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Percorsi

Tropico sottosopra

Segue da Anima Avana Duemila

Farándula

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

A pochi giorni dall’ufficiale apertura della Feria Mundial del libro dedicata all’Italia, l’attenzione di L’Avana sembra polarizzata dalla vicenda di Elian, un ragazzino trasfigurato nell’ennesimo simbolo di una rivoluzione che resiste: salpato con un mezzo di fortuna alla volta della Florida assieme ad altri fuoriusciti, durante la traversata, Elian ha perduto la madre; accolto dai nonni materni già residenti a Miami, mentre il padre implora di restituirlo al suo affetto e a quello della patria, il bambino diventa caso diplomatico, fiction sentimentale da real tv, pomo di politica discordia tra due fazioni avverse che, senza alcuna remora, colgono al volo ogni occasione per bastonarsi mediaticamente. Capitolo che va avanti da mesi, la storia finisce per fare il giro del mondo. All’inizio i cubani la seguono come la più intrigante delle telenovele, ma poi i cortei, i proclami e i dibattiti propagandistici, con la loro tipica cadenza asfissiante, allontanano la vicenda dalla quotidianità, filtrando e decantandone soltanto l’arido aspetto ideologico. Insomma, una realtà che esaurita l’eccitazione della novità, proprio grazie allo slogan, diventa “solita minestra”.

Il televisore, in casa di Berta, sembra costantemente sintonizzato sul viso sperduto di Elian, al quale chiedono se voglia più bene al papà o alla mamma; se ai nonni o a Cuba, come se le sue risposte potessero incarnare l’oracolo della giustizia o far pendere l’ago della bilancia degli argomenti a favore di uno dei due litiganti. Una singolar tenzone che dopo quarant’anni è ormai andata oltre il buonsenso di qualsiasi persona o divinità. Mentre i giovani delfini di Castro, davanti alle telecamere della Capital, spronano ad adottare Elian come portafortuna, Berta, nonna rivoluzionaria in pensione, spenge il televisore visibilmente seccata.

Dall’altra parte di Habana 326, nel salone della Casa Alta, Elvira allontana da sé quel collettivo lavaggio del cervello per concentrarsi sul testo del suo Zanahorias, che, nel Parco della Musica, aprirà il festival di performance poetica alla Fiera del libro: Cosa sono le cose quotidiane? Comprare le carote. Tagliare le cime. Pelarle. Lavarle. Ritornare a lavarle con acqua più calda. Ti immagini l’acqua più calda, te la immagini? Già stanno pulite. Le tagli a pezzetti; ben fini, sminuzzate, perché non siano cattive con te. Le carote femminili. Metti sopra tutto il sale necessario per servirle a tavola. Collocale nella tavola. Poni un pezzetto di carta sotto un piede della tavola perché non dondoli. Non si rompa la terrina di cristallo dove sono state messe. Quelle…le carote! Cerca un involucro grazioso, chiudile. Che nessuno le prenda! Nessuna! Quindi utilizza le più grandi, quelle che hanno l’involucro di carta più grande. Quelle, le carote femminili e… Alzati, cammina, saluta qualcuno e poi…Mangiatele nella Uaua…uauu! Uauuuu!

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

Letteratura sotto sopra

Perdonatemi se non cito libri. Non è che io non legga, massima tra le mie aspirazioni, ma il libro che più m’interessa è quello della vita, ben più difficile da leggere. L’uomo non è ciò che si vede, ma quello che non si vede. Conserva la propria grandezza nell’interiorità, come l’ostrica nera occulta una pallida perla. Leggo dopo aver aperto casualmente il secondo volume dei taccuini di viaggio di Josè Martì, padre della patria cubana, immortalato in un’edizione del 1944 dalla casa editrice Tropico di Gonzalo Quesada y Miranda, e che Damian mi ha porto senza dirmi niente. Il ritorno di un verso amato da tempo mi risuona dentro come eco dei pensieri martiniani. Montale: né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Damian continua a scrutarmi, come se volesse intuire cosa mi passi per la testa. Mi fissa dallo sgabello, la cui seduta distingue i venditori dagli acquirenti di libri in Plaza de Armas; quel quadrilatero di bancarelle che fa da contro altare al Palacio del Segundo Cabo, sede prescelta per l’incontro con gli scrittori italiani, ospiti d’onore di questa Feria Mundial del Nuovo Millennio a L’Avana.

Nel Palacio, gli stand di vendita delle case editrici italiane più rinomate sono già in bella mostra: luci giuste, tutto lustro, hostess selezionate con un’attenzione estetica tale da proporre cubane dalla pelle perlacea e i capelli biondi, che confidano d’essere figlie di qualche funzionario. Segnali di un tropico in testacoda, capottato, sottosopra. A meno di dieci metri l’una dall’altra, due latitudini letterarie e di costume tenteranno d’intersecarsi; da una parte gli stand stonati, deserti, quasi asettici, del gotha editoriale italiano che è sbarcato a L’Avana proponendo montagne di libri a prezzi inavvicinabili per la gente di qui; dall’altra, la piazza di sempre, dove chi vende libri spesso li ha rubati a qualcun’altro o da qualche altra parte, per poi rivenderli a chi se li può permettere: viaggiatore, straniero, turista, yankee o intellettuale che sia, che importanza ha? Morale? Chi vola al tropico, legge poco, staziona in ambienti patinati dove compra libri quasi per moda a prezzi da fighette. Chi ci abita sotto, invece, legge molto, i libri però non li compra — non potrebbe — ma li ruba per amore, e quando se li è bevuti li rivende a stranieri anticonformisti: solo così mantiene anima e corpo.

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

Attraverso questa particolare lente, l’educazione e la cultura della Capital appaiono gratuite in una forma bizzarra e democratica davvero sorprendente. Chissà se certi scrittori nostrani, sempre pronti a osannare il sistema di Cuba in Italia, saranno disposti a farsi fregare il libri dai cubani, per poter annunciare trionfanti: L’Avana? Un successo di pubblico! Oppure travestire la debacle nelle vendite deplorando una situazione tropicale davvero troglodita, che sarebbe il caso di sostenere lungo il cammino di un auspicabile cambiamento? Damian, come se già lo indovinasse, mi dimostra di non essere interessato a ciò che ho letto di Josè Martì: Ehi viaggiatore? Dimmi cosa vedi in questa piazza. — Due mondi in avvicinamento? – ribatto. No, due aspetti contrastanti della medesima realtà. Da una parte la visione romantica della vostra cultura quotidiana, travestita con la retorica del marketing; dall’altra un’essenzialità visibilissima, nuda e cruda, evidente, la nostra. Sono anni che mi chiedo chi mai comperi i libri sbarcati alla fiera di L’Avana. Solo se imbottiti di romanticherie e idealismi ci si potrebbe illudere.

Ogni anno la storia si ripete: gli scrittori stranieri non vengono a Cuba per noi, ma per se stessi. Poi, rimasti delusi da quello che ai loro occhi non è un Festival Mondiale di letteratura ma poco più che una sagra popolare, sottovalutano che proprio quel termine, apparentemente dispregiativo, occulta e conserva nella sua radice etimologica l’essenza del sacro, nel bene e nel male. Male per loro che vendono poco, bene per noi che rubiamo molto. Ecco, allora, che quei libri vengono tramutati inconsapevolmente dai loro stessi autori ed editori in offerta votiva, divenendo sagra, arte disinteressata, sacra, che è poi l’arte più pura. Se in ambito letterario, esiste ancora qualcosa di sacrosanto in grado di rivelare la realtà di Cuba, spogliandola di ogni finzione e lasciandola girovagare nuda e cruda di fronte agli occhi di chi desidera coglierne l’essenza, questa è proprio la sagra del libro gravitante fuori e dentro Plaza de Armas.

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

Mi chiedo quale libraio dell’età di Damian, in Italia, riuscirebbe ad elevarsi sopra il livello impiegatizio, e reggerne paragoni e concorrenza. Decido di acquistare i taccuini di viaggio, gli scritti politici e filosofici di Josè Martì che Damian mette in bella mostra sulla bancarella. Contrattato il prezzo, mi avverte: guarda che dovrai passare al banco del registro nazionale dei beni culturali della Repubblica. Anche se l’ottanta per cento dei libri venduti in Plaza de Armas è pressoché refurtiva, lo Stato appone un bollo e un certificato d’esportazione su ogni libro d’autore cubano, al costo di un dollaro per libro. In questo modo, la dogana, con la scusa di eludere qualsiasi furto, eviterà di requisirteli. Buffo no? In mezzo al sottosopra di storie e libri non posso esimermi dal chiedere a Damian, se, secondo lui, ci sarà un incontro alla Feria tra scrittori italiani e cubani. Appena finisco di porgergli il quesito la sua espressione canzonatoria mi traghetta dall’iniziale curiosità a un senso d’ingenuità imbarazzante.

Gli scrittori cubani odierni, intendi? Ride, ma poi prosegue: non vi sarà alcun contraltare per la gita dell’intellighenzia italica. D’altro canto l’attuale situazione culturale a L’Avana è davvero grigia, interessante solo per Danilo Manera. Chi dovrebbe interloquire con scrittori italiani pressoché sconosciuti, quando Pirandello, Ungaretti, Calvino, Pasolini sono insuperabili e irraggiungibili? E per dirsi cosa, poi. Noi amiamo ancora i nostri morti ed esiliati come se li incontrassimo per strada quotidianamente. Lezama Lima, Alejo Carpentier, Virgilio Piñera, Reinaldo Arenas, Cabrera Infante li conosciamo a memoria eppure continuano a emozionarci. E non solo i nostri morti, ma anche gli “altri americani”: Hemingway, Faulkner, Salinger. Il problema è che mentre noi ci nutriamo di poesia più che del pane, voi dite che la poesia né vende, né rende, capisci? Da voi uno scrittore si tramuta automaticamente in rappresentante commerciale, da noi, se vale, diventa un fantasma.

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

L’esempio odierno bene lo incarna Pedro Juan Gutiérrez: un uomo di Habana Cientro con una vita sucia tipicamente cubana, molte donne, molti figli, un sacco di lavori alle spalle: strillone, gelataio, macetero di canna da zucchero, istruttore di canoa, insegnante di letteratura, giornalista. Ad un certo punto i suoi libri si sdoganano all’estero e vengono tradotti in parecchie lingue. “Triologia sucia de Habana” e “Animal Tropical” girano il mondo mentre lui rimane ancorato qui. Alla fine del 1998 viene invitato in Europa per promuovere i suoi libri, ma al rientro in patria, scopre di essere stato letteralmente cancellato dall’ordine dei giornalisti; in redazione, dove lavora, nessuno lo saluta più, non trova nemmeno la sua scrivania. Tutto senza una spiegazione, un motivo, nonostante Pedro Juan sia allergico alla politica e non se ne occupi.

Il problema è che la sopravvivenza di un qualsiasi cubano fa politica in questo paese; raccontarla fino all’osso può diventare un problema, e farlo all’estero trascurando miti e romanticismi ancor di più. Lui dovrebbe confrontarsi con gli scrittori italiani, ma per la cultura ufficiale non esiste… fino a quando non diverrà utile per un ritorno di immagine. Con Virgilio Piñera accadde lo stesso. Negli anni Cinquanta, anticipò Ionesco, ma per il fatto d’essere omosessuale fu relegato in un angolo e morì poverissimo. Oggi è osannato e riposto nel parnaso, tra i geni della Patria. E così, Gutiérrez vive tra il Malecòn e il quartiere semi-bombardato di Habana Cientro con i suoi libri, la sua musica, i suoi pappagalli, la sua gente, totalmente allergico alla farándula, misto di mercato e fiera dell’apparenza. Esiste, vive a L’Avana, la racconta, ma non si vede, proprio come un fantasma!

Il racconto di Damian mi riporta alla memoria i tratti più drammatici della storia intellettuale di questo paese. Alla fine degli anni Sessanta, Sartre era in piena linea d’appoggio con i colleghi cubani: Lezama Lima, il cui Paradiso estasiò, tra i tanti, anche l’argentino Julio Cortazar; Virgilio Piñera, lo “Ionesco caraibico”; Reinaldo Arenas e HerbertoPadrilla. Quest’ultimo, fresco vincitore del premio panamericano per la letteratura, all’epoca massimo riconoscimento per uno scrittore latino americano, nella primavera del 1971 fu accusato di propaganda anticastrista per opere letterarie in contrapposizione con l’ideologia del partito. Il mite Herberto, fu incarcerato per diverse settimane scatenando cori di protesta da parte di intellettuali europei e latinoamericani. Una lettera aperta alla dirigenza di L’Avana ribadì i concetti espressi da Che Guevara a proposito della libertà di critica in area socialista, sottolineando un comportamento della dirigenza capace di rinverdire i momenti più sordidi dello stalinismo.

A questo coro non si unì il mitico Sartre, anzi, simile ad un “Pilato esistenzialista”, il francese se ne lavò le mani, capovolgendo e invertendo completamente la rotta delle proprie opinioni riguardanti la letteratura cubana. Anche il caso Padrilla — ovviamente — ebbe i suoi risvolti kafkiani: liberato dalle gabbie carcerarie, ritrattò completamente, accusandosi e accusando i propri compagni dei più efferati crimini ideologici. Chiese scusa pubblicamente alla famiglia Castro ammettendo la fallacità delle proprie idee. A quel punto denunciò, uno a uno, amici, scrittori di grande, media e piccola statura come nemici della rivoluzione. Ai piedi di Padilla si prostrarono anche i grandi. Lezama Lima, ma soprattutto Virgilio Piñera, timoroso di subire quelle ritorsioni che, poi e comunque, essendo omosessuale dovette subire: le sue opere furono messe all’indice, il suo nome glorioso dimenticato e seppellito nell’oblio più volgare, per poi venir rispolverato in modo da propagandare la cultura cubana nel mondo. Oggi Piñera è un Dio inneggiato e venerato. Allora, solo Reinaldo Arenas si ribellò alla maxi retata dandosi alla macchia, cacciato e tacciato quanto una bestia rara, un Animal Tropical. Forse proprio per questo è amato profondamente, tra i tanti amati, il più amato.

Domenica, biciclette e Rumba

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana CubaBandéra è un dèjá vu nero: un pullover nero gli copre la pelle nera, e anche l’umore è dello stesso tono. Senza un lavoro, cerca di rimuginare una soluzione, soprattutto adesso che Vanessa, una ragazza argentina che è stata derubata “senza scasso” in un appartamento di Avana Centro, per il quale il basso affitto della stanza avrebbe dovuto destarle qualche sospetto, è diventata la sua novia. La giovane è stata adottata e ospitata dal “circolo” della Casa Alta di Elvira, ma l’orgoglio di Bandéra non ammette di farsi mantenere da una straniera, soprattutto se è stata fregata dalla sua stessa mala gente. Mi chiede quanto potrebbe costare, in Italia, una di quelle piccole telecamere che vede spesso a tracolla dei turisti. Se ne possedesse una, potrebbe offrire un servizio di film in occasione di feste e ricorrenze: matrimoni, compleanni o cose del genere. Costi esorbitanti per un cubano, che rendono imbarazzante qualsiasi risposta.

Potresti finanziarmi cinquanta dollari? Acquistando e mettendo assieme i pezzi, potrei assemblare due o tre biciclette da affittare ai turisti! Ripenso alla storia delle biciclette regalate dalla Repubblica Popolare Cinese a Cuba durante il periodo especial, e non riesco a trattenere un sorriso sardonico. Decido, invece, d’ingaggiare Bandéra come guida per l’intero periodo della mia permanenza a L’Avana. Cominciamo domani? Riflette solo per un attimo recuperando tinte d’umore più chiare: potremmo attraversare a piedi la parte più popolare di Habana Cientro, il quartiere dove vive Gutierrez, per intenderci, e da li raggiungerne il cuore, El Calejon de Hammel, vero e proprio fulcro della Casa della Rumba, dove los habanos si riuniscono in balli e feste. Domani è domenica, una giornata davvero speciale per andarci.

La casa della rumba, nel Calejon de Hammel, è pura folgorazione! Non è esattamente una casa come ci si potrebbe immaginare, non è uno spazio qualsiasi, ma spazio onirico. Gli edifici che circondano “il luogo” sono murales titanici. Sorprese cangianti, scioccanti per le dimensioni. Vera e propria rarità, i muri intonacati e dipinti odorano d’antidoto, esenti come sembrano dall’anatema dello sgretolamento. Bandéra mi spiega come la casa della rumba sia considerata luogo sacro dalla gente del quartiere e della città intera.

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

Lo pitturano da soli e ognuno ci mette del suo, valore e garanzia, grazia e senso magico: è curato e frequentato più che una chiesa. Non si fa nemmeno in tempo a scorgere l’entrata del Calejon de Hammel, che l’incedere d’una musica ipnotica, dominio di percussioni, impregna tutto il circondario per centinaia di metri. Varcare il recinto del calejon è come beccarsi un colpo di scure in mezzo all’anima. Ad accoglierti un patio stracolmo di musica e gente. Nere uguali. Immergersi in quel bagno d’Africa, giunto chissà come sull’isola zattera della Capital, ispira l’apnea, infonde una sorta di panico, magari leggero, ma sempre di messa in tensione si tratta. Nessuno sta fermo nel Calejon de Hammel, impossibile rimanere fermi dentro quel crogiolo di tumulti. La marea nera sembra preda di un continuo movimento sussultorio pronto a seguire il ritmo scandito da un Dio profondo, terreno e invisibile. Nessuno sa dove dimori, seppur sia facile captarne gli aliti, i canti mantici, i sospiri atavici.

Ballano tutti in casa della rumba, apparentemente senza controllo, ma a uno sguardo più attento, con raffinata consapevolezza. É qualcosa che permette il riconoscimento reciproco, il saluto, quel parlar via vivace tra elementi della medesima razza. Il centro della rumba, costituito da un cerchio di terra e sabbia, è coperto da un pergolato di viti. Lo sostiene una struttura d’acciaio composta da un rettangolo di travi che poggia su altrettanti pali infissi nel terreno. Sull’angolo retto orientato a est, è stata issata e fissata in sospensione una vasca da bagno. Dipinta di giallo, mostra sul fianco una scritta rossa: l’Arca dell’olvido è una vasca da bagno ricolma di iris e magnolie. Respiri piano, profondamente, di pancia, d’ombelico. Il batticuore rallenta, continui con un respiro più lungo e profondo, ancora, fino a quando t’accorgi che tende a regolarizzarsi. Proprio in quel mentre i due Abakua, dopo aver terminato il repulisti di malignità con l’uso delle sante frasche, se ne escono dal calejon sotto il ritmo delle percussioni “nanico”, mai dome, né ferme, nemmeno per un attimo.

Per due santi che escono, una ne entra: è l’azzurra Yemayà, la Virgen de la Regla per i cristiani, ma signora del mare per i credenti del culto Yoruba. Incede reggendo in mano una bottiglia di rhum, mentre attorno al collo le si attorciglia un pitone, vivo e vivace. Si muove come se fosse posseduta dalla musica, quasi un essere dell’ultramondo, svagata con gli occhi bianchissimi fuori dalle orbite. Questa — Paolo — è la divinità che la gente considera, se non la più importante, sicuramente la più amata! Caracolla invaghita in uno strano stato di trance, cercando il contatto, lei divinità del mare, con la marea nera che le sta attorno, ed ogni qualvolta lo ristabilisce, elargisce abbondanti sorsi di rhum a chi ne desidera. Yemayà, mistura d’afro-pagano e sacro-cattolico, simbolizza la madre mitica dell’isola, deità marina protettrice di marinai, fanatici tracannanti per antonomasia. Quando un po’ tutti ne hanno goduto, s’infila la testa del serpente che le orna il collo in bocca, quasi per risvegliare simbolicamente in se la Kundalini. La gente sembra impazzire di fronte a quel gesto, accompagnando le evoluzioni sul cerchio di sabbia con canti e grida di gioia.

Foto cubane di Paolo Ghiotto Marina scattate a L'Avana Cuba

Di li a poco, accanto alla madre danzante, appaiono presto i suoi cavalieri prediletti. Assieme — spiega Bandéra — costituiscono la trinità delle divinità Santeras: alla madre del mare, si uniscono Changò, mangiatore e signore del fuoco e dei fulmini e Ogun, l’armato di spada sovrano delle selve. Changò si prodiga in eruzioni da mangiafuoco vestendo i colori del bianco e del rosso… purezza ed energia. L’Ogun verde si unisce a loro coperto di soli vegetali, brandendo la spada dei guerrieri della terra. Si uniscono, intrecciando e armonizzando un ballo atavico e selvatico, protetti dalle spire divine del serpente, radice di sapienza e ambiguità. La vita sembra danzare con la morte, sottobraccio alle tre divinità, da tempi ancestrali e l’immaginario rigurgita ancora.

Segue con Il via vai della filosofia

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