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Cinema

La strage di Sant’Anna secondo Spike Lee

Copertina dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant AnnaA due anni di distanza dalla sua ultima fatica cinematografica, il thriller Inside Man, Spike Lee torna sul grande schermo con una storia drammatica, intensa e commovente: Miracolo a Sant’Anna. Il film, girato in gran parte in Italia, racconta la strage dei 560 sfortunati abitanti di Sant’Anna che il 12 agosto 1944 vennero crudelmente rastrellati dalle SS tedesche davanti alla chiesa del paese toscano; tragedia intrecciata alla missione della 92esima Divisione “Buffalo Soldiers” dell’esercito statunitense, soldati afro-americani sul fronte italiano che si ritrovano a confrontarsi con la mentalità semplice e coraggiosa delle popolazioni locali e dei partigiani.

Una storia che ha suscitato diverse polemiche per la rivisitazione storica, espressamente inventata secondo quanto dichiarato dall’autore del libro che ha ispirato il film, James McBride, che attribuisce la tragica morte degli abitanti di Sant’Anna al tradimento di un partigiano, Rodolfo (Sergio Albelli), nei confronti del suo comandante, Peppi (Pierfrancesco Favino). Al di là delle critiche gratuite a un realismo storico che solo fino a un certo punto pretende di essere tale, la pellicola di Spike Lee offre spunti interessanti anche in merito ad altri temi.
Il regista affronta ancora una volta il tema della difficile integrazione dell’uomo di colore nella società americana, in quegli anni ancora in un ruolo di estrema subordinazione rispetto all’uomo bianco e che per questo è il primo ad essere mandato a morire sul fronte di guerra durante la seconda guerra mondiale.

Il cuore della trasposizione cinematografica prende forma in occasione del passaggio del fiume Serchio, quando quattro soldati della Buffalo, Aubrey Stamps (Derek Luke), Bishop Cummings (Michael Ealy), Sam Train (Omar Benson Miller) ed Hector Negron (Laz Alonso), riescono a sopravvivere e a entrare in contatto con gli abitanti di un paesino toscano nei pressi di Sant’Anna. Qui portano anche il piccolo Angelo, trovato per caso dal ‘gigante di cioccolato’ Train, un soldato ingenuo, un po’ tonto ma dall’animo puro. E conoscono la bella Renata (Valentina Cervi), una donna forte e consapevole del suo coraggio e della sua sensualità.

Con poesia, grazie a una sceneggiatura sincera e forte che non scade mai nel moralismo, supportata da una fotografia a tratti violenta e realistica, a tratti surreale e suggestiva, e da una colonna sonora toccante, Lee riesce a portare in vita l’essenza della guerra e l’essenza dell’umanità in guerra, con i suoi conflitti fratricidi e con la sua fede incespicante.
In occasione dell’anteprima del film a Roma, la stampa ha avuto modo di incontrare il regista Spike Lee assieme all’autore del romanzo trasposto James McBride e a gran parte del cast, e di rivolgere loro qualche domanda su questa impegnativa esperienza cinematografica.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

Domanda (D): Qual è l’aspetto di questo capitolo di storia che l’ha spinta ad affrontarlo in un film?

Spike Lee (SL): Sono rimasto estremamente colpito dall’eccezionale libro di James, che è un romanzo di guerra ma allo stesso tempo una sorta di thriller. Mi interessavano anche il temi della fede, della religione, di Dio che ho visto nel testo. E naturalmente l’incontro tra i soldati della Buffalo e gli abitanti di questa piccola cittadina italiana in Toscana. Sono questi gli elementi che mi hanno convinto a raccontare questa storia.

D: Perché avete deciso di raccontare da un punto di vista molto vicino a quello dei partigiani?

James McBride (JMB): Quella che racconta il film è una storia di finzione, che corrisponde a una delle tante interpretazioni che sono state date alla strage. Quando ho messo piede per la prima volta a Sant’Anna di Stazzema, mi sono reso conto che il posto era lì, rimasto immutato per 50 anni, ma che nessuno ne parlava. Ci sono voluti anni, libri e film prima che ci fossero giornalisti e cineasti che ne parlassero. Quando mi sono trovato lì, ho capito che dovevo scoprire un modo per raccontare quella strage, il modo migliore affinché la gente la conoscesse e ne parlasse. Dovevo naturalmente scegliere se scrivere un libro di storia o un romanzo: ho optato per la seconda possibilità, ed è lì che mi è venuta in mente la storia del bambino con l’amico immaginario. Possono esistere tantissimi libri che raccontano in modo diverso la storia dell’Italia senza trasmettere ciò che rappresenta veramente, ossia un conflitto fratricida e violenta, quindi ho voluto descrivere tutto ciò che la guerra ha comportato per gli italiani.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

Avevo naturalmente uno spazio limitato per rappresentare tutto questo, e mi sono concentrato nel rapporto tra Peppi e Rodolfo. Mi dispiace che questa mia interpretazione abbia offeso i partigiani. Dopotutto noi uomini di colore abbiamo affrontato un rifiuto simile e sappiamo come ci si sente a leggere dei libri che parlano di te. Quello che è successo durante la seconda guerra mondiale in Italia, secondo me, non appartiene però solo agli italiani: anche noi ne abbiamo preso parte e abbiamo il diritto di parlarne.

È poi vero che, proprio com’è accaduto in America per il movimento dei diritti civili, oggi tutti si proclamano partigiani, mentre in realtà sono stati pochissimi ad avere il coraggio di affrontare il nemico, di rifugiarsi sulle montagne e combattere. Come scrittore, l’obiettivo che mi sono posto era quello di portare questa storia al pubblico e di far sì che se ne parlasse; poi, se ci sono state delle incomprensioni, se ne può discutere liberamente. L’importante è che i giovani parlino di questo piuttosto che dell’ultima puntata del Grande Fratello.

SL: Io, invece, che ho diretto questo film, non sento di dover porgere le mie scuse a nessuno. Già il fatto che questa pellicola faccia nascere tante discussioni dimostra che l’interpretazione della vicenda è totalmente aperta. Sicuramente c’è un capitolo della storia italiana con cui la gente non è riuscita ancora a fare i conti. Bisogna inoltre ammettere che i partigiani italiani, così come quelli francesi, combattevano contro il nemico ma poi si rifugiavano sulle colline, lasciando le popolazioni locali a dover sopportare le crudeltà dei tedeschi, come la dura legge di assassinio che imponeva di far fucilare dieci italiani per ogni tedesco morto.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

D: È cosciente del fatto che, con quest’opera, entrerà in polemica con la sinistra italiana per questa revisione romanzata della resistenza, sebbene lei abbia specificato espressamente che l’idea della strage scaturita da un partigiano è una sua invenzione?

SL: Il fatto che un film come questo possa suscitare riflessioni sulla storia e sul passato è indubbiamente positivo. Ci sono naturalmente diverse interpretazioni su come siano andate le cose, ma l’unico fatto indiscutibile è che a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944 la 16esima divisione delle SS ha massacrato 560 civili tra uomini, donne, bambini, anziani. Questo è un fatto.

D: Dal punto di vista dell’ispirazione grafica e visiva del film, le immagini dell’attraversamento del Serchio sono simili alla Morte del miliziano di Robert Capa. Quanto è stato influenzato da quella fotografia e quali sono state le sue fonti cinematografiche, fotografiche, pittoriche?

SL: Assieme al direttore della fotografia abbiamo osservato tantissime fotografie di guerra, di Capa così come di altri autori. La nostra idea non era quella di copiare qualcuno, ma di trarre da tutto questo materiale un nostro stile, unico e appropriato rispetto al periodo e alla storia.

D: All’inizio si vede la scena di un film di guerra interpretato da John Wayne, come a suggerire che queste storie vengano sempre raccontate attraverso il punto di vista dell’uomo bianco. Lei come ha costruito, invece, la guerra vista dagli afro-americani?

SL: L’idea di inserire quel filmato è venuta a me e a James nel momento di realizzare il film, nel libro l’episodio non è presente. Volevamo realizzare una pellicola sulla Seconda Guerra Mondiale completamente diversa dalle solite, e quale strumento più efficace potevamo trovare se non mostrare la sequenza di un film in cui si vede l’emblema del soldato bianco americano? In questo modo trasmettiamo immediatamente allo spettatore la certezza che vedrà un film di guerra atipico, com’è atipico, del resto, il libro di James. Io mi sono limitato a portare questa atipicità sullo schermo.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

D: A una precedente conferenza stampa del film era presente un sopravvissuto della strage di Sant’Anna: questa persona ha partecipato alla realizzazione del film e l’ha visto? Sono previste presentazioni e proiezioni ad hoc nella zona di Sant’Anna e in Toscana in generale?

SL: Ci sarà una proiezione del film a Firenze, organizzata dalla Tuscany Film Commission, alla quale assisteranno il sindaco di Sant’Anna di Stazzema e il sopravvissuto alla strage. Né quest’ultimo, né alcun soldato della divisione Buffalo ha però partecipato alla realizzazione concreta del film.
Il sindaco di Sant’Anna ha già assistito all’anteprima in America, e probabilmente si aspettava di incontrare il sindaco di New York Bloomberg, che però aveva altro da fare, visto che non si è presentato (tono ironico, nda).

D: Nel film uno dei soldati di colore, parlando con un commilitone, sostiene di sentirsi più libero in Italia, in un paese straniero che lo accetta, piuttosto che in America. Quanto è forte, negli Stati Uniti, il controllo governativo e come vi siete trovati qui in Italia?

Laz Alonso (LA): Purtroppo, dopo l’11 settembre, i cittadini degli Stati Uniti sono più sospettati o semplicemente controllati rispetto al passato. Personalmente ho sentito dire che molte persone, non solo soldati ma anche artisti, si sono sentiti più liberi all’estero che nel proprio paese. In ogni caso, oggi gli afro-americani vivono una situazione molto diversa rispetto a quella rappresentata nel film.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant AnnaD: Pierfrancesco Favino, lei disegna un personaggio di partigiano illuminato, che s’interroga sull’essere ‘uguali’ sia a destra che a sinistra davanti a Dio. Come si è preparato per questo ruolo? Vuole trasmettere qualcosa sulla questione dei partigiani, che sta particolarmente a cuore agli italiani?

Pierfrancesco Favino: Ancora oggi, purtroppo, su questa questione non si è arrivati a una pacificazione e la cosa mi dispiace. Per quanto riguarda l’interpretazione del personaggio di Peppi ho attinto in parte alla mia conoscenza personale della storia del periodo, attraverso la passione per Fenoglio, per esempio, in parte attraverso il libro stesso di McBride. Non credo poi di avere il potere di dire niente a nessuno. Sono contento, come attore, di restituire la realtà di un uomo in quel giorno della sua vita, di un uomo che ha lottato per cinque anni, che si è sacrificato per il proprio ideale, e che si interroga: “Ma sarà giusto?”.

Mi auguro che in qualunque guerra del mondo ci sia qualcuno che spara avendo il dubbio se ciò che fa sia giusto o meno. Mi ritengo figlio dei partigiani nel senso che, grazie a loro, non ho dovuto vivere in una situazione di guerra, ma desidero essere figlio di una persona che ha avuto dei dubbi. Se fossi figlio di una persona che non ha avuto dubbi, l’unica eredità che mi lascerebbe sarebbe quella di credere ciecamente che un uomo può essere ucciso sempre e in qualunque modo.

D: Valentina Cervi, siamo un po’ dispiaciuti di vederla poco nel cinema italiano ma orgogliosi di ritrovarla in un film di Spike Lee. Può raccontarci com’è nata quest’avventura?

Valentina Cervi: Devo confessare che sono cresciuta con il cinema di Spike Lee, che mi colpiva proprio per il modo in cui raccontava le donne, un cinema dove figlie e madri riuscivano ad emanciparsi e a rivelarsi delle vincitrici. L’idea di interpretare il femminile in un suo film era un’idea che mi emozionava molto. Anche in questo caso, Renata rappresenta un personaggio che si libera, rappresenta la nuova Italia che si emancipa attraverso la sessualità, attraverso la sua capacità di fare da ponte tra due culture. L’incontro con Spike Lee è avvenuto in modo canonico: ci siamo conosciuti in occasione di un casting. Ciò che mi interessava era innanzitutto rappresentare questo suo ideale. Per quanto riguarda la mia attività in Italia, finora non mi è capitato di lavorare molto qui, ma non penso sia dovuto al fatto che registi italiani e stranieri siano diversi; ciascuno ha semplicemente la sua visione e il mio obiettivo è quello di far parte di diverse visioni. Spero comunque di poter lavorare presto per il nostro cinema.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

D: Come vi siete preparati per il rapporto di gruppo che avete ricreato in maniera assolutamente realistica all’interno del film?

LA: La mia preparazione è consistita nello studiare l’epoca attraverso documentari, filmati, anche espressamente sugli afro-americani e sui Buffalo. Il mio personaggio è poi ancora più complesso degli altri perché deve conoscere un po’ di italiano: proviene dal Bronx e ha forti parentele nella penisola, più con i siciliani che con i toscani. Per questo motivo Spike Lee ha ingaggiato una dialogista che mi insegnasse il linguaggio dell’epoca, come improvvisare e sbagliare certe frasi, mentre i genitori di alcuni amici mi hanno inviato le frasi in slang portoricano tipico di quel periodo.

Omar Benson Miller: Il mio è un personaggio innocente, ingenuo, quasi angelico, tanto da farmi rientrare in contatto col bambino che c’è in me. Durante le riprese ho cercato di allontanarmi dal set e di prepararmi al ruolo trascorrendo la maggior parte del tempo con i miei nipotini. Confesso di essere molto contento di interpretare una storia italiana e che coinvolge comunque anche noi: il film è molto profondo, presenta innumerevoli strati di umanità, nel bene e nel male, e mostra come bisogna fare i conti con l’inferno della guerra.

D: Quanto peserà, secondo lei, il colore della pelle alle prossime elezioni americane?

SL: Ci sono diverse persone che non amano Obama per il colore della sua pelle, ma non credo siano sufficienti a determinare il risultato delle elezioni. Non si troverebbe dov’è adesso, se fosse stato votato solo dalle persone di colore: i primi voti sono stati espressi in Iowa, e non mi sembra che la presenza di neri sia particolarmente rilevante in quello stato. Ritengo che in un modo o nell’altro Obama diventerà comunque il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

Omero Antonutti (Ludovico): Aggiungo che in questo film Spike Lee ha voluto dar voce a tutti i soldati americani di pelle nera che sono morti non nel loro paese, ma nel paese in cui stavano liberando, chiedendo e facendo la democrazia, riscattando questo orgoglio di essere nella propria patria non più cittadini di serie B. E forse con Obama l’America farà ora un passo in avanti.

D: Come ha reagito alle critiche negative ricevute dal film, come per esempio quelle espresse da Variety?

SL: Io mi considero un artista e, in quanto tale, mi piace correre dei rischi. Se ricevo delle critiche, non penso proprio sia necessario buttarmi giù dall’Empire State Building o andare a fare l’insegnante. Dopotutto sono 23 anni che faccio questo lavoro…

JMB.: Su questo palco siamo tutti degli artisti che ammirano molto Spike Lee e la sua vena artistica, in questo come in tutti i suoi film. L’interpretazione di Rodolfo, per esempio, è eccezionale, tanto da suscitare un vero e proprio odio verso quel personaggio. Il nostro obiettivo è quello di far provare emozioni al pubblico e, come è stato già detto, di far parlare di questa storia.

Una scena dell ultimo film di Spike Lee Miracolo a Sant Anna

Matteo Sciabordi (Angelo): Io mi sono trovato molto bene a girare questo film, mi sono divertito molto con gli altri attori e ho imparato tante cose. [Favino, seduto accanto a lui, fa sorridere la platea suggerendogli:] Spero di continuare a recitare.

SL: Nel momento della pre-produzione mi sono trovato ad affrontare problemi mai incontrati prima: quello di dover realizzare una pellicola quasi interamente in un’altra lingua, di girare un film di guerra e lontano da casa. Ma sapevo che, grazie all’aiuto di tutti, ce l’avremmo fatta. La mia preoccupazione più grande era quella di trovare l’interprete giusto per la parte di Angelo, fondamentale per il film, che non doveva essere un bambino attore. Abbiamo fatto un casting a Firenze, cui hanno partecipato ben 5000 bambini, tra i quali, come caduto dal cielo, c’era anche Matteo. Mi sento di ringraziarlo perché ha prestato al film una sensibilità fantastica e un’eccezionale intelligenza.

Shelton Jackson Lee, soprannominato Spike, nasce ad Atlanta il 20 marzo 1957, dal padre Bill, musicista jazz, e dalla madre Jacquelyn, insegnante. Col sogno di diventare giocatore di baseball, caratterizzato da un carattere ribelle, Spike, fin dai primi anni di scuola presso il Morehouse College di Atlanta, si appassiona alle questioni razziali, studiando la cultura e la storia afroamericana e rimanendo affascinato dalla biografia di Malcom X, su cui realizzerà successivamente un film. Negli anni di scuola conosce alcuni di coloro che lo aiuteranno nella sua carriera di regista, come Monty Ross, in seguito suo produttore di fiducia, ed Ernest Dickerson, che diventerà il suo direttore della fotografia preferito. È in questo periodo, inoltre, che Lee comincia a dedicarsi alla regia, attraverso alcuni documentari e corti, tra cui The Answer, una critica fortemente negativa a La nascita di una nazione di David W. Griffith, e attraverso la fondazione della sua casa di produzione, la 40 Acres & A Mule Filmworks (il nome deriva dalla promessa di risarcimento, mai mantenuta, fatta agli schiavi africani alla fine dello schiavismo, pari appunto a 40 acri di terra e un mulo). Il primo lungometraggio di Lee risale invece al 1982: si tratta della sua tesi di laurea Joe’s Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads, film che narra di una sala da barba utilizzata come copertura per le scommesse clandestine. Tra flop e soggetti mai filmati, tra critiche e successi di pubblico, Lee si è conquistato un posto insostituibile all’interno dell’attuale panorama hollywoodiano: se La 25° Ora e Malcom X sono universalmente conosciuti e apprezzati, Lee si è certamente distinto per essere stato il regista che ha realizzato il primo musical afroamericano della storia del cinema (Aule Turbolente), così come è stato il primo regista a ottenere il permesso di girare alla Mecca (per Malcom X). Dopo Inside Man, suo primo film di genere che ribadisce la collaborazione tra Lee e l’attore americano di colore Denzel Washington, il regista è tornato al cinema con Miracolo a Sant’Anna, un film che lega la tematica afro-americana alla strage che ha coinvolto 560 civili del paese di Sant’Anna di Stazzema durante la Seconda Guerra Mondiale.


Filmografia:


Joe’s Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads (1983)
Lola Darling (She’s Gotta Have It) (1986)
Aule turbolente (School Daze) (1988)
Fa’ la cosa giusta (Do the Right Thing) (1989)
Mo’ Better Blues (1990)
Jungle Fever (1991)
Malcolm X (1992)
Crooklyn (1994)
Clockers (1995)
Girl 6 – Sesso in linea (Girl 6) (1996)
Bus in viaggio (Get on the Bus) (1996)
He Got Game (1998)
S.O.S. Summer of Sam – Panico a New York (Summer of Sam) (1999)
Bamboozled (2000)
La 25ª ora (The 25th Hour) (2002)
Lei mi odia (She Hate Me) (2004)
Inside Man (2006)
Miracolo a Sant’Anna (Miracle at St. Anna) (2008)


Cenni biografici tratti da Wikipedia.

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