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Palcoscenico

Aleksandar Popovski

Cercare una nuova bellezza

L’allestimento di Città così vicina, dell’autore lituano Marius Ivaškevičius, in scena in anteprima slovena al Teatro Stabile Sloveno di Trieste dal 14 marzo 2008, ha suscitato grande interesse aprendo una finestra sulle ultime tendenze nella drammaturgia di nuova generazione dei paesi baltici.

Marius Ivaškevičius e Aleksandar Popovski (a sinistra)
© foto di Anna Bandelli

La regia del macedone ha valorizzato con ironia e poesia il surreale testo, che affronta con un linguaggio fiabesco ed ingenuo la solitudine e il vuoto esistenziale dell’individuo. Il ruolo principale è interpretato da Barbara Cerar, talento ormai consilidato del teatro di prosa sloveno, affiancata dall’attore sloveno Vlado Vlaškalić. Nel cast gli attori del TSS Janko Petrovec, Nikla Petruška Panizon e Romeo Grebenšek.

“Pur non essendo un testo eccezionale”, ci racconta il regista, “porta in sé una splendida definizione dei nostri rapporti interpersonali. Una ricchezza di personaggi che attraverso i propri destini aprono degli interrogativi che spesso oggigiorno soffochiamo in noi stessi. Quante volte ci capita di pensare alla nostra vita come ad una prigione dalla quale non possiamo fuggire. I nostri matrimoni assomigliano sempre più a galere, mentre i rapporti tra partner a quelli tra due gladiatori nell’arena mentre la ricerca dell’amore è l’unica ricerca legittima di cui oggi abbiamo bisogno. Le nostre voglie più ricercate, sono quelle che più ci isolano. In un modo molto poco pretenzioso, il testo in questione parla del più grande mistero, la vita.

C’è una frase nel testo che mi piace molto. Anika all’inizio dice: “È vero, l’ho sognato”. Per me un personaggio che afferma che sia vero qualcosa che ha sognato, è di per sé geniale, qualunque cosa poi faccia in scena. È fantastica la storia di queste persone sole, che dalla riva guardano e immaginano un mondo e una vita fantastica che si trovano al di là del mare”.

Cristina Favento (CF): Come si colloca questo progetto rispetto ai suoi lavori passati? C’è un collegamento oppure è qualcosa di completamente nuovo?

Una foto di scena
© foto di Anna Bandelli

Alexander Popovski (AP): Dal punto di vista estetico è qualcosa di completamente nuovo. In questo periodo sto lavorando soprattutto su rappresentazioni relative al periodo classico perché ho lavorato molto in precedenza con la cosiddetta “nuova drammaturgia”, ossia con la drammaturgia contemporanea, soprattutto del Novecento, ed ero un po’ stanco. In quel tipo di lavori non trovo più alcuno stimolo al momento.
Ritengo che moltissime domande e risposte, sul teatro e sulla vita stessa, ora abbiano bisogno di esser trovate guardando al passato, al periodo greco, romano. I vecchi personaggi delle commedie classiche nella drammaturgia contemporanea improvvisamente sono diventati gay, lesbiche, spacciatori, disadattati, ecc… Personalmente non vivo questo tipo di situazioni col sesso o con le droghe, sono una persona normale e non mi ritrovo rappresentato. Comprendo che, in ogni caso, questo tipo di lavori sono in qualche modo legati a ciò che ci circonda, tentano di parlarci della vita, di temi universali. È piuttosto difficile, però, con questo tipo di storie. Per questo motivo ho deciso di sceglierne una come quella che rappresenterò qui (al Teatro Sloveno di Trieste, nda).

CF: Come e per quale motivo hai scelto questo testo?

AP: L’ho scoperto al festival di Avignone e mi è piaciuto subito. Il personaggio principale, Anika, ha un problema perché è convinta che le sue gambe si stiano lentamente e inesorabilmente attaccando, fino ad unirsi in una sola unica gamba, e che lei non sarà più capace di staccarle…
A mio parere, questo era innanzitutto lo splendido inizio di una storia sulla quale lavorare bene, soprattutto sul personaggio. In secondo luogo, ritengo il testo una buona rappresentazione della drammaturgia della vita. Oggi, a 38 anni, mi accorgo che quando sei più giovane cerchi di fare tutto in fretta, di finire bene la scuola, di raggiungere i tuoi obiettivi, di essere un “bravo ragazzo” per così dire. Cerchi in qualche modo di catturare la vita, lasci la tua casa, i tuoi genitori e poi ti aspetti che da un momento all’altro tutto debba capitare, ti aspetti che inizi davvero la vita. Ma contrariamente alle tue aspettative, inizi a renderti conto che la vita, invece, si sta chiudendo e che ogni cosa che ti circonda è un tentativo in qualche modo di ingabbiarti. Anche come regista mi è capitato di vivere questa sensazione: ho messo in scena due lavori che hanno avuto molto successo quando ancora ero piuttosto giovane e, da quel momento, tutti sembravano aspettarsi che io continuassi a fare lo stesso genere di cose. Io mi sono rifiutato, non mi interessava la ripetizione, volevo fare cose diverse, pur correndo il rischio di sbagliare, di fare dei lavori meno buoni. Il senso sta proprio nel provare, ero troppo giovane per fermarmi.
Questa commedia per me rappresenta una buona drammaturgia della vita perché ti fa capire come la cose vadano nella direzione sbagliata. Sono convinto che la cosa migliore sarebbe nascere da vecchi, con tutte queste stupide e sovrabbondanti informazioni già immagazzinate, per poi poter riavvolgere il nastro e tornare indietro, andare verso la gioventù a posteriori, ridiventare un ragazzo, rivivere la giovinezza col senno di poi e terminare la vita con uno strepitoso orgasmo.

CF: Come hai lavorato per costruire il testo in scena?

AP: Il mio lavoro si basa soprattutto sul rapporto con gli attori, quindi per me era fondamentale riuscire a stabilire un legame tra attori e personaggi, per poi vedere come questi personaggi iniziavano a restituire la storia in scena.

Una foto di scena con tutti gli attori diretti da Aleksandar Popovski
© foto di Agnese Divo

Il secondo punto da sottolineare è che la mia idea di estetica e di agire la scena si ispirano in qualche modo al periodo socialista, che noi macedoni conosciamo molto bene. Credo che il nostro paese sia ancora immerso nel socialismo. Certo siamo in un periodo di transizione, ma il socialismo permane nella mente delle persone. Tutti vogliono sentirsi sicuri e continuare a vivere come facevano prima ma senza socialismo (lo dice con una certa ironia, nda). Tutti sembrano dire: Oh era un periodo meraviglioso quando c’era la Yugoslavia, eravamo tutti molto felici, c’era lavoro, senza guerra, senza crisi…”. Ma allora perché è caduto questo sistema? Ero un bambino ma la caduta del muro di Berlino è storia, chi è che l’ha tirato giù? La riflessione su questi temi mi ha stimolato a utilizzare una sorta di impostazione estetica “socialista” che viene dai miei ricordi.

CF: Com’è stato l’incontro con la cultura nordica? Questo lavoro è un curioso miscuglio di influenze baltiche e balcaniche, che genere di scambio c’è stato e come si manifesta nello spettacolo?

AP: Nelle mie precedenti esperienze, ho girato un corto in Svezia, a Stoccolma, tre anni fa, mi sono reso conto che la cultura nordica è completamente diversa dalla nostra (slava, nda). Lo spettacolo mi sembra la combinazione di due fattori. Noi macedoni siamo molto patetici, mettiamo un sacco di emozioni ovunque, anche dove non ce n’è assolutamente bisogno. I nordici si comportano diversamente, in modo poco pretenzioso, ed io ho utilizzato questo loro modo. Non ci sono grandi catarsi, grandi picchi, i personaggi semplicemente soffrono oppure sono felici ma senza farlo in maniera eclatante, saltellando o strappandosi i capelli! Credo che “culturalmente” lo spettacolo rispecchi il tentativo di evitare l’eccesso.

CF: Quali sono i tuoi riferimenti artistici?

AP: Per questo spettacolo ho visto molto cinema di Aki Karismaki e di Godard, potrei citare ad esempio Pierrot le fou. Adoro quei film, quella libertà di fare cose così diverse in uno stesso film, in un frammento. Qualcuno canta poi, improvvisamente, c’è uno “scarto estetico” e ti ritrovi all’opera, nel ballo o dentro una tragedia.

CF: Grande attenzione è dedicata alla parte musicale, che sembra avere un ruolo attivo nel tuo spettacolo. Qual è il tuo rapporto con la musica?

AP: Sono una sorta di gitano che “carpisce” a intuito. Non ho una formazione specifica ma credo ci voglia semplicemente orecchio. Per me ogni lavoro è anche una performance musicale. Ormai sono dieci anni che lavoro con lo stesso compositore e ci conosciamo molto bene. La musica stessa è drammaturgia per me, assieme allo spazio scenico. Sono due elementi molto importanti che mi aiutano a creare drammaturgicamente ciascuno spettacolo. A volte, in alcune scene, faccio un passo indietro e cerco di far sentire agli attori la musica, senza spiegare o dirigerli esplicitamente, in modo che sia anche l’interazione con l’elemento musicale a far uscire la storia.

CF: Parlando dei tuoi riferimenti, hai citato dei grandi nomi del cinema e anche poco fa, durante il nostro incontro, abbiamo parlato di un tuo modo spiccatamente cinematografico di costruire le sequenze sceniche. Ti chiedo quindi come ti relazioni come regista con il cinema e come si traduce questa passione nei tuoi lavori teatrali?

Aleksandar Popovski
© foto di Anna Bandelli

AP: In effetti vengo da una scuola di cinema e teatro e non ho mai concepito le due cose come scisse, non le ho mai divise. Ho girato alcuni corti, una fiction, ho lavorato molto in televisione, in produzioni musicali e videoclip. Mi ispiro molto a certi film ma cerco di comunque di fondere le due cose assieme. Non, però, nel senso, per esempio, di introdurre dei video sulla scena a teatro, odio questo tipo di operazioni. Non penso questa sia reale interazione, sono elementi diversi che non si appartengono, credo che la fusione dei due mondi stia piuttosto nel modo affine di pensarli.

CF: Che cosa vorresti comunicare agli spettatori che vedranno il tuo spettacolo a teatro? Che cosa speri che si “portino a casa”?

AP: Pace! (ride, nda). Innanzitutto, al momento sto lavorando in un direzione che ricerca un po’ di felicità, di lati positivi. Stiamo uscendo da un periodo piuttosto negativo, onestamente lo ritengo profondamente nero. Mi ricorda il periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Sono stanco di andare a vedere e di fare a teatro lavori pessimisti. Ritengo che il mio lavoro debba mostrare qualcosa di diverso. Vediamo ogni giorno violenza e avvenimenti negativi, chiunque può mostrarceli. Madri che uccidono i figli, suicidi, sangue, immagini scioccanti che ci passano davanti continuamente. Noi abbiamo ancora negli occhi l’esecuzione di Ceausescu. Non è tempo di storie, di illusioni, ora tutto è fin troppo reale. Credo si debba, o perlomeno io sento di doverlo fare con il mio lavoro, cercare una nuova bellezza. Credo in questo, credo in un nuovo ideale di bellezza e penso che la gente saprà riconoscerlo nel momento in cui sarà loro proposto.

In televisione è difficile che accada, è tutto troppo veloce, sei bombardato da altre cose, tutto è sotto controllo. Anche il cinema è un media piuttosto controllato perché è industriale. Non è così per il teatro, nessuno ci fa troppo caso ed è un bene. Dentro è buio, nessuno ti controlla, puoi piangere o ridere, esprimere i tuoi sentimenti, fare cose che fuori sarebbe proibito fare… Per me il teatro rappresenta una sorta di tempio dove, come artisti, abbiamo il compito di trovare questa nuova bellezza.

il cast di Città così vicina
© foto di Agnese Divo

Scheda


Titolo: Città così vicina / Close city
Regia: Aleksandar Popovski
Traduzione: Zdravko Duša
Scene: Branko Hojnik
Assistente scenografo: Aleksander Blažica
Costumi: Jelena Prokoviæ
Assistente: costumista Helena Sebanc
Musiche: Kiril Djajkovski
Coreografie: Daša Rashid
Lettore: Jože Faganel
Realizzazione luci: Rafael Cavarra
Cast: Barbara Cerar (Anika); Janko Petrovec (Svante); Petruška Panizon (Birgit Nikla); Romeo Grebenšek (Lars); Vladimir Vlaškaliæ (Carlsson); Barbara Cerar (Sirena)
Voci alla radio: Jette Ostan (Regina di Danimarca); Alojz Svete (Re di Svezia)


Autore: Marius Ivaškevičius, nato nel 1973 a Molėtai (Lituania), è un rappresentante di spicco della giovane generazione di scrittori e drammaturghi lituani. Laureato in filologia all’Università di Vilnius, ha collaborato con la redazione culturale della televisione lituana. Nel 1996 ha pubblicato il suo primo libro, una raccolta di novelle dal titolo Children for Sale (Kam vaikų). Come drammaturgo ha debuttato nel 1998 con il testo The Neighbour (Kaimynas) con il quale ha vinto il premio del Concorso teatrale nazionale. In seguito sono stati messi in scena 8-230, It´s Me, che segna il suo debutto anche come regista, e il testo Malysh (2001), premiato nel 2002 dal Ministero della cultura lituano come miglior allestimento dell’anno. Il dramma ha riscosso un notevole successo ed è rimasto in repertorio nei teatri lituani per diversi anni, oltre a essere rappresentato in diversi festival all’estero. Anche il controverso Madagascar (Madagaskaras) è stato premiato nel 2004. Il dramma contemporaneo Città così vicina è stato scritto nel 2005. I suoi drammi sono stati tradotti in polacco, tedesco, sloveno, francese, russo, belorusso e inglese. Vive e lavora a Vilnius.

Commenti

Un commento a “Cercare una nuova bellezza”

  1. C’è bisogno di questo. Ora e poi. Grazie.

    Di Franco Crippa | 18 Giugno 2014, 06:50

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