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Percorsi

Cronache transiberiane (II)

Da Mosca a Ekaterinburg

Segue da Cronache Transiberiane (I)

La liena transiberiana

La linea transiberiana parte da Mosca. Per raggiungere Ekaterinburg — la nostra seconda tappa — che dista 1814 km dalla capitale, i treni possono seguire due diversi itinerari: uno più a nord che attraversa Nizhny Novgorod, Kirov e Perm prima di entrare in Asia e un altro più a sud che passa per Kazan, capitale della Repubblica autonoma del Tatarstan. Il nostro treno, l’Ural, compie questo secondo percorso.

Quella di seguire questa linea ferroviaria non è stata una scelta consapevole. Il percorso più a nord è quello più battuto dai turisti e anche noi ci eravamo preparati a seguire quell’itinerario. Ma l’agenzia contattata su internet ci ha venduto i biglietti per la tratta alternativa. Noi ce ne siamo accorti soltanto quando siamo saliti sul treno. E dire che la partenza dalla Stazione Kazan doveva farci venire qualche dubbio! Poco male, visto che, in ogni caso, avremmo raggiunto la nostra meta e, in ogni caso, avremmo attraversato una parte di Russia che non avevamo visto. Inoltre, eravamo gli unici turisti sul treno e quest’aspetto rendeva il viaggio più autentico e meno organizzato.

L’Ural è un treno nuovo, pulito e confortevole. I resoconti dei viaggi che avevamo letto prima di partire ci avevano un po’ allarmato: treni sporchi, affollati, cucina pessima e la provodnitsa — responsabile del vagone — un gendarme. Invece la nostra , dopo averci meticolosamente controllato i biglietti, ci ha accompagnato in un confortevole scompartimento a due cuccette e, su un tavolino coperto da una tovaglia immacolata, ci ha offerto un tè di benvenuto.
Durante la nostra permanenza sul treno si è sempre preoccupata che non ci mancasse nulla: era di una gentilezza quasi esagerata.
È stato in quei giorni che abbiamo formulato il proposito di compiere nuovamente il viaggio lungo la transiberiana senza fermate, tutto d’un fiato fino a Pechino per festeggiare i nostri 25 anni di matrimonio.

Andrea Hammerle assieme alla provodnitsa

Lasciataci Mosca alle spalle, il paesaggio si è fatto velocemente più selvaggio: foreste di betulle e acquitrini, interrotti sporadicamente da villaggi costituiti da poche case di legno e polverose strade non asfaltate.
Ogni tanto fa capolino qualche fabbrica, di quelle classiche con le ciminiere rosse e bianche e il fumo che esce. Se ne stanno lì a lavorare tra i boschi che, altrimenti, diresti incontaminati. Intorno alle fabbriche le case degli operai e null’altro. Come a Vekovka, città sede di una vetreria, i cui abitanti si assiepano sulle passerelle della stazione cercando di vendere bicchieri ai passeggeri.

Purtroppo c’è anche un altro aspetto che ti ricorda che l’uomo è giunto dappertutto: le immondizie che ornano i margini della ferrovia, e che, nei villaggi, formano vere e proprie discariche a cielo aperto. E anche se il paesaggio rimane affascinante, l’occhio non può fare a meno di cadere sul sacchetto azzurro che fa capolino tra gli alberi o sulle bottiglie che, come fiori, punteggiano l’erba. Peccato!

Solo ogni tanto il treno fa delle fermate più lunghe, in qualche stazione addirittura mezz’ora, così puoi scendere a sgranchirti un po’ le gambe e, magari, a comprare qualcosa da mangiare dalle donne che vendono cibi cotti da loro. Come prima cena in treno, noi optiamo per il vagone ristorante, anch’esso molto curato. Peccato che non ci siamo ancora preparati a decifrare i menù. Così, notevolmente affamati, ordiniamo quello che costa di più pensando che il prezzo sia proporzionato alla quantità. Ci servono un piattino di salmone affumicato e una coppetta di insalata. Il dessert diventa una necessità. Fortunatamente nello scompartimento abbiamo dei biscotti per la colazione dell’indomani che ci saziano più della cena.

Vedute transiberiane

La città di Kazan si trova in prossimità del Volga, il fiume più importante che incontreremo in questa tratta. Ma l’arrivo è previsto per le 3 di notte. Decidiamo di mettere la sveglia. All’una apro gli occhi e mi si offre uno spettacolo meraviglioso: il treno sta attraversando la foresta, intorno non c’è alcuna illuminazione ma il cielo è pieno zeppo di stelle. Tantissime stelle come non mi è mai capitato di vedere. Non immaginavo che il cielo potesse dare una tale sensazione di sovraffollamento!

Alle 3 e 25 suona la sveglia ma Kazan non si vede. Siamo in ritardo. La raggiungiamo dopo le quattro e io mi sveglio in tempo per vedere le ultime lettere, “AN”, del nome della città mentre lasciamo la stazione. Ci siamo persi il Volga. Lo rivedremo fra 25 anni.
Nonostante in treno non ci sia nulla da fare, non ci annoiamo mai. Incollati al finestrino cerchiamo di non perderci neanche una betulla o una casa o un ferroviere con il giubbino arancione che ogni tanto fa della manutenzione lungo la linea.

Insieme a Mosca, ci siamo lasciati alle spalle anche la primavera. Gli alberi sono sempre più spogli, il verde sempre meno presente. Per raggiungere Ekaterinburg dobbiamo attraversare gli Urali. Vecchie montagne coperte da foreste con dolci pendii e qualche lago. Anche a me piacerebbe avere una casetta di legno come quelle che vedo, con i battenti delle finestre colorati e la staccionata storta. Magari in giardino ci metterei pure un bidone per le immondizie, in modo da non contribuire al già dilagante inquinamento in Russia.

Vedute transiberiane

Siamo partiti da Mosca alle 16.08 del 3 maggio. Arriviamo ad Ekaterinburg nel tardo pomeriggio del 4 maggio. Solo con questa prima tratta abbiamo fatto il viaggio in treno più lungo della nostra vita. E abbiamo scoperto che viaggiare in treno è bello perché sei consapevole delle distanze che compi, dei paesi che attraversi, del graduale cambiamento di clima e di vegetazione.
Dopo aver attraversato una vasta periferia di case di legno e lamiera, raggiungiamo la stazione di Ekaterinburg, la città dove l’ultimo zar e la sua famiglia sono stati uccisi.

Ekaterinburg: dove si costruiscono le case di notte e finalmente si parla inglese

Arriviamo alla stazione di Ekaterinburg. Una città piuttosto recente, fondata nel 1723 e chiamata così in onore di Caterina, moglie di Pietro il Grande e Santa Caterina patrona delle miniere. Nel 1918 lo zar Nicola II e la sua famiglia furono uccisi qui dai bolscevichi. Più tardi Lenin la ribattezzò Sverdlosk. Solo negli anni ’90 riassunse il suo nome originario ma il secondo nome viene usato spesso soprattutto in ambito ferroviario. A me, quando ho letto Sverdlosk sul biglietto del treno, appena saliti sull’Ural, è venuto un colpo. Chissà dove finiremo, ho pensato, ma Andrea, più preparato, mi ha raccontato la storia della città e mi ha rassicurata. Da quel momento in poi ho cominciato a leggere avidamente la guida alla transiberiana così da evitare futuri spaventi di tal genere.

Vedute transiberiane

Nonostante Ekaterinburg sia la capitale economica e culturale degli Urali, manca della maestosità e della bellezza di una capitale. Al primo impatto è piuttosto squallida e grigia, piena di cantieri e di case in disfacimento. Ma questa vista sgradevole è compensata, al nostro arrivo in stazione, dal simpatico autista Serguey e dalla spumeggiante ragazza dell’agenzia turistica che conferma il principio generale che tutte le ragazze russe sono belle ma smentisce il fatto che in Russia nessuno sorride e parla inglese. Lungo il tragitto verso l’appartamento dove alloggeremo, ci indica le principali attrattive della città — per la verità non molte — e, nel suo fluente inglese, che io seguo con un po’ di difficoltà, ci racconta qual è, dal punto di vista suo e di Sergej, il modo di vivere dei Russi. La sua conclusione è che i Russi vivono senza regole. La dimostrazione di questo teorema, che non ho faticato ad approvare, sta intorno a noi. A cominciare dalla strada, lungo la quale possiamo notare come alcuni abbiano il volante a destra e altri a sinistra, a proprio piacimento. Sergej preferisce guidare a destra pur dovendo tenere la destra e io stento a capire quale piacere si possa trovare a guidare in questo modo.

L’appartamento dove passeremo due notti si trova al settimo piano di un condominio di periferia. Per raggiungerlo bisogna superare molteplici sistemi di sicurezza. Il primo dei quali consiste nel confermare la nostra identità alla padrona di casa affacciata alla finestra. Quindi apriamo il portone dotato di chiusura tecnologica già vista a Mosca, salutiamo il portiere appostato all’entrata, prendiamo l’ascensore e apriamo un’inferriata che divide le porte delle case dal vano delle scale. A quel punto ci viene aperta la porta chiusa a doppia mandata dalla nostra ospite. Io sono più spaventata che mai, tanto più che nel percorso dalla stazione all’alloggio non ho visto nessun rassicurante esponente delle forze dell’ordine. Forse nella nostra permanenza a Ekaterinburg non l’avremmo passata liscia: nel migliore dei casi saremmo stati derubati e nel peggiore non oso immaginare cosa ci sarebbe potuto capitare. Così penso, ma senza confessare le mie paure ad Andrea che probabilmente si sarebbe messo a ridere.

Vedute transiberiane

Tuttavia tale paura è superata da un altro spavento non appena conosciamo la padrona di casa: una signora distinta, professoressa di ingegneria presso la locale università — come l’ex presidente russo Boris Eltsin — che non vede l’ora di chiacchierare con i suoi ospiti in inglese, lingua che conosce abbastanza ma che non ha molte occasioni di usare. Probabilmente si è anche preparata a questo incontro. E io che speravo in un tranquillizzante dialogo a gesti, mi trovo ad affrontare una conversazione sulle attrattive della città e sui nostri progetti per l’indomani. Fortunatamente riusciamo a convincerla a lasciarci dare una veloce occhiata alla città prima che si faccia troppo tardi e ci rifugiamo a cenare in un ristorante turco.

Quella sera, all’uscita da un centro commerciale ci imbattiamo in alcuni lavori in corso lungo la strada che ci lasciano piuttosto stupiti, vista ormai l’ora da digestivo. Ma quando andiamo a dormire, affacciandomi alla finestra mi accorgo che anche il cantiere edile di fronte al nostro condominio è in fermento. Sergej, mentre ci accompagna alla stazione, ci spiega che lì funziona così: non ci sono orari da rispettare. Ulteriore conferma dell’assenza di regole dei cittadini del posto.

Statua di LeninBasta una giornata per visitare la città, le cui attrattive principali sono la Chiesa sul Sangue, retta sul luogo dove è avvenuto l’assassinio dello zar — che qualcuno vorrebbe far santo —, l’imponente monumento alla guerra in Afghanistan, la diga nel centro della città. Ci piacciono molto il Municipio, davanti al quale transitiamo numerose volte, e la rassicurante statua di Lenin che, uguale a quelle che spiccano nelle piazze principali delle altre città che abbiamo visitato, non ti fa dimenticare di essere nella grande Russia.

Gradevole è anche la visita al Museo mineralogico degli Urali che si trova nel retro della hall di un hotel. La guida alla transiberiana decantava la sua sbalorditiva collezione di pietre semipreziose provenienti dalle montagne circostanti. Tuttavia, nonostante la ricchezza di materiale, non è un museo molto frequentato: noi siamo gli unici visitatori e, solo per noi, accendono le luci della sala. Se non ci fosse il custode ad aspettare che finissimo la visita per spegnere e sprangare tutto, credo che avrei dedicato più tempo a guardare le meteoriti trovate nelle zone circostanti e lì conservate.

La giornata uggiosa, l’asfalto delle strade spaccato dalle gelate invernali, gli alberi spogli e la temperatura ancora rigida rendono la città poco accogliente. Ma così ce la immaginavamo: una città recente, prettamente moderna, in crescita economica. Una città che non si può dire bella ma che è comunque affascinante perché diversa dalle nostre città. Dotata di una sua personalità, grigia ma non anonima.

Segue con Cronache transiberiane (III)

Il 26 aprile 2008 Andrea e Giulia si sono sposati. Il 28 aprile 2008 sono partiti per il loro viaggio di nozze: un viaggio di 7000 chilometri che da Mosca li avrebbe portati a Pechino lungo le storiche linee ferroviarie transiberiana e transmongolica.

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