l’intento di strappargli qualche perla di saggezza. Lui risponde cortese, quasi sorpreso, il suo sguardo è vivace e curioso, molto umano. Non capita davvero tutti i giorni di trovarsi di fronte un persona così. Sembra sempre essere lui quello più interessato a scoprire chi ha di fronte piuttosto che il contrario. Somiglia a come ho sempre immaginato dovesse essere un filosofo.

Gli racconto un po’ di Fucine Mute, della nostra sezione fumetto, e, senza che quasi me ne accorga, l’intervista si sta già facendo. Parliamo delle potenzialità del web. Gli dico che la nostra conversazione andrà in video in francese e che il nostro webmagazine è internazionale. Lui sorride davanti alla mia ingenuità emozionata, “non si è mai internazionali”, risponde, “siamo sempre in qualche modo il frutto della cultura nella quale viviamo”. Come dargli torto?

Disegno di Moebius

Moebius (M): A livello di documentazione, di avvenimenti, la scelta certo può essere internazionale, ma credo che ogni famiglia, ogni nucleo abbia voglia di sostenere la propria espressione, l’espressione di sé. Siamo molto, molto ansiosi di preservare la nostra identità, anche pubblica, soprattutto in contrapposizione a un’egemonia americana, anglosassone, veramente potente. Se non ci dimostriamo combattivi è la fine.
Ricordo il cinema italiano della mia gioventù: era meraviglioso. C’erano film con marcata personalità che arrivavano sul grande schermo. Oggi sono tutti uguali, c’è un terribile appiattimento.
Dal canto mio, vorrei semplicemente continuare a fare le cose come già le faccio. Il problema è che le giovani generazioni, quando vedono i miei disegni di Blueberry, non comprendono.

Cristina Favento (CF): Sono molto interessata alla sua cosiddetta “metodologia dell’errore”: ha affermato che per lei, nel suo lavoro, è importante sfruttare l’errore in senso positivo.

M: Mi sono posto recentemente la questione: riflettevo a proposito dell’impatto che le mie asserzioni potrebbero avere su uno spirito fragile. Vorrei quindi aggiungere che questa teoria ha dei limiti… (ride, nda)

CF: Ha dichiarato che “arrivati a un certo punto, occorre prendere il potere, decidere e accettare”. Che cosa significa?

M: Quando si disegna in maniera diciamo “commerciale”, popolare, ossia dentro a una struttura predefinita di comunicazione, c’è un’implicita domanda di conformità: occorre attenersi a un linguaggio ampiamente comprensibile, al rispetto delle regole, a una normalità semplicistica. Non sto parlando di qualcuno che ti sorvegli a vista e ti dica che cosa devi fare. Ci sono, però, dei limiti impliciti. Siamo noi stessi i primi ad autocensurarci perché è la condizione stessa per avere successo nel lavoro. Questo ti porta, anche per pigrizia a volte, a non creare personaggi che esprimano te stesso completamente: piuttosto, direi che si tratta di idealizzazioni. È la nostra parte sociale quella che prevale, che ti protegge anche, ma che ti fa diventare duro, chiuso come un’armatura, come un’aragosta, come il guscio di un granchio. Sembra incredibile a pensarci ma è come se internamente fossimo scheletrici, se ci si fosse impietrito il cuore, mentre dovremmo esser capaci di grandi mutazioni, di cambiar dimensione e forma, di fondere, di trasformarci in maniera plastica.

Disegno di MoebiusPer un disegnatore, ossia quel che mi riguarda, l’errore è appunto la possibilità di veder riapparire la mobilità, rappresenta la sorpresa, l’imprevisto. Se cerchiamo qualche riferimento teorico, possiamo supporre e ammettere che si tratti di una forma di lapsus, così come viene ben descritta da Sigmund Freud nel caso della parola, del linguaggio verbale, e quindi di una manifestazione della coscienza.
Dunque, un errore nel disegno può addirittura essere integrato in un visione metafisica dell’espressione, inteso come l’eruzione del represso, una manifestazione del sentire collettivo attraverso il canale dell’azione personale. Ripeto: vale fino a un certo punto…

CF: E quand’è che bisogna prendere il potere?

M: È proprio questo il momento, quando si entra in contatto con il nostro lato più enigmatico e selvaggio, che spesso si presenta sotto forma di trasgressione, di aberrazione, di qualche cosa di esteriore e superficiale che invece è profondamente interiore. È necessario dominarlo, prendere il potere, appropiarsene, così come si fa con un diamante: bisogna estrarlo e tagliarlo nel modo giusto perché rifletta la luce.

CF: E per quanto riguarda materialmente il vostro lavoro? Che cosa significa prendere il potere nel disegno?

M: Quando parlo di queste cose non mi riferisco al potere a livello di struttura sociale, mi riferisco a un aspetto specifico, parlo proprio dello spazio che c’è tra sé e il disegno. Non bisogna ridurre il concetto di potere alla società, altrimenti diventa una nozione sospetta. Il potere si esercita dalla nascita fino all’ultimo respiro. Svegliarsi, parlare, comunicare, lavorare: tutto significa esercitare il potere. Resistere alle pressioni dell’altro significa potere.

CF: Come convivono in lei l’anima realistica e quella più spiccatamente onirica?

M: È molto semplice, basta che, una sera qualsiasi, osserviate la differenza tra il vostro modo di comunicare con i vostri familiari e amici intimi e quello che usate, invece, per rivolgervi a degli sconosciuti, stranieri, persone di passaggio.
Nell’interazione variano l’attitudine, la postura, il timbro di voce, l’espressione. Aggiustiamo tutto in funzione del nostro grado di intimità, di conoscenza, di paura.
Questo dovrebbe farci riflettere sulla nostra pluralità… io sono sempre me stesso ma ci sono un’estrema varietà di modalità espressive e numerosi livelli di comunicazione possibile. Non è solo una questione di adattamento all’altro, si tratta anche di far emergere diversi livelli di coscienza.

CF: Il titolo della sua biografia recita appunto “Io e il mio doppio”…

Disegno di MoebiusM: Serve per sviluppare il racconto biografico, è un modo di strutturare la storia, di vedere le cose secondo una prospettiva. In realtà penso davvero a me stesso come a un’unicità, molto complessa e con differenti strati ma resta un’unicità. Mi percepisco in uno spazio astratto, con un sopra, un sotto, un lato destro, uno sinistro, un lato illuminato, uno oscuro, come tutti, malgrado la nostra unicità.

CF: Dai suoi disegni traspare una dimensione fortemente filosofica. Mi è capitato di vedere una bellissima foto che la ritraeva mentre stava facendo trekking sullo Stromboli, qualche anno fa, e mi è parso di capire…

M: (Interrompe molto sorpreso, nda) Davvero ha visto quella foto? E dove?

CF: Faceva parte dell’appendice di un catalogo pubblicato dalla Fondazione Querini Stampaglia in occasione di una sua mostra a Venezia

M: All’epoca, proprio mentre ero sullo Stromboli, c’è stata un’eruzione eccezionale, con tanto di lava e lapilli. È stato fantastico vedere il fuoco ovunque. Dopo il trambusto, improvvisamente, si è concluso il giorno, è arrivato il crepuscolo e siamo ridiscesi lungo un sentiero con delle torce. Molto suggestivo, davvero: quelli sono stati tra i momenti più memorabili della mia vita. E naturalmente lì, al porto di Stromboli, la pizza era buonissima (ride, nda).

CF: Guardando quell’immagine ho ritrovato una certa atmosfera sospesa che permea anche i suoi disegni, mi è sembrato di cogliere l’attitudine alla ricerca che caratterizza il suo sguardo sul mondo, un senso dell’andare, anche alla ricerca di se stessi, che si ritrova in molte delle sue tavole…

M: Si, c’era un forte aspetto metaforico in quella situazione. Ero con un gruppo di turisti e ci siamo trovati nel mezzo di questo evento vigoroso.

CF: Metaforico è proprio quel che ho annotato accanto alla foto…

M: In effetti, ancor prima di quella gita, ho spesso disegnato delle persone intente a scalare, a salire chissà dove…

CF: Cosa consiglierebbe alle giovani generazioni di artisti?

M: Raccomando loro di scegliersi bene i propri genitori! (ride, nda) È davvero importante. Per esempio: i miei si sono separati quando avevo 3 anni e mio padre è partito. È una persona davvero straordinaria ma, se fosse rimasto con mia madre, non mi avrebbe mai permesso di intraprendere una carriera così assurda come quella del disegnatore di fumetti.
Dunque, proprio prima della mia nascita, stavo chiedendo consiglio su come reincarnarmi e mi è stato detto: “voilà, se ami il disegno, ecco qua quel che ti serve. Senza un padre tra i piedi potrai portare avanti più facilmente il tuo destino!”.
Non è detto, però, che ciò che vale per me vada bene anche per gli altri, per qualcuno magari potrebbe essere l’antagonismo a stimolare la forza. Quindi ripeto: sceglietevi bene i genitori! È l’unico valido consiglio che io possa dare, tutto il resto sarebbe un’insopportabile intrusione nella libertà personale.

Disegno di Moebius

Jean Giraud (Fontenay-sous-Bois, 8 maggio 1938), francese, più noto con gli pseudonimi di Moebius e di Gir, è considerato uno dei più importanti disegnatori di fumetti fantascientifici. Capace di incredibili trasformazioni stilistiche, ha spaziato nei campi più disparati dell’arte grafica.
All’età di 16 anni iniziò la scuola di arti applicate, che costituirà la sua sola formazione tecnica. A 18 anni, nel 1954, mentre ancora frequentava i corsi della scuola, pubblicò sulla rivista “Far West” il suo primo fumetto: Les aventures de Franck et Jéremie, una serie umoristica. Lo stesso anno iniziò a collaborare a “Coeurs Vaillants” con illustrazioni didattiche e numerose storie d’avventura. Nel 1960, dopo il servizio militare, divenne assistente di Jijé e inchiostrò un intero episodio di Jerry Spring.


Nel 1962 con lo pseudonimo di Gir iniziò assieme allo sceneggiatore Jean-Michel Charlier la serie a fumetti Fort Navajo per la rivista Pilote, creando il personaggio di Blueberry, il protagonista di quest’ampia saga western estremamente curata come ambientazione, testi e disegni. Fu l’inizio di un grande successo: la serie continuò ininterrottamente fino al 1974; dopo la scomparsa di Charlier, Giraud ne scriverà anche i testi.
Contemporaneamente a Blueberry, Giraud, stanco della serialità e dei ritmi serrati cui è costretto e desideroso di spazi di maggiore libertà, creò lo pseudonimo di Moebius e inizia una sorta di carriera parallela, realizzando storie fantastiche con un stile onirico assai personale, prima per il mensile satirico Hara Kiri, quindi per Charlie e L’Echo des savanes. Sembrò infine scomparire per poco meno di una decina d’anni. La firma di Moebius riapparve alla fine del 1974, quando assieme a Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas fondò il gruppo Les Humanoïdes Associés (gli umanoidi associati) che, nel 1975, iniziò a pubblicare la rivoluzionaria rivista Métal Hurlant, un trimestrale che raccoglieva il meglio della produzione fantastica e fantascientifica a fumetti. Sulle pagine di questa rivista fortemente innovativa, Moebius pubblicò tra l’altro la famosa serie Il garage ermetico di Jerry Cornelius, in cui arrivò ad abolire la tradizionale sceneggiatura, ma anche lo ieratico e visionario Arzach, John Difool e, nel 1981, l’Incal su testi di Alejandro Jodorowsky. Nel 1996 ha scritto i testi per il manga di Jiro Taniguchi Ikaru, poi pubblicato in Europa nel 2000. Si è cimentato anche con il fumetto americano, dando una sua interpretazione di Silver Surfer in alcune storie scritte da Stan Lee.
Ha spesso collaborato alla produzione di film di fantascienza: tra questi Tron, Alien, The Abyss e Il quinto elemento. Ha tra l’altro disegnato costumi e scenografie per una produzione cinematografica tratta dal romanzo Dune di Frank Herbert, mai realizzata, che avrebbe dovuto essere diretta da Jodorowsky, idee confluite poi nell’ Incal. Ha collaborato con il regista René Laloux per creare il film animato Les Maîtres du temps (1982) tratto da un romanzo di Stefan Wul.
Il prestigio artistico di Giraud/Moebius in Francia è molto ampio, tanto da essersi visto dedicare anche dei francobolli commemorativi.
Note bio tratte da Wikipedia


Ringraziamo Lorenzo Bertuzzi per il gentile supporto lingustico nel corso dell’intervista e Beatrice Biggio improvvisatasi videoperatrice

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