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Scrittura

Gianluca Morozzi

Ispirazione sempre accesa

Gianluca MorozziNon sapendo scegliere un argomento sul quale orientarmi per realizzare il mio primo contributo per Fucine Mute, sparo nel mucchio optando per un’intervista ad una figura che può a buon diritto rientrare sotto le categorie di letteratura, musica, cinema e fumetto. Oltretutto, è l’unico personaggio pubblico che conosco personalmente, perciò è davvero una fortuna che sia pertinente e disponibile al colloquio, data la mancanza di alternative. Chissà come sarà lusingato da questa introduzione.

Gianluca Morozzi, anche nell’atrio affollato della stazione, è facile da riconoscere: è quello con lo zainetto, vestito come se stesse andando ad un concerto, con un berretto rossoblù calcato sulla fronte. Peccato non abbia una copia dell’Uomo Ragno in mano, altrimenti sarebbe la caricatura di se stesso. È il primo, infatti, a descriversi come un grande appassionato di musica, soprattutto di concerti dal vivo, per assistere ai quali è capace di macinare centinaia e centinaia di chilometri; nella sua veste di chitarrista degli Street Legal, tribute-band di Bob Dylan, vi partecipa anche attivamente. Come i supereroi protagonisti degli amati fumetti, che colleziona avidamente e da qualche tempo sceneggia, conduce una doppia vita: oltre che artista scrittore e “peggior chitarrista del mondo” (parole sue), è anche “il più grande tifoso del Bologna mai esistito” (ancora parole sue), abbonato alla curva da 25 anni.

Per il resto, la vita di Morozzi al di fuori delle proprie pagine è difesa con garbata quanto inespugnabile fermezza, quasi da farmi pensare che sia nato adulto. Dei trent’anni precedenti al 2001, infatti — anno di pubblicazione del primo romanzo, Despero — si sa solo che Gianluca è nato l’11 Marzo, che si è diplomato allo scientifico, ha frequentato Giurisprudenza e ha lavorato con un geologo. In compenso, da Despero in poi possiamo ritenere di conoscere ogni minuto della sua vita perché, tolte le ore di sonno e quelle passate in uno stadio (indifferentemente se per il calcio o per per la musica), le altre deve per forza averle passate a scrivere: in sette anni ha pubblicato tredici volumi tra romanzi, libri di racconti, graphic novels e saggi, e ne ha curati altri cinque.

È stato a Trieste recentemente per presentare la sua ultima fatica (ammesso che di fatica si possa parlare nel caso di uno scrittore tanto prolifico): il romanzo Colui che gli dei vogliono distruggere. Il titolo è inusuale e sulle prime non ha convinto molte delle persone con cui l’autore è solito consultarsi; del resto, inusuale è stato anche il battesimo del libro. Il sintagma frullava nella testa di Morozzi da un po’ (e non solo nella sua: trattandosi di uno stralcio di verso di Eschilo — che per la cronaca prosegue con “per prima cosa ha in dono la follia” — era in giro da 2500 anni; era ora che qualcuno lo usasse!) e l’autore stava solo aspettando la storia appropriata sulla cui copertina piazzarlo.

Lorenza Pravato (LP): Ci siamo, dunque. Di che cosa parla questo libro, che già dal titolo si annuncia spiazzante?

Copertina del libro di Gianluca MorozziGianluca Morozzi: È un romanzo, in effetti, molto particolare, che si articola su due differenti filoni narrativi, sviluppati a capitoli alternati.
Una parte del romanzo si svolge in un mondo che è esattamente il nostro, in cui un musicista di nome Kabra deve comporre una canzone, possibilmente bella e di successo, proprio nel momento in cui ha una terrificante crisi creativa; allo stesso tempo, deve riuscire a sfuggire alle avances di una chitarrista, bella e inquietante, di nome Elettra.
Nell’altra parte del romanzo, quella un po’ più “curiosa”, la storia si sposta in un universo parallelo, chiamato Terra L, che ha con il nostro alcune differenze fondamentali, una delle quali è l’esistenza di un supereroe; un vero supereroe con i superpoteri, di nome Leviatan, che abita questo mondo da molti anni, gira con il classico costume da supereroe e ha un’identità segreta, da negoziante di dischi e fumetti usati. Daniel, questo il suo nome, ha un’odiosa fidanzata di nome Sandra, scrittrice di romanzi erotici discutibili, segretamente, quanto prevedibilmente, innamorata di Leviatan.

Un’altra differenza è che, in questo mondo, nel 1961, è comparso a New York un ragazzo di nome Johnny Gray — sbucato quasi dal nulla — che con la sua chitarra si è messo a cantare canzoni come Yesterday, o One, ed è quindi è diventato il più grande cantante e compositore del mondo, cambiando così la storia di questo universo: qui un artista come David Bowie non ha mai fatto la carriera musicale che conosciamo, ma ha seguito ben altri binari.
I due universi apparentemente non si toccano mai, viaggiano perfettamente in parallelo: Kabra ha le sue vicende, Leviatan pure; in realtà il lettore attento potrà notare dei punti di contatto molto evidenti tra un universo e l’altro.

LP: In questo tuo nuovo romanzo affronti il tema della creatività. In che modo questo argomento entra nel libro e come ti poni nei suoi confronti, come scrittore?

GM: Nel romanzo si parla molto di cosa può succedere quando la creatività viene “amputata” da un evento esterno: è appunto il caso dei famosi cantautori usurpati dalle loro canzoni su Terra L; se ne parla ancora quando la creatività non arriva e va provocata in qualche modo: il povero Kabra, per comporre la sua canzone ricorre a vari metodi artigianali, senza alcun successo, e si parla di cosa succede quando la creatività viene soffocata dalla troppa gioia.
Si dice spesso che la malinconia e la tristezza aiutino molto a creare; ad un certo punto Kabra si trova in una condizione di troppa tranquillità e felicità e si domanda se questo influenzerà la sua arte. Si chiede da dove arrivi l’ispirazione, se c’è un punto da qualche parte in cui nascono le idee e da cui arrivano.
Per quanto mi riguarda le idee mi arrivano in posti e situazioni molto strani, io ho spesso idee per i romanzi quando sto guidando nel traffico della tangenziale o mentre passeggio per la città. Bob Dylan diceva che lui era un’antenna per delle idee che già esistevano e che si limitava solo a raccoglierle e a fissarle in una canzone. Io, forse, sono così: mi arrivano queste idee da una qualche parte, la mia antenna le assorbe e io le scrivo.

LP: Rileggendo i tuoi romanzi e racconti, vediamo che alcuni tuoi personaggi si ripresentano e si evolvono. Come si sviluppa il tuo processo creativo? C’è una sorta di cosmogonia di Morozzi in cui tutto alla fine acquista un ordine o tu stesso ti sorprendi di questi progressi?

Copertina del libro di Gianluca MorozziGM: L’uno e l’altro. Ci sono alcune cose che mi sono molto chiare, per esempio la trama che riguarda Zanna in Despero: rimane in sospeso e la risolvo in un romanzo a puntate, ancora in corso di pubblicazione, che si chiama Il mondo trema.
Ci sono, poi, alcune cose che sorprendono anche me: Elettra nei Despero non me l’aspettavo. Sinceramente, avevo creato Elettra senza neanche pensare lontanamente ai Despero, ma poi è stato molto naturale inserirla in questo gruppo.
L’Orrido ha una sua storia che viene spiegata nel mio secondo romanzo e di nuovo nel quinto; ci sono degli agganci ben precisi tra un personaggio minore del mio secondo romanzo e Blackout… Quindi, sì, io ho tutte le mie agiografie mentali, ma poi io stesso mi sorprendo da solo da certi accoppiamenti strani!

LP: L’Orrido tornerà in qualche romanzo?

GM: Una delle domande che mi fanno più spesso a questo proposito è “Esiste veramente l’Orrido?”, e poi: “Esiste veramente la Betty?”. Io prima li deludo, poi li faccio contenti: “l’ Orrido, mi dispiace, ma me lo sono inventato. È un amico ideale che chiunque può avere, un misto fra Bud Spencer, Fonzie e un saggio. Ma la Betty c’è! Non si chiama Betty — chiaramente ha una altro nome — ma esiste davvero, qualcuno l’ha incontrata e gli uomini che la incontrano generalmente se la ricordano (si tratta di una ragazza nota per le forme provocanti, nda)”.
Il bello della “Betty” è che quando ci vediamo, e lei mi racconta la sua serata precedente, io ho mezzo romanzo fatto, perché ha sempre cose molto avventurose e goliardiche da raccontare.

Kabra, il protagonista della parte “normale” del romanzo era il protagonista del mio primo romanzo Despero e aveva creato molta affezione tra le lettrici perché è un soggetto molto sensibile, romantico, gentile a suo modo. Mi hanno chiesto per anni quando Kabra sarebbe tornato; io pensavo che non sarebbe mai tornato perché stava bene in quel romanzo. Poi è arrivata questa parte di Colui che gli dei vogliono distruggere in cui c’è la figura di un artista in crisi di ispirazione e mi sono chiesto “Faccio uno scrittore in crisi di ispirazione? — Già fatto”, “Faccio un regista che non sa fare un film? — Già fatto anche quello”. Allora ho pensato a un musicista un po’ scalcinato che deve scrivere una canzone, “Uno tipo Kabra di Despero ”, mi sono detto, e perché non Kabra di Despero?.

E poi mi sono chiesto “Con chi lo faccio incrociare? Ci vorrebbe una donna tipo Elettra de L’Era del Porco… vada per Elettra de L’Era del Porco!”. Chi non ha letto né l’uno, né l’altro può stare tranquillo perché all’inizio c’è un riassunto, abbastanza indolore, delle loro vicende. Chi li ha letti, invece, si divertirà a ritrovarli più adulti e a vedere cosa combinano.

Copertina del libro di Gianluca MorozziInvece Shatterthunder compariva ne L’Era del Porco per sei pagine in tutto, perse nel romanzo. Compariva ne L’Abisso per altre sei pagine; attendevo di dargli il ruolo che già sapevo che avrebbe avuto in questo romanzo, in cui si capisce un po’ chi è e perché è pazzo. Io adoro quando Stephen King ripesca i personaggi vecchi

LP: Oltre che un avido lettore, sappiamo anche che sei anche un autore di fumetti. Ci racconti un po’ questo tuo duplice rapporto?

GM: Sì, sono un avido lettore di fumetti da quando avevo sei anni — credo — e oramai ho una collezione che mi invade la casa in maniera massiccia; da poco tempo li scrivo anche ed è una cosa molto divertente per me. Ho realizzato fin’ora una graphic novel intitolata Pandemonio, che ha vinto il premio come miglior romanzo grafico dell’anno; un’altra si chiama Il Vangelo del Coyote e ora sono al lavoro su una serie chiamata Factor-y.

È un lavoro molto bello perché mi toglie molta responsabilità da scrittore. Nel fumetto, sceneggiando, non devo pensare a scrivere la bella frase, la bella pagina, devo solo pensare al ritmo, al dialogo e visualizzare la tavola mentalmente. Il che mi riesce abbastanza facilmente, perciò spero di continuare a lungo.
Invece, in quest’ultimo romanzo ho invertito il meccanismo: ho messo un personaggio fumettistico, con delle dinamiche fumettistiche, dentro un vero romanzo, con delle dinamiche da romanzo; è stata una contaminazione divertente e molto ben riuscita, almeno secondo me.

LP: Accennavi prima al fatto che i personaggi del tuo romanzo vivano anche in un mondo in cui le canzoni sono state composte da una sola persona. Qual è il tuo rapporto con la musica, dato che ricorre tanto spesso nei tuoi romanzi?

GM: Mah, il mio rapporto è ottimo (ride, nda)! Sono un fruitore maniacale di concerti. Ho seguito Bruce Springsteen in giro per l’Europa e per il mondo, l’ho visto circa quaranta volte, che diventeranno quarantasei questa estate; ho visto gli Afterhours una settantina di volte, i Gang 100 volte…
Sono un appassionato spettatore di biopic sulle rockstar e avido lettore di libri sui gruppi storici.

Nel mio piccolissimo, suono — molto male, peraltro — in una band che si chiama Street Legal, con la quale facciamo canzoni di Dylan in acustico. Non ho un talento spiccato, però mi piace molto prendere un mano una chitarra e percuoterla. Non proprio come Joe Strummer — Joe lo strimpellatore, si faceva chiamare…. Morozzi lo strimpellatore… no, suona peggio!
Sono, poi, uno di quelli che amano ancora l’oggetto fisico del CD in mano, almeno quelli dei loro idoli: non avendo più il giradischi da anni e non potendo apprezzare il vinile, almeno il CD lo voglio.
Che altro dire? Sono uno springsteeniano talebano, di quelli che difendono anche Workin’ on a dream. Porto avanti la mia crociata per difendere lo sprinsgteenianesimo nell’universo…

LP: Ma il tuo disco preferito di Springsteen è…

GM: Sono molto classico, potrei dire Born To Run, ma dei meno ascoltati ti dirò The Ghost of Tom Joad. La mia canzone preferita è Thunder Road — scontatissima, è vero — anche se a volte se la gioca con Jungleland. Ma, del resto, Thunder Road è Thunder Road.

LP: I tuoi libri hanno avuto un ottimo successo di vendite, considerando poi il momento non proprio fiorente per il mercato del libro, ed hanno avuto anche molta attenzione in altri ambiti: sono stati spesso scelti come soggetti per film e sceneggiature. Ci spieghi a quali di questi nuovi progetti hai partecipato e in che misura?

Copertina del libro di Gianluca MorozziGM: Blackout è stato acquistato 3 anni fa da un produttore italiano, la Sunflowers, ed è stato prodotto poi con l’americana Capital Film, girato in parte a Miami e in parte a Barcellona. Io ho partecipato solo alla prima versione della sceneggiatura, successivamente rimaneggiata da un autore americano. Curiosamente, una ditta di ascensori americana ha bloccato il film per un anno, è stata in causa con la produzione perché si è sentita lesa dal film, ma ora pare che sia tutto risolto. In gennaio il film è uscito in Messico — il regista è messicano, si chiama Castaneda — e spero che arrivi presto anche in Italia, anche perché io non lo ho ancora visto e sono molto curioso.
L’Era del Porco è opzionato da qualche tempo dalla Indiana Film, e c’è un interessamento molto forte verso l’ultimo romanzo da parte di un produttore canadese… aspetto gli eventi anche io.

LP: Cosa ci dici riguardo a nuovi romanzi? Hai qualche idea o qualche lavoro in cantiere?

GM: Sto facendo una cosa un po’ folle, in effetti, in questo momento: ho cinque romanzi e mezzo iniziati, nel senso che cinque sono i romanzi effettivamente miei che porto avanti in parallelo, a seconda di come mi sveglio la mattina, e il “mezzo” è un romanzo a quattro mani con Elisa Genghini, scrittrice riminese. È un ciclo surreale, nato da una sua idea, molto strano e che portiamo avanti da un po’, che credo sarà divertente da proporre.
Guanda mi ha chiesto un noir per il 2010. Inoltre ho messo insieme alcuni miei racconti, apparsi in antologie e riviste, in un unico volume che spero di far uscire per un qualche editore prossimamente.

LP: Siamo davanti al simulacro di Svevo (il riferimento è alla statua che compare nel video dell’intervista, realizzata a Trieste, ndr) e nel tuo ultimo libro hai inserito il personaggio di uno psicanalista poco stimabile. Il tema, da esame di maturità, è per forza “Morozzi e la psicanalisi”.

GM: Io non ho frequentato molto la psicanalisi e gli psicanalisti, ma ho visto ottenere ottimi risultati da parte di psicanalisti con persone che conosco bene. Il poco che ho conosciuto direttamente, però, non è stata affatto un’esperienza meravigliosa: dello psicanalista occorre fidarsi molto e credere molto in lui, altrimenti la questione diventa ridicola.
Così ho messo nel romanzo uno psicanalista un po’ triste, dolce e imbarazzante al tempo stesso nella sua interpretazione dei sogni del povero Kabra: è uno psicanalista molto freudiano e molto suggestionabile; del resto, quello che ho incontrato io era un personaggio del genere, fissato con il fatto che sognare un goal, per un tifoso di calcio, fosse una metafora sessuale in quanto simbolo della penetrazione. Secondo me, sognare un goal significa che sei un tifoso di calcio da trent’anni e che mentre sogni vedi cose che hai visto spesso allo stadio. Non voglio, con questo, demonizzare la psicanalisi, che, come dicevo, conosco assai poco, in verità: saranno stati anni di Woody Allen ad avermi influenzato.

LP: Una decina di romanzi, i tuoi racconti inseriti in varie altre pubblicazioni, partecipazione ad antologie come curatore. Aiutaci a fare il punto sulla tua carriera.

Copertina del libro di Gianluca MorozziGM: Possiamo dire che ho sperimentato vari tipi di pubblicazione: ho cominciato con i romanzi “giovanilisti”, come si definivano all’epoca, ho provato con il thriller claustrofobico, ho pubblicato un saggio semiserio sulla musica, due graphic novels, una serie, ho curato antologie, libri collettivi. Insomma, ho fatto tante cose differenti che mi hanno fatto crescere sotto diversi aspetti della sfera letteraria. Ho diretto anche una collana di esordienti per l’editore Eumswill, quindi posso dire che un poco di esperienza l’ho fatta.

Ora vorrei riuscire ad andare oltre e non ripetermi mai troppo: la cosa che vorrei proprio evitare di fare è scrivere sempre lo stesso libro. Da un lato è complicato perché il lettore si aspetta da te che lo riporti in territori che già conosce; dall’altro c’è quella parte di lettori che vuole comunque essere sempre stupita, quindi, in un certo modo, occorre rinnovarsi nella continuità.
Dalla mia parte, però, ho tutti questi libri diversi aperti, iniziati, e devo ancora vedere esattamente che strada seguire….

LP: …perché Guanda ti chiede un noir. C’è un noir fra questi cinque libri?

GM: Ce ne sono addirittura due, uno al femminile e uno più classico. Devo vedere quale dei due finirà per primo: il primo che sarà concluso andrà a Guanda.

LP: Tu oramai vivi scrivendo da quasi dieci anni, quali consigli puoi dare a chi vuole intraprendere questa carriera?

GM: Intanto quello di leggere il più possibile, non solamente i classici, ma anche, e soprattutto, quello che viene pubblicato adesso, perché, per cominciare, è bene sapere in quale ambito ci si va ad inserire. Si può anche scegliere di ignorare gli scrittori del 2009, ma è opportuno sapere quantomeno in quale secolo siamo, per la letteratura, mentre si scrive.
Poi quello di scegliere adeguatamente l’editore presso il quale cercare di cominciare; io non consiglio di provare subito con il grande editore se non si ha un appoggio o una conoscenza all’interno, o se non si ha un agente letterario: cominciare dal basso può essere molto utile, proprio per un fatto di normale gavetta.

Copertina del libro di Gianluca MorozziBisognerà cercare, a questo punto, di sapere che tipo di catalogo ha l’editore al quale ci si vuole proporre, per non mandare un romanzo completamente “fuori tema” ad un editore che non lo leggerebbe neppure. Partecipare ai concorsi letterari, ma senza dare troppa importanza a vittorie o sconfitte perché non sono quelli a  “fare lo scrittore”. Consiglio di continuare a provare, di non vergognarsi a copiare lo stile altrui all’inizio, perché il proprio stile verrà con il tempo. E di crederci, ovviamente, molto perché non è per niente facile, anche se alla fine dà molte soddisfazioni.

Accompagno Gianluca Morozzi alla presentazione del suo romanzo presso una libreria di Udine, dove è nuovamente affiancato dall’amico Pierluigi Porazzi, che già lo aveva presentato a Trieste, scrittore e appassionato conoscitore di Morozzi. Approfitto di alcune curiose domande che Pierluigi pone all’autore:

Pierluigi Porazzi (PP): Gianluca Morozzi vanta già una biografia, scritta da Carmine Brancaccio. Cos’hai pensato quando Brancaccio ti ha contattato per scrivere una biografia su di te?

GM: Che era pazzo! Un giorno mi ha telefonato e mi ha detto: “Guarda, farei un’intervista per un libro che ho in mente, è un libro su di te, un misto fra un romanzo, una biografia e un saggio”. Così si è insediato a casa mia per tre giorni, facendo domande alle sei del mattino, rifacendole all’una per vedere se rispondevo meglio. È nata in questo modo una curiosa opera mista fra narrazione, biografia e bibliografia, che riporta anche stralci di miei racconti, tra cui Il Vangelo del Coyote in versione originale, e alcuni altri racconti inediti.
È stata divertente da realizzare; l’editore — diciamolo — non è propriamente Mondadori, ma io amo molto i piccoli editori e li sostengo volentieri. L’autore e io presentiamo insieme questo libro e, in genere, chi firma il libro è l’autore; invece, in questo caso, ci ritroviamo a firmarlo tutti e due. Un po’ come se Camilleri andasse in giro con Montalbano. Prossimamente saremo a Roma a presentarlo e non so bene chi dovrà firmare le copie alla fine. Io sarò lì di fianco, se me lo chiedono le firmo…

PP: Tra tutti i poteri di Leviatan (il supereroe protagonista di Colui che gli dei vogliono distruggere ha la caratteristica di avere molti superpoteri, ma di poterli utilizzare solamente due a due alla volta, alternati ogni dodici ore e senza poterli scegliere) quale sceglieresti?

GM: La telepatia potrebbe essere un potere interessante, però toglie un po’ di suspence alla vita; altrimenti l’ipnotismo. Pensando a quando sono allo stadio direi certamente la telecinesi, per spostare gli oggetti con la mente, per spostare un pallone che sta andando da una parte e metterlo… su un palo, tipo! Ecco, diciamo che se sabato scorso allo stadio avessi avuto il potere della telecinesi, il pallone di Balotelli sarebbe finito un po’ più “in qua”, anziché finire in porta. Vinceremmo molte partite in più, secondo me, se avessi questo potere.
Ma, ripensandoci, l’ipnotismo potrebbe essere molto utile al momento di stipulare un contratto editoriale, per esempio, con un editore che si ritrova a firmare contratti miliardari e poi si risveglia di colpo e non ricorda i perché. Ma anche il volo non è male…

PP: Tra un universo in cui Morozzi è un grande chitarrista e suona con Springsteen, uno in cui è un grande centravanti e gioca in un Bologna che sta per vincere lo scudetto, o un grande attore che ha appena vinto l’Oscar, quale sceglieresti?

Gianluca MorozziGM: Confesso, farei il chitarrista: l’ho sempre voluto fare, ma andrebbe bene anche con qualcuno inferiore a Springsteen. Nick Hornby, mi pare, in Alta Fedeltà diceva che gli sarebbe bastato essere un musicista minore, non Jimi Hendrix, bastava anche meno, bastava uno dei Miami Horns, un chitarrista dei Jefferson Airplane: uno che c’era, era sul palco, esisteva.
Bastava essere Little Steven, uno dei chitarristi — il più scarso forse — della E-Street Band, oppure uno dei mille chitarristi degli Eagles, o degli Allman Brothers… uno qualunque, ma uno che comunque sul palco c’era, calcava le scene rock, scriveva qualche canzone ogni tanto, ma non sempre, qualche canzone minore. Sarebbe davvero molto bello.
Invece faccio lo scrittore, che sfortuna, no?

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