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Palcoscenico

Alvin Ailey American Dance Theatre

L’Alvin Ailey American Dance Theatre è da cinquant’anni ai massimi livelli della danza mondiale. Dov’è il segreto di tanta fortuna e di tanta arte? Cos’è che rende questo ensemble pieno, vivo, tecnico e fluido? Nella maggior parte dei casi, e in particolare se parliamo di danza, quando muore il genio, sfiorisce con lui la potenza della sua opera. Troppo spesso ciò che viene dopo risulta difforme, incancrenito e svuotato dell’originale vitalità, perché una volta persa l’essenza, allievi e seguaci finiscono per aggrapparsi troppo rigidamente a delle regole formali.

Foto di un ballerino dell'Alvin Ailay American Dance Theatre

Non nel caso di Alvin Ailey American Dance Theatre (AAADT), gruppoche ha saputo rinnovarsi anche sotto diverse direzioni artistiche, nell’arco di mezzo secolo, senza perdere la verve che ha caratterizzato il suo fondatore. “Quello che desidero — spiega in conferenza stampa Judith Jamison, attuale direttrice dell’AAADT — è che il pubblico colga, attraverso la nostra danza, la vera intenzione che animava Ailey, il quale ha sempre messo in primo piano il suo interesse per le persone e per la condizione umana in genere. Il suo desiderio di commuovere e di entrare in contatto diretto col pubblico è, ancora oggi, un nostro obiettivo fondamentale”.

È l’uomo stesso ad essere indagato attraverso la danza, attraverso una ricerca in profondità delle radici, per liberare la tecnica da ogni costrizione entro nitidi schemi teorici e a far così emergere il mondo, la vita in tutta la sua complessità. Per capire come Ailey sia riuscito a trasferire nella danza le sue intenzioni programmatiche è necessario guardare alla sua nascita come artista e ai suoi maestri. Ailey si innamora della danza giovanissimo, assistendo a uno spettacolo dei Ballet Russe de Montecarlo. Studia con Katerine Duham e Horton, entrambi esponenti di una danza che parte dallo studio dei riti tribali della tradizione afroamericana. L’incontro con Martha Graham — anche lei oppositrice della “danza d’école” che, contro ogni accademismo, lavora tutta la vita alla ricerca di uno stile proprio e di una spiritualità del gesto — è il naturale proseguo della sua formazione.

L’attenzione per l’uomo si riflette nello studio di una danza alla ricerca delle radici nella cultura afro-americana e nella volontà di costituire un gruppo che si renda portatore dei valori della cultura black. Nel 1958 nasce l’Alvin Ailey American Dance Theatre e i membri della compagnia sono tutti di colore. A conferma dell’interesse profondo di portare sul palco la sua cultura, nel 1960, Ailey compone Revelations — un viaggio dentro la musica Gospel, la segregazione, la liberazione, la spiritualità e la gioia — che diventa il capolavoro della compagnia e da allora chiuderà tutti i loro spettacoli.

Nella rappresentazione per il Cinquantesimo, la compagnia newyorkese — che si è esibita lo scorso 18 ottobre al Politeama Rosetti di Trieste — ha portato in scena quattro diverse coreografie che ripercorrono la storia dell’ensemble: due firmate da Alvin Ailey, una da Judith Jamison — direttrice della compagnia — e una da Robert Battle, ballerino e coreografo.
Nonostante i brani appartengano ad epoche e firme diverse, lo spettacoloriesce a mantenere un carattere unitario in tutto il suo insieme; non diventa mai edulcorato misticismo e mai puro virtuosismo tecnico, ma risulta invece ironico, pieno e molto plastico. Si crea un’atmosfera particolare nell’aria e i tre intervalli non riescono a scalfire il palpabile coinvolgimento in platea. Alla fine di ogni quadro l’entusiasmo del pubblico sfocia in un irrefrenabile applauso.

Una coppia di ballerini dell'Alvin Ailay American Dance Theatre mentre esegue Night Creature

“In un’epoca di rigorosa ideologia modernista — scrive Marinella Guatterini — [alcuni grandi coreografi come Alvin Ailey] si sono ispirati a forme di movimento di culture diverse. Dalla brasiliana capoeira, alla danza classica indiana, dal folklore africano all’aikido, dai balli di sala all’hip hop: quanti credono nella necessità di una nuova trasfusione di energie da un continente all’altro, da Nord a Sud, in cui il corpo danzante sia partecipe di una filosofia del dialogo e dell’incontro, di solito non dimenticano il nitore delle forme”.

NIGHT CREATURE
da “Ailey Celebrates Ellington” (1974)
Coreografia di Alvin Ailey
Musica di Duke Ellington (“Night Creature”)
Costumi originali di Jane Greenwood
Ripresa costumi di Barbara Forbes
Luci di Chenault Spence

Presentato nel 1975 in occasione del Duke Ellington festival tenutosi al Lincoln Centre di New York, lo spettacolo è stato creato appositamente su musica di Duke Ellington. È un nuovo modo di vedere la danza. Un pezzo eclettico che passa senza soluzione di continuità dalla modern dance al bolgie-woogie. Ogni movimento, ogni passo è rielaborato in una forma nuova, vitale e riconoscibile con richiami a Brodway e al balletto classico. Ogni gesto, un attimo prima di scadere nel virtuosismo, diventava ironico, quotidiano o mimico. Nessuna parte del corpo rimane esclusa e l’espressione del viso diventa importante.

Si entra quindi in un immaginario che si modifica continuamente e la performance diventa un ipertesto che rimanda ad altre tradizioni, dove la mente si rifugia nel tentativo di inquadrare quello che sta vedendo. Siamo al cuore della fusion dance: tutto “si fa” sulla scena, davanti ai nostri occhi, ritmi e tecniche diverse si intersecano al centro del palcoscenico. Gioca con la tecnica Ailey, gioca con il pubblico, e si diverte. Non c’è niente di sicuro e niente di vietato, si frantuma la quarta parete: per un attimo il teatro diventa un music-hall e il pubblico rivive la notte di Brodway. Night Creatures, “le creature della notte, diversamente dalle stelle, non escono la notte, ma arrivano, ognuna pensando che prima che la notte finisca diventerà una star”. Ailey prende alla lettera le parole di Duke Ellington e le fa rivivere al pubblico attraverso la sua danza. Vola sopra le teste dei critici e delle scuole, per restare attaccato alla gente, al pubblico, testimone di uno dei rari momenti in cui una tecnica virtuosa trasmette vita.

UNFOLD
Coreografia di Robert Battle (2005)
Assistente del Coreografo Kanji Segawa
Musica di Leontyne Price
Costumi di Jon Taylor
Luci di Lynda Erbs

Passo a due. L’atmosfera è molto diversa rispetto a Night Creatures, la voce lirica di Leontyne Price e la luce dal forte contrasto chiaroscurale sembrano evocare una gratificante storia d’amore. Dai primi movimenti si percepisce, però, che non sarà così. L’aspettativa è di nuovo portata “oltre” e di nuovo verso la gente. Pare quasi annunciarlo Robert Battle, fin dall’inizio: i due ballerini, seduti a terra, in slow motion riportano lo sguardo al pubblico. Si rompe di nuovo la quarta parete, quel muro che lasciava la storia d’amore dentro lo schermo, come al cinema, strizza invece l’occhio ai presenti: “non è come pensate”.

Anche qui nessun movimento vietato; per qualche istante la coppia sembra di plastica per poi riprendere vita. Movimenti scattanti e immobilità si integrano in evoluzioni fluide e sinuose. Siamo a quarant’anni di distanza da Night Creatures e le cifre stilistiche rimangono invariate. Il genere cambia, ma il nucleo fondamentale, vitale, rimane lo stesso. In questo caso si evoca un immaginario pieno di pathos e la via per farlo proprio sta nel portalo fino in fondo, fino a estremizzarlo, a rivelarne le faglie, a questionarlo fino a far emergere dell’altro.

Ballerina dell'Alvin Ailay American Dance Theatre mentre esegue UnfoldGrande tecnica rielaborata in curve, in sinuosità di corpi plastici, forti e allo stesso tempo leggeri. Ecco, se forse in questo caso è ardito, o improprio, parlare di ironia, si può certo dire che tutto è spinto nel segno della leggerezza, sia nel movimento dei corpi, sia nel modo di trattare il rapporto coreografico tra presenza maschile e presenza femminile.

LOVE STORIES
Coreografia di Judith Jamison con Robert Battle e Rennie Harris (2004)
Assistente di Rennie Harris: Nina Flagg
Musica di Stevie Wonder
Composizione originale composta e prodotta da Darrin Ross
Costumi di Susan Hilferty
Assistente ai costumi Maiko Matsushima
Luci e scene di Al Crawford

Di un anno più recente rispetto a Unfold, Love Stories, firmato da Judith Jamison in collaborazione con Rennie Harris (hip-hop) e Robert Battle (modern dance) — porta l’universo della danza in tutta la sua complessità con i suoi sogni, le sue competizioni, il piacere puro di ballare. Qui non si fondono solo gli stili, i tre coreografi lavorano integrando filosofie di pensiero e, nonostante le evoluzioni, lo spirito che emerge dalla danza è ancora quello di Ailey.

All’inizio, dal buio, tra i rumori di una metropoli, una lampadina si accende al centro dello spazio scenico, sembra l’abbia generata il ballerino che l’accompagna in alto con le mani. La luce prende poi il volo e scompare. La scena diventa una palestra, illuminata da una luce laterale, filtrata dall’alto da una grata. La musica di un pianoforte contribuisce a ricreare l’ambientazione e il ballerino si riscalda, da solo. Si entra nel sogno. Suoni elettronici accompagnano lo spettatore dentro la testa del danzatore, in un’altra dimensione. Le luci a pioggia aprono un nuovo spazio e, ancora una volta, cambia la musica: Stevie Wonder.

Prendo ad esempio questo primo “a solo” introduttivo per sottolineare delle costanti nella coreografia. A differenza della prima parte dello spettacolo, dove non si rintraccia un’ambientazione precisa, qui c’è un “luogo di partenza”, la sala prove, che diventa uno spazio-cornice e permette ai vari quadri di inserirsi e di far viaggiare la mente. La cornice, nel corso dell’esecuzione, si assottiglia e alla fine si integra, scompare. La musica si inserisce a sua volta in questa struttura, assumendo valenze diverse: diventa tramite, veicolo per una meta-danza, diventa evocativa, fino a perdere alla fine qualsiasi connotazione specifica.

Alvin Ailey American Dance Theatre

Le coreografie formano un impianto geometrico, sempre regolari, ma mai simmetriche, e anche i costumi accostati dello stesso colore, risultano lievemente diversi tra loro e contribuiscono a creare un effetto di rappresentazione nella rappresentazione. Le tutine di danza tipiche dell’immaginario anni Novanta sono rielaborate con gusto e con una studiata relazione tra cromie affini o contrastanti, composte e bilanciate nei diversi momenti. Tutto riporta a una varietà, a una composizione naturale (“come la natura”), sempre variegata e comunque costante.

Dopo l’“a solo”, entrano gli altri ballerini che si preparano alla prova, si salutano con gestualità quotidiane. Subito la stanza si trasforma in un gioco competitivo, un gruppo di astanti incita e segue le coppie che si sfidano. Questa sfida evolve nella musica che si fa sempre più dance- hip hop e le forme e i colori si astraggono. L’astrazione non diventa mai puro formalismo, mantiene i lati ironici e gli sfoghi anche fanciulleschi di una danza liberatoria. Sul finire del pezzo i costumi cambiano e anche le cromie: tutto diventa arancione.

Le nuove tuniche perdono la connotazione didascalica della “scuola di danza” e portano l’immaginario ad una tradizione rituale. I ballerini si uniscono in una processione di schiavi o di monaci. E dopo un “inquietante” passaggio di suoni elettronici che introduce la processione, prende forza l’armonica prima e una voce femminile poi che riporta alla tradizione blues. La voce guida il movimento che dà spazio a momenti d’insieme da cui spesso si staccano solisti. Anche qui si può notare la presenza, nel movimento, di elementi leggeri, demistificatori e mimici.

Quindi, se pur nella struttura generale molto complessa si differenzia dai primi due brani dello spettacolo, si possono ritrovare dei punti di continuità con la storia dell’AAADT nella varietà degli stili, nell’integrazione nel complesso della tradizione afroamericana, nell’hip hop, nel blues e nella plasticità della danza. Il pezzo si conclude con i ballerini che compongono una schiera e dietro a loro compare una proiezione astratta. Scendono le luci i ballerini rimangono in controluce, illuminati dalla proiezione, buio.

REVELATIONS
Coreografia di Alvin Ailey (1960)
Musica tradizionale
Scene e costumi di Ves Harper
Costumi per “Rocka My Soul” ridisegnati da Barbara Forbes
Luci di Nicola Cernovitch

L’ultimo pezzo, come già accennato, è il capolavoro che afferma le linee guida del percorso dell’AAADT. È perfetto. Equilibrato, dosato, leggero, in certi punti visionario, sempre profondo. È un grido a Dio, di ricerca, di speranza, mai chiuso su se stesso, mai preso troppo sul serio, un grido vissuto. E con il grido di Ailey rivive tutta la tradizione Gospel in diversi quadri.

Alvin Ailey American Dance Theatre

Partendo dal primo e secondo, il più “mistico”, si può notare il richiamo a figure ricorrenti, come la composizione coreografica corale a formare il famosissimo stormo di uccelli, oppure il suggestivo contrapporsi di forme sinuose e movimenti scattanti. Un’unica energia si mantiene attraverso la plasticità dei movimenti, non c’è un attimo di cedimento, la tecnica è tale da far risultare tutto leggero e naturale. Il movimento è pieno sempre, rielaborato e continuo. Il terzo quadro è visionario: predomina il colore bianco, è una processione, una festa di nozze, una liberazione; il ritmo è molto più veloce rispetto all’inizio, i movimenti vorticosi, le curve e le contrazioni diventano cifra stilistica.

Segue un “solo” che riporta a un ritmo più lento ed elevato e prepara al gran finale: un quadro totale di donne americane sotto il sole texano in attesa dei partner. Giallo e arancione illuminano la scena. Il ritmo aumenta di nuovo, ironia e frivolezza nascono da un gioco con il ventaglio eseguito dalle ballerine. Entrano gli uomini nella coreografia, le donne dall’alto di sgabelli ammoniscono scherzosamente i partner. Subito il ritmo prende il sopravvento ed esplode in una variazione coreografica molto precisa, con delle figure, seppur sempre molto organiche, strutturate e bilanciate nell’equilibrio maschile — femminile.

Per la biografia di Alvin Ailey rimandiamo alla scheda.


Nel 1958 viene fondato l’Alvin Ailey American Dance Theatre (AAADT), una compagnia che ha cambiato la percezione della danza negli Stati Uniti e nel mondo intero. Da allora 21 milioni di persone di ben 71 paesi in tutto il mondo hanno assistito ai loro spettacoli. All’inizio la compagnia era formata da soli ballerini neri e per due anni ha portato avanti solo spettacoli itineranti, perché non aveva ancora una sede fissa. Sono di questo periodo Blues Suite sull’infanzia di Ailey in Texsas e Revelations la cifra distintiva della sua compagnia, una ricerca nelle tradizioni della cultura afro-americana e nella musica Gospel. Revelations è la pietra miliare che chiude tutti gli spettacoli dell’AAADT.
Nel 1965 entra nell’AAADT Judith Jamison, musa ispiratrice di Ailey e, dalla sua morte, direttrice dell’AAADT. Si ricorda Pas de Duke (1976), traduzione contemporanea di un pas de deux classico, creato per esaltare le straordinarie doti di Mikhail Baryshnikov e Judith Jamison, oltre che per celebrare il genio del compositore di musica jazz, Duke Ellington.
A partire dai primi anni ’60 il gruppo è impegnato in lunghe e importanti tournée: nel sud est asiatico e in Australia; a Rio de Janeiro all’International Arts Festival; a Dakar (Senegal) per il primo Negro Arts Festival; a Parigi, al festival di Edimburgo. L’AAADT fu il primo gruppo di danza americana ad essere invitato nell’Unione Sovietica. Resta memorabile lo spettacolo di Leningrado con oltre 20 minuti di applausi. Più volte sarà anche chiamato alla Casa Bianca ad esibirsi per il presidente in carica.
Nel 1969 l’AAADT si trasferì nella Brooklyn Academy of Music e, con l’occasione, Ailey fondò una scuola. L’Ailey School of Dance sotto la direzione di Denise Jefferson. La scuola cerca di far fiorire e promuovere la missione lasciata da Ailey: considerare la danza come mezzo per onorare il passato, celebrare il presente e coraggiosamente guardare al futuro.
L’AAADT ha rappresentato oltre 200 opere di 70 coreografi diversi e le coreografie di Ailey sono parte integrante del repertorio delle maggiori compagnie di balletto del mondo.

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