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Cinema

Da Sodoma a Hollywood

Torino GLBT Film Festival

Il buio in sala, la luce sullo schermo, la finzione che si mescola alla realtà, e nel raccontarla, la riannoda e la ricostruisce, possono aiutare ad architettare una società più giusta, più libera, più moderna, più attenta?[…] La risposta: potrebbe essere sì, ma è ancora no. Per questo, siamo ancora qui.
Giovanni Minerba

Locandina del Torino Festival da Sodoma a GomorraNon so cosa il pubblico medio e “non mirato” si aspetti da un festival cinematografico con tematiche omosessuali, in ogni caso non è quello che si trova davanti.
Il Torino GLBT Film Festival è giunto quest’anno alla sua ventitreesima edizione. Alle spalle ha anni di esperienza, diffusione e radicamento nel territorio. La manifestazione funziona, non ovviamente con i fasti del Torino Film Festival, ma altri sono i budget, gli intenti, e altro è anche il pubblico che risponde all’invito.
Un pubblico da non sottovalutare, come afferma il direttore Giovanni Minerba. Quest’anno la partecipazione è aumentata, in particolar modo quella femminile. Una crescita probabilmente legata all’attenzione e alla professionalità con cui il festival è curato e organizzato. Nonché alla qualità dei film proposti, dentro e fuori concorso. Tante le novità, meravigliose le retrospettive. Ma andiamo per gradi.

Il concorso principale, come negli anni scorsi, si divide in tre aree tematiche: lungometraggi, documentari e cortometraggi. Tra i vincitori di questa edizione, nella sezione lungometraggi, (Premio Ottavio Mai) il primo posto spetta a La León di Santiago Otheguy (Argentina/Francia, 2007), mentre ottengono il Premio Speciale della Giuria Was am Ende zählt (Nothing Else Matters) di Julia von Heinz (Germania, 2007) e Les Chansons d’amour di Christophe Honoré (Francia, 2007).
Tra i documentari, sono stati premiati A Jihad for Love di Parvez Sharma (USA/Germania/UK/Francia/Australia, 2007), considerato il lavoro che più ha risposto alla filosofia del festival “i film che cambiano la vita”, per la sua importanza sia nel mondo islamico, sia in quello occidentale, per l’ambizione e l’ampio sguardo sulla topografia geografica e umana. E ancora per una regia coraggiosa, ipnotizzante e convincente. Hanno ottenuto la menzione speciale anche Darling! The Pieter Dirk Uys Story di Julian Shaw (Australia, 2007) e il documentario animato Be’ikvot Ahatiha Ahasera (The Quest for the Missing Piece) di Oded Lotan (Israele, 2007), dedicato al tema della circoncisione.
Tra i corti al primo posto si è piazzato Alguma Coisa Assim (Something Like That) di Esmir Filho (Brasile, 2007), mentre ottiene la menzione En liten Tiger di Anna-Carin Andersson (Svezia, 2006). Tra le opere premiate dal pubblico, inoltre, ci sono Were the World Mine di Tom Gustafson (Usa, 2008) come miglior lungometraggio, Darling! The Pieter-Dirk Uys Story di Julian Shaw (Australia, 2007) come miglior documentario e Café com leite di Daniel Ribeiro (Brasile, 2007) come miglior corto.

Al concorso principale, quest’anno, si è affiancato anche il premio Nuovi Sguardi — un riconoscimento per lungometraggi e documentari che “riflettano l’evoluzione del cinema queer, capace di […] attraversare i linguaggi più diversi, di fondere le questioni legate all’identità con i generi cinematografici” — attribuito ex-aequo a Panorama di Loo Hui Phang (Francia, 2007) e Solos di Kan Lume e Loo Zihan (Singapore, 2007), con una menzione speciale per Love and Words di Sylvie Ballyot (Francia, 2007).

Torino Festival da Sodoma a Gomorra

Tra i fuori concorso alcuni film davvero divertenti, tra cui lo spassosissimo Chuecatown, apripista del Festival ambientato nel barrìo di Chueca a Barcellona, in cui uno spietato serial killer (Pablo Puyol: qualcuno se lo ricorda nei panni del ballerino Pedro nella fiction spagnola Paso Adelante?) elimina le vecchiette che abitano nel quartiere per ristrutturare e vendere gli appartamenti alla classe media ideale, formata da coppie gay culturalmente e fisicamente perfette. Ovviamente a complicare le cose ci sono i due protagonisti, Leo e Rey, una coppia gay atipica: non bellissimi, grassottelli, anche stempiati, con gusti non così coltivati. E con loro, la madre di Rey, una donna terribile e una suocera peggiore di quanto si possa immaginare… Cosa potrebbe accadere se proprio lei andasse a vivere in uno di quegli appartamenti che l’assassino ha preso di mira per trasformare Chueca nel migliore quartiere di Barcellona?

Sempre nei fuori concorso, è stato proiettato il documentario Joy Division, di Grant Gee, che racconta la storia della nascita della band inglese nata alla fine degli anni Settanta: un’opera davvero apprezzabile di un autore delicato, musicale e notturno, le cui sperimentazioni cinematografiche incontrano spesso la musica, come è accaduto anche nel 1998 con il documentario sui Radiohead.
Segnalo infine With Gilbert & George di Julian Cole, montato nel 2007 dopo 17 anni in cui il regista ha seguito e registrato le relazioni, la ricerca artistica, ma soprattutto il vissuto personale dei due artisti inglesi.

Nella sezione dedicata alle panoramiche (lungometraggi, documentari e cortometraggi fuori concorso) è stato presentato The Beirut Apt., girato da regista torinese Daniele Salaris, che racconta in forma di confessione l’identità di quattro giovani gay di Beirut, capitale del Libano, in cui l’omosessualità è un reato, e le inclinazioni sessuali vivono la difficoltà di una cultura multireligiosa e multietnica ancora troppo conflittuale. Nell’appartamento affittato dalla troupe, tra i molti aspiranti protagonisti, vengono scelti tre ragazzi e una ragazza, che raccontino la propria vita e la propria sessualità, con tutte le difficoltà del quotidiano, delle relazioni familiari e sociali.

Come ogni anno, oltre alla nuova cinematografia, c’è grande attenzione al passato e alle sperimentazioni da cui il presente ha tratto ispirazione: in quest’ottica si pone il lavoro di costruzione del progetto “Classici & Moderni”, curato da Giovani Minerba. Nove film, che attraversano la storia del cinema internazionale, con un taglio che mira alla conoscenza dei generi, della regia e del mutamento del gusto e del costume sulle tematiche omosessuali: dall’osannato Il Vizietto (1978) con i grandi Tognazzi e Michel Serrault, all’incompreso Ciao, una volta, mamma (1975) del fiorentino Valerio Casciarri; da Madame Satã (2002) di Karim Ainouz, basato sulla storia della drag queen-bandito-cuoco-difensore dei diritti dei gay João Francisco Dos Santos, a Making Love (1982) di Arthur Miller, lo stesso regista del cult movie adolescenziale Love Story; da Gli occhiali d’oro (1987) di Giuliano Montaldo, ispirato al romanzo Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, all’opera prima dell’omonimo regista di The Terence Davies Trilogy (1984); da A very natural thing (1973), prima opera statunitense dichiaratamente politica sulle tematiche omosessuali, a Yo, la peor de todas (1990) dell’argentina Maria Luisa Bemberg, tratto dalla biografia della vita di suor Juana Inez de la Cruz, innamorata della cultura e della filosofia e legata da una relazione, fatta di sguardi e di versi poetici, alla viceregina di Spagna; per arrivare, infine, a Mala Noche (1985), primo lungometraggio di Gus Van Sant, presentato proprio a Torino nella prima edizione del GLBT Film Festival del 1986. Una selezione, come lo stesso Minerba afferma, “motivata dalla ricerca del buon cinema e […] da una vena nostalgica, così come è facile intuire [dal]la scelta politica, che ovviamente non manca mai”.

Oltre alla retrospettiva storica, il Festival propone due filoni di approfondimento: Schoolmates (Compagne di scuola), riservato alle tematiche omosessuali in ambito scolastico, e J-ender: Big Bang love in Japan, dedicato al prolifico e complesso universo della cinematografia e dell’animazione queer della cultura nipponica. Quest’ultima retrospettiva mette in luce alcuni aspetti della produzione e della diffusione di queste opere cinematografiche che lasciano profondamente stupito uno spettatore occidentale. La maggior parte dei prodotti audiovisivi animati, ad esempio, è realizzato da donne per un pubblico etero femminile, pur trattando storie gay; un controsenso che viene spiegato dalla necessità di creare un immaginario stereotipo maschile più aderente ai desideri e ai bisogni, emotivi e non, delle donne giapponesi: “l’impressione ricavata dai fumetti femminili [da cui vengono tratti molti dei lungometraggi animati] era che essere gay significasse far parte di un élite di giovani belli e in gamba”. Antropologicamente questa rivelazione è una bomba, che evidenzia una grande insoddisfazione, mal celata dall’approccio intrattenitivo di tanta espressione grafica e non prodotta in Giappone.

evento in memoria di John Balance al Torino Festival da Sodoma a Gomorra

Tornando al Festival, tra gli omaggi (tanti e brevi in questa edizione), Lust in the Dust merita, a mio avviso, il posto d’onore. Divine non poteva mancare con una “commedia camp, scritta da Philip John Tayol, omaggio perfido e affettuoso al b-western americano e straniero”, come brillantemente lo definisce Roberto Silvestri. Accanto al film, la preziosa esposizione B-Side -allusione ai lato b degli LP ormai ricordo degli anni Settanta-Ottanta e alla doppia carriera di Divine —, dedicata alle copertine delle incisioni musicali realizzate dal 1979 al 1986.

Seguono a ruota l’omaggio a Joe Oppedisano, regista e fotografo italoamericano, e a Parker Williams, attore e regista del porno gay, trattato quest’anno per la prima volta nell’ambito del Festival.
Che dire? Un festival ricco e intenso, un calendario particolarmente impegnativo, con momenti ironici, altri comici (Meet the Spartans, parodia di 300, merita quasi unicamente per le coreografie assurde e i cammei, veri o presunti tali), altri ancora decisamente impegnati.
Ripeto: non so cosa un pubblico medio e “non mirato” si aspetti da un festival cinematografico con tematiche omosessuali. Io ho trovato la possibilità di vedere ciò che di solito non passa nei normali circuiti cinematografici, ho notato quanta attenzione si faccia verso il pubblico giovane (che forse al cinema cerca la possibilità di identificarsi con gli eroi di celluloide, come da sempre, e di avere qualche risposta in più), ho riflettuto sulla difficoltà di essere se stessi anche oggi, nonostante la strada compiuta, e grazie ad essa. Si impara, si conosce. Si è pronti a ripartire. All’anno prossimo.

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