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Percorsi

Fame del libro a L’Avana

Segue da L’Arca italiana parte e giunge da lontano

Breve naufragio di un argonauta italiano

Esco dall’incontro con gli scrittori italiani, svoltosi al Palacio del Segundo Cabo, con la certezza di aver sfiorato e toccato soltanto di striscio la realtà culturale della città che ci ospita. La gente che vive d’arte in questo paese, inizia sempre più spesso a salirci sopra per disperazione. L’ arte di salvataggio simboleggia il tentativo di difendersi strenuamente dalla mediocrità, sempre più abile nell’assediare irriducibilmente la vita.

Strade della Capital

Grazie a quell’arte, l’uomo di L’Avana tenta di ritagliare nella propria esistenza un intimo angolo dove trovare rifugio, mettendo al sicuro quanto di bello si possa ancora salvare. E ciò accade, perché fuori dai recinti dell’individuo animato, il resto del bello e del buono rimane pasto di satrapi e burocrati, anche nell’arte. Ho soltanto bisogno di respirare ora, di riprendermi il fiato. Aria. Esco dal Palacio del Segundo Cabo quasi colto da una semi trance saturata per bene dalla voglia di starmene da solo.

Camminare e camminare in modo da ritornare a calpestare le strade di L’Avana, ecco quel che mi ci vuole, adesso. Una volta fuori ricordo soltanto una strana luce negli occhi di Tiziano Scarpa e le ultime parole di Maggiani colte a malapena: A Cuba si resta per pochi giorni o per tutta la vita, ecco perché me ne andrò via domani mattina. Restituendomi alle vie, mi riesce di comparare le pareti d’una giara a quelle dei palazzi coloniali, ridotti spesso in macerie nonostante siano capaci di circondare e contenere il vuoto che la gente riempie grazie al corso delle loro esistenze, dall’inizio alla fine; nonostante le loro traiettorie somiglino sempre di più a quelle di esseri dalla carne invisibile.

La città contiene un vuoto che può considerarsi tale soltanto prima che gli abitanti inizino ad essere, e fino al momento esatto in cui smettono d’essere vivi. Per questo molti se ne vanno da qui, Maggiani compreso. Camminare e ancora camminare nel vuoto vitale di L’Avana, mi permette di restituirmi alla piena libertà d’un pensiero né premeditato, né scritto, né proponibile ad alcun mezzo editoriale di questo mondo: quel palpare sensi e controsensi, tastando il polso alla vita di una città difficile da decifrare, impossibile da raccontare con obiettività. Un andar per L’Avana, cadenzato dal canto dei galli che si alzano nel pieno centro del giorno e di Habana Vieja; starnazzo anacronistico che si eleva dai poggioli in ferro battuto o dalle morbide andature di certe ventenni mozzafiato.

Le vie di Habana Vieja

In questi quartieri immolati al turismo, gli stranieri abbandonano le loro sembianze naturali per assumere quelle di divinità misteriose e onnipotenti. Di loro nessuno sa niente, da dove provengano, chi siano, quale sia il loro credo, quali gli altari ai quali si rivolgono, e quali le divinità che popolano quegli altari. Ciononostante possono qualsiasi cosa su questa terra d’isola. Visti e riveriti, adorati e odiati, ammirati e invidiati, sembrano aver ricevuto in dono la capacità di camminare per strada come se il resto della gente fosse trasparente. È in loro nome, che qui si rende grazie, e la notte di L’Avana si fa, ogni santa notte, pesta e martoriata.

Lungo naufragio di un argonauta cubano.

Da ore Damian si trova alla Cabaña, il castello che fu prigione sin dai tempi degli spagnoli, e nella cui piazza d’armi, gli organizzatori hanno radunato i padiglioni di vendita dei libri proposti dalle case editrici partecipanti alla feria Mundial del libro di L’Avana. Sin dalle prime luci dell’alba ha “fatto la spesa”, cioè, letterariamente saccheggiato, in compagnia di un paio di complici, i padiglioni della fiera. S’è impegnato a fondo, per ore, approfittando del fatto che i padiglioni, per gran sorpresa dei promotori, brulicavano di Habaneros.

In questa fiera del libro, il numero delle presenze, si conta per il numero di libri rubati, soprattutto quelli di poesia e filosofia. Posando le borse piene di questa particolare “spesa intellettuale” in un luogo appartato e discreto, Damian si trova subito inondato dalla commozione, mentre passa in rassegna quello che considerava un regalo del destino: presso i banconi della Casa Editrice catalana Ediciones B, infatti, è riuscito a scovare Saggio su Josè Martì di Umberto Piñera, lo stesso libro, il cui estratto in fotocopia, aveva sottratto dalla libreria di Elvira soltanto pochi giorni prima, alla vigilia della rappresentazione di Zanahorias. Così, per incredibile ironia della sorte, il primo furto all’amica si rivelava inutile, grazie al secondo, che a pochi giorni di distanza gli consegna l’opera completa:

Un altro dei grandi temi della cultura occidentale è incentrato sulla questione dell’anima, termine fin troppo inflazionato dall’intero genere umano; dall’uomo più semplice e ignorante fino a quello dotato di più cospicua intelligenza. L’anima come qualcosa di opposto al corpo, ed in un certo qual modo differenziata da esso, ha vissuto una storia estremamente dilatata, che, nell’ambito dell’occidente, si è suddivisa in due grandi correnti. La prima corrisponde all’antichità pagana, mentre l’altra include la totalità del cristianesimo, dalle sue origini al giorno d’oggi.

In questo ambito la vita eterna, o per meglio dire la questione dell’eternità, attirò costantemente la riflessione dell’apostolo Martì, padre fondatore del comunismo cubano: la questione dell’anima è ragion d’essere dell’intera qualità etica umana. Il corpo — e lo sa benissimo per propria consapevolezza — è succube costante di elementi di fragilità e fiacchezza quali la fame, la sete, il sesso, la malattia; non è che l’anima rimanga completamente immune da tali sudditanze, non certo meno dell’entità corporale; lei però, può superarle, elevandosi in modo da dotare la vita di quella dignità che, nel caso dell’uomo, è l’unica gratificazione vitale possibile.

È difficile ammettere che la vita umana consista semplicemente nel vasto, sottile e complicatissimo repertorio di stimoli e risposte, azioni e reazioni tipiche del corpo, poiché se abbiamo coscienza non solo di ciò che facciamo, ma soprattutto del perché lo facciamo, e siamo allo stesso tempo in grado di giudicare i fatti in termini di giustizia ed ingiustizia, e di conseguenza di bene o male, questo lo si deve necessariamente a qualcosa di completamente distinto da meccanismi simili alla digestione o all’udito: infatti, non si può “vedere” allo stesso modo colui che accarezza, e chi colpisca ferocemente con degli schiaffi, nonostante il processo ottico corrispondente ai due atti sia pressoché identico.

Damian staccò per un attimo gli occhi che seguivano con gaiezza febbrile lo scritto di Umberto Piñera, rivolgendoli rapidamente al panorama che si apriva oltre i bastioni de la Cabaña: Habana Vieja, giusto oltre il canale che permetteva l’accesso al porto dal mare, appariva sfocata quanto un miraggio colmo di polveroni e sole. Dall’Avenue, che limitava il Tacon, era iniziato l’andirivieni delle lance che avrebbero migrato nella Fortaleza de la Cabaña migliaia di persone, sin dalle prime ore del mattino.

Ritratto di MartìPoi riprese la lettura: Secondo Martì, la vita umana sottostà alla dualità costante del corpo e dell’anima. Doveva saperlo bene, lui che visse innumerevoli peripezie ed esperienze. Attraversando un’esistenza quasi misera, ogni volta più consumato da un lavoro inarrestabile, dalla mancanza d’adeguato riposo e nutrimento, rispetto alle fatiche inenarrabili a cui si sottoponeva, l’apostolo seppe trarre forze dalla magrezza, grazie a un’anima e ad uno spirito mai molli, di fronte a qualsiasi inconveniente, per quanto gravoso potesse risultare. Avrebbe potuto parlare dell’anima se non nel modo profondo che usò?

Ripose lo sguardo, per un attimo, sulle scie bianche che le lance parevano stirare sul canale, in modo da rendere più visibile il legame tra la vecchia città e la Fortaleza de La Cabaña, prima di restituirsi al commentario analitico di Umberto Piñera su Martì: l’Apostolo stabilisce un’adeguata relazione del corpo con l’anima perché, in effetti, esiste un’influenza continua e diretta tra l’uno e l’altra; tale relazione non suppone, però, una totale e reciproca subordinazione. Come si può negare o non ammettere che ambedue posseggano le proprie leggi, dettate precisamente per operare una nell’altro?

Se è ben certo che dette leggi permettono al corpo di contenere l’anima, irretirla o sottometterla, non è meno certo — d’altra parte — che quest’ultima dota l’uomo della luminosità necessaria a superare le limitazioni somatiche. Correlazione destinata a stabilire un equilibrio nell’intimità del bipolarismo, tale da preservare a lungo il matrimonio mistico tra le due entità che lo definiscono. Tale convinzione raggiunse un’enfasi capace di farlo esclamare: “finché esiste un corpo da abitare l’uomo si prodiga a difenderlo e a preservarlo dalla malattia e dalla caducità, e l’anima vi partecipa, ma nell’avvicinarsi all’epilogo terreno è necessario che l’anima, maestosa e serena, si commiati da quel corpo”.

A volte Martì, in luogo dell’anima si riferisce allo spirito e lo fa con ammirabile precisione, in modo da distinguere bene l’una dall’altro: “considerato dai greci come soffio o alito, il concetto di spirito, ossia il principio vitale, venne separato dall’anima progressivamente, in modo da rappresentare il principio superiore di essa. Per questo motivo, Aristotele affermava che lo spirito è punta superiore dell’anima, contiene la ragione e il pensiero, mentre l’anima trae origine dall’emozionale e l’affettivo. In modo molto generale, lo spirito, si concepisce come forza che si contrapponga alla passività della materia, al male, e quindi, a ciò che nuoce”.

Statua di Martì

L’anima, essendo spirito, tende a divincolarsi dalle pastoie della carne, sembra avvertirci l’apostolo Martì, e per rafforzare il concetto del ben più alto livello che reputa consono allo spirito piuttosto che all’anima, non esita a considerare il primo come parte nobile della seconda, affermando: nello spirito risiede la forza creatrice dell’anima. Avvalendosi d’una tra le molte e magnifiche intuizioni con le quali soleva ed amava penetrare le profondità della questione animistica, descrivendola molto chiaramente nel medesimo tempo, aggiunse: “colui che ha maggior conoscenza dello spirito umano è di fatto colui che più sa, nonostante nel dettaglio analizzi e sappia molto meno di tutto ciò che la ragione degli uomini ha elaborato nel corso dell’eternità: religioni, storia, legislazione o poesia.”

Cronaca di un furto

Hai davvero intenzione di rubare libri come fa un cubano innamorato di letteratura? Certo sorellina, anzi, farò decisamente di più: da vero italo-cubano ti userò come specchio per le allodole. Se ti aggirerai furtivamente tra i padiglioni, palesando con fervente luccichio d’occhi l’attrazione per i libri, attirerai sicuramente l’attenzione dei venditori e della security, lasciando a me campo libero. Difficile che sospettino di uno straniero. Dovremo comportarci da perfetti sconosciuti, entrando nella fiera della Cabaña ognuno per proprio conto. Io ti seguirò da vicino, naturalmente: saranno solo i tuoi occhi, o la postura del tuo corpo, a indicarmi i libri che preferisci, le emozioni che gli inaspettati incontri letterari, come in un appuntamento al buio, susciteranno in te.

Tu non puoi sapere, ancora, quali opere scoverai casualmente negli scaffali della fiera e gli improvvisi slanci poetici, i voli pindarici che ti procureranno. Soffermandoti insistentemente — ma senza comperare nulla — su Ungaretti o Borges, ad esempio, gli addetti alla sorveglianza ti terranno continuamente gli occhi addosso, mentre io, potrò approfittarne per rubare ai ricchi del mio popolo e dare simbolicamente ai poveri del tuo, grazie all’araldo che rappresenti. Ci sorridiamo senza fiatare, abbracciati come morosi affettuosi, entrando nella piazza d’armi della Cabaña che raggruppa gli stand espositivi delle case editrici sbarcate nella Capital de Cuba: veri e propri galeoni presi di mira dal saccheggio dei corsari più tenaci e temerari che siano partiti all’arrembaggio dall’ammiraglia intellettuale cubana più pura: la gente che vive a L’Avana.

Le case editrici hanno predisposto banconi e librerie dove esporre i propri libri. Le più raffinate hanno ammorbidito la piazza d’armi con della moquette verde, dove si muovono sorridenti addetti in divisa, eleganti e discreti a tal punto da sembrare personaggi d’una rappresentazione, d’una qualche strana scena teatrale. Nel semisilenzio si muovono anche i visitatori: i cubani, però, vanno a gruppi, in stormo, in volo individuale, rispettosi del silenzio liturgico insito nel luogo sacro dell’esposizione letteraria. Quando mi capita di sfiorare le traiettorie che gli habaneros tracciano in quella particolare voliera del libro, finisco per notarne gli sguardi: occhiate febbrili e avide percorrono senza tregua l’elenco universale di quei volumi che non sono soltanto disponibili in bella mostra, ma sono perfino nuovi.

Rassegna d’un ben d’iddio letterario che nemmeno le più dotate e fervide immaginazioni avrebbero concepito di vedere con un unico colpo d’occhio. Non mi ci vuole molto per intuire la reazione chimica che si scatenerà nell’animo di quella gente salita improvvisamente a bordo di un’arca così ricca: un istinto corsaro si risveglia in loro, scatenando un’attrazione fatale per dei libri che rappresentano, normalmente, un’inarrivabile mitologia letteraria. Da quegli occhi spalancati e vaganti, immersi null’altro che nel brusio e nella penombra, il desiderio di conoscenza traspare, attira, scuote, mette in moto un calamitato amore per la lettura, a lungo seminato nei cuori dalla ben nota potenzialità scolastica cubana…che certo insegna ad aver fame, ma non indica, purtroppo, il modo di sfamarsi!

La feira del libro

Quella che ho di fronte è una vera e propria sfilata degli appetiti della Capital. I corsari, all’arrembaggio della Cabaña, danno l’impressione d’organizzare in silenzio un assalto furtivo, tentando di passare inosservati davanti a laccati promoter, agghindati in divisa dalle case editrici per pochi soldi. Una quiete irreale anticipa la sfida tra gli squattrinati e gli assoldati. Anche Elvira subisce l’effetto alchemico che attanaglia i sentimenti di tutti. I suoi occhi a mandorla luccicano taglienti, quasi impressionati mentre scorgono, ovunque, schiere intere d’opere immortali. La tettona ha però un vantaggio sugli altri: lo straniero che in segreto l’accompagna le garantirà un’invincibile braccio armato, inaspettato e inatteso.

Tale consapevolezza le amplifica la gioia degli occhi mentre gli sguardi iniziano a posarsi sui libri ben disposti al furto. Lei gli occhi, io il suo braccio invisibile. Evviva la cultura!L’emozionante adrenalina che l’approssimarsi al furto sta nutrendo le mie fibre, tende ad aumentare alimentando un batticuore insolito w sconosciuto. Quando Elvira s’appresta al bancone più vicino, la frequenza dei battiti si fa più stretta e veloce. Che emozione quando noto la prima scelta della poetessa di Habana Vieja. Le piccole mani bianche accarezzarono lievemente la patina rossa e satinata d’un frontespizio che risalta in bella mostra il nome di Elias Canetti. Il titolo dell’opera brilla esaltando l’edizione lussuosa.

Elvira dopo averlo toccato, gioca, ora, con gli occhi. L’impercettibile movimento delle sue mani ne ha determinato la scelta, come d’accordo, ma è l’emozione del suo sguardo che la rivela davvero: La lingua salvata. Quasi mi meraviglio che Elvira possa conoscere, pur non avendo quasi mai lasciato Cuba, quel magnifico gigante mitteleuropeo. Ci intrighiamo sempre più all’interno delle stive dell’editoria, rendendoci conto come sia più facile e agevole “lavorare” con le case editrici meno importanti.

In uno di questi padiglioni, ci si spalanca di foronte una scena alquanto bizzarra: uno stuart, assentandosi impunemente, ha lasciato il collega a far da guardiano solitario ai libri esposti; i cubani che gironzolano attorno non perdono l’occasione e in pochi minuti gli scaffali e gli espositori vengono presi d’assalto. L’unico difensore, totalmente disperato e cubano, quanto quelli che dovrebbe fronteggiare, intuisce subito che la moltitudine intenta ad accerchiare la sua posizione si trova lì soltanto per sgraffignare quanto può.

Abbandonato al suo destino dal compagno di lavoro, e perfino dalla seguridad interna, il pover’uomo — quasi una controfigura di Groucho Marx — dapprima cerca di tirar su una mezza barricata, per poi capitolare sullo slancio di quella barbara orda affamata di cultura. Da una certa distanza, posso notare come i cubani agiscano scaltri, con rapide e congiunte manovre ben congeniate, quasi si trattasse di una perfetta azione di caccia vibrata, sin nei minimi dettagli, da un branco di lupi o di squali espertissimi.

Groucho Marx viene ridicolizzato, fatto a brandelli, ridotto al limite del pianto, spinto sull’orlo dell’esaurimento nervoso, anche grazie all’azione dei Bonnie e Clyde all’italo-cubana che siamo io ed Elvira. Approfittando del bailame generale, alleggeriamo la casa minore, a favore di quella Alta di Elvira, d’un originale inglese Ulisse di Joyce, d’un Confesso che ho vissuto redatto nella lingua madre di Pablo Neruda e di una bellissima, quanto ben stagionata versione, in italiano, del Canzoniere di Umberto Saba: in questo modo, ben tre pietre miliari della letteratura mondiale finiscono nel sacco di nylon che ci siamo procurati con l’acquisto — l’unico — di Autobiografia d’uno Yogi, del grande cigno Parama Hansa Jogananda.

Lo stillicidio, omicidio, o lapidazione dell’avamposto di Groucho, prosegue fino al quasi totale compimento del sacco sortito da quel branco scatenato, venti o trenta persone capaci d’agire nel giro di pochi minuti. Solo dopo, mi rendo conto, quanto tutti — lì dentro — siano perfettamente al corrente di come funzionino le cose; quali siano i folli meccanismi che regolano tali eventi, e cosa si celebri davvero — ogni santo anno — nei padiglioni della Fortaleza de La Cabaña durante lo svolgimento della feria Mundial del libro: uno smembramento dionisiaco della cultura, patinata in edizioni speciali.

Nel sacco dei fratelli adottivi, finiscono, uno dopo l’altro, e in ordine cronologico: I fratelli Karamazov, L’Anti-Borges, un magnifico saggio critico dedicato da Martin Lafforgue al maestoso Giano bifronte, e sacro mostro divoratore, della sontuosa Buenos Aires, Il Bestiario di Cortàzar, Il Milione di Marco Polo, Lezioni Americane di Calvino, On the Road di Kerouac, Triologia Newyorkese di Paul Auster, Il Paradiso Perduto di Milton, dei saggi su S.Francesco d’Assisi di Paul Sabatier, Un Giorno un indovino mi disse di Terzani, che Elvira ha toccato, forse colpita dalla foto a mani giunte che ritrae, in copertina, l’autore toscano dal medesimo taglio d’occhi che ci accomuna, Donna Flor e i suoi due mariti di Amado, L’Uomo senza qualità di Musil, I Fiori del Male di Baudelaire, una splendida edizione in inglese dei Sette pilastri della saggezza di Laurence D’Arabia, i Racconti di Cechov e quelli de Le Mille e una Notte, impreziositi da tavole sgargianti.

La fortezza Cabana

Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Chi più frega libri, più riempie sacchi di plastica, in una generale sinfonia che si libra sugli spartiti del furto calibrato a ruota libera, tra i padiglioni espositivi della Cabaña, dove un tempo il colonialismo spagnolo, fondò la piazza d’armi più poderosa del suo impero. Elvira, radiosa in volto è al settimo cielo. Mi ammira come se brillassi d’uno splendore che acquisti nuova luce dopo quei furti illegittimi. Ad ogni colpo si sussegue quello successivo, incessantemente, ma con ritmo lento e inesorabile. Quando l’unico sacco, stracolmo sino all’orlo, non riesce a reggerne uno di più, ci dirigiamo tranquilli e felici verso l’uscita. Poi giù all’imbarcadero, dove, un ideale Caronte, ci traghetterà in Habana Vieja, dopo averci permesso di assaggiare il paradiso.

Segue con Ultima scala Avana

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