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Musica

Alessandro Stefana

Poste & Telegrafi

Quelli che capiscono la musica lo apprezzano per la tecnica strepitosa e la creatività eclettica. Gli altri, dei quali chi scrive è il capofila, rimangono incantati dalla naturalezza disarmante con cui si presenta.

Alessandro Stefana, Poste e telegrafi

La prima volta che ho incontrato Alessandro Stefana, non me ne sono accorta. Credo di averlo incrociato di sfuggita il 27 Settembre 2008, sul molo di Rimini, mentre era fermo a parlare con il più perfetto sosia di Vinicio Capossela che avessi mai visto. Cinquanta metri dopo, entravo nel locale dove Vinicio-Capossela-Quello-Vero-Mica-Un-Sosia aveva appena suonato. Accompagnato da Alessandro Stefana naturalmente.

La seconda volta che ho incontrato Asso — così si fa chiamare e non sarò io a usare un nome che altre persone han scelto per lui — è stato a dicembre scorso, al concerto di Natale di Capossela in un locale emiliano. Ancora scottata dalla delusione settembrina, avevo deciso di rifarmi e, in quell’occasione, ero riuscita a raggiungere l’agognata posizione gomiti-sul-palco. Un palco piccolo e raccolto, molto piccolo e raccolto, talmente piccolo e raccolto che se non si faceva attenzione, si finiva con lo staccare accidentalmente qualche cavo. Talmente piccolo e raccolto che devo solamente all’attenzione che Asso metteva nel riporre gli strumenti l’affatto scontata fortuna di non essermi ritrovata il cranio aperto in due da un manico di banjo, o di una chitarra elettrica, o da una qualsiasi altra cosa con le corde da cui questo bambino con la barba sa tirare fuori musica.

Il suo disco, Poste e Telegrafi, è recensito ovunque con entusiasmo e salutato come uno dei migliori esordi. Di fatto, proprio un esordio non è. Sebbene si tratti del primo lavoro che porta la firma del ventisettenne bresciano, il nostro giovane eroe ha alle spalle collaborazioni numerose e prestigiose, prova di una maturità artistica velocemente raggiunta. Più che una partenza, questo disco è già, se non proprio un traguardo — vista anche la produzione futura che ci si augura — una sintesi dell’Asso arrivato fin qui; raccoglie stili musicali diversi, frutto di un gusto sofisticato, formatosi grazie all’ascolto di autori raffinati, e di un attento amore per l’equilibrio e la misura.

Un lavoro che meraviglia perché insolito e vario, ma che non cerca di stupire a tutti i costi l’ascoltatore, anzi lo rassicura, muovendosi in maniera bilanciata tra l’estro imprevedibile e il patrimonio comune, realizzato con cura e pazienza, destinato, per sua natura, ad essere apprezzato moltissimo, ma magari non da tutti, non subito. A voler fare un paragone agro-enologico, questo disco è un fine taglio bordolese della Franciacorta, fatto con esperienza e dedizione, che ha parecchio da insegnare a più blasonati e chiassosi “supertuscans”.

Alessandro ASSO Stefana

È il manifesto di un modo rispettoso e innamorato di suonare, assai lontano dal divismo, che non ruba attenzione alla musica, anzi la esalta ponendo la figura dell’esecutore in disparte, come se non ci fosse poi mica niente di speciale a “far quelle cose lì”. No, mica.

Insomma, non si poteva non restare incantati dai modi spontanei e divertiti di questo musicista, che, alla fine di ogni brano, sbuffa con l’aria soddisfatta di quello che “anche questa è fatta”, affettando una fatica che in realtà non ha fatto. Un po’ come quei bambini, appunto, che, quando rispondono bene e ricevono le lodi della maestra, si schermiscono esagerando lo sforzo, per non mortificare i compagni meno preparati, o meno appassionati, ma che poi si fanno scappare un sorrisetto furbo perché a star lì e a regalare stupore, in realtà, si sono divertiti parecchio.

E così, attratti dalla persona più che dall’istituzione, ci si appassiona facilmente al lavoro di quello che definire chitarrista è praticamente una metonimia: si rimane ingolositi dall’apparente semplicità con cui fa le cose, ingordi di scoprire quanto ampi riescano ad essere i suoi limiti. Fortunatamente, Asso è generoso anche giù dal palco, regala plettri alla prima cicciona che gli domandi di farlo ed è pure disposto a rispondere alle domande che questa importuna, digiuna delle dinamiche di formazione dei musicisti, gli rivolge:

Lorenza Pravato (LP): Per i musicisti è normale iniziare a suonare da bambini, anche tu ne sei un esempio avendo iniziato intorno ai sei anni grazie a tuo papà. Come funziona, in realtà? C’è un adulto che capisce il potenziale del bambino e lo invita a provare, o c’è un bambino che ha l’istinto di suonare e tormenta la famiglia finché non ottiene di farlo?

Alessandro Stefana (AS): Nel mio caso ho avuto la fortuna di crescere con la musica in casa, addirittura ricordo di un periodo in cui tutti suonavano, anche mia madre e mia sorella che avevano iniziato gli studi di pianoforte. Per quanto mi riguarda, vedendo mio padre suonare la chitarra in continuazione ho cominciato ad emularlo…

LP: Un’altra cosa che gli estranei alla musica faticano ad immaginare è dove finisca il talento e cominci la preparazione. L’immaginario collettivo è facilmente popolato di “fenomeni” toccati dal genio che arrivano alla musica quasi per una serie di coincidenze. Tu a che parrocchia appartieni, sei sempre stato “autodiscente” o si sono, negli anni, rivelati più importanti per la tua formazione gli studi canonici?

AS: Ho iniziato da piccolo studiando chitarra classica quindi con un approccio molto accademico allo strumento: la posizione delle mani, il poggiapiede, il fatto di suonare la musica esclusivamente leggendola, e via dicendo…. Poi, a un certo punto, probabilmente anche grazie agli ascolti di musiche trasversali e all’aver “conosciuto” — artisticamente, intendo — personaggi particolari del mondo della musica, ho abbandonato quasi completamente questa strada, capendo che era venuto il momento di creare un mio suono.

Vinicio Capossela

All’opposto del discorso di cui parli, esistono personaggi come, ad esempio, Brian Eno: un genio assoluto, produttore e musicista di dischi incredibili, il quale istituì la figura del “non musicista”, sostenendo che chiunque potesse fare musica, anche utilizzando lo studio di registrazione proprio come metodo compositivo.

LP: Ciò che affascina — e tormenta — le persone totalmente prive di qualsivoglia forma di inventiva è l’interrogativo: come si crea? Nel tuo caso, da dove arriva l’ispirazione?

AS: L’ispirazione può arrivare in un qualsiasi momento, può essere un film a darti la scintilla, un libro… qualsiasi cosa.

LP: Hai nel curriculum progetti e collaborazioni con diversi apprezzati musicisti. Come si sono presentate queste occasioni e come avete capito che insieme poteva funzionare?

AS: Ho iniziato molto presto e ricordo ancora come fosse ieri quando, dieci anni fa, Paolo Benvegnù mi telefonò sul fisso di casa per dirmi che il demotape che gli avevo dato la sera prima ad un concerto gli era piaciuto molto. Non avrei mai detto che mesi dopo sarei diventato il roadie dei suoi Scisma.
Vinicio l’ho conosciuto in un piccolo locale di Milano, una mattina alle 3 durante una jam session dopo un concerto in cui suonavo con Marco Parente. Ho un rapporto molto bello e di stima con tutte le persone con le quali suono, altrimenti non lo farei.

LP: Qual è il musicista con il quale, più di tutti, vorresti collaborare? Valgono anche i morti…

AS: Se valgono anche i morti si chiama Simon Jeffes ed era un compositore straordinario (Penguin Cafe Orchestra), uno di quelli che mi hanno fatto cambiare il modo di vedere la musica, la prima volta che lo sentii avevo 14 anni, ascoltavo i Sex Pistols, i Nirvana, Soundgarden… Mi stravolse.

LP: Quando hai pubblicato il tuo primo disco avevi già un’esperienza e una carriera consolidate. Come mai Poste e Telegrafi non è arrivato prima?

AS: Non avevo mai pensato di fare un disco solista, al tempo avevo un gruppo col quale poi è finito tutto a rotoli e quindi, molto naturalmente, è venuto il momento di fare un punto della situazione, vedere cosa avrei potuto fare da solo. È stato importante.
Mi sono rinchiuso nel mio piccolo studio, il Perpetuum Mobile, e così ho concepito il disco, come fosse un piccolo concerto in studio, registrando, mixando e producendo il disco da me.

LP: Come hai scelto il titolo?

AS: Il titolo è un omaggio al lavoro che ho fatto prima di dedicarmi alla musica a tempo pieno, il postino, un lavoro che ho amato molto.

LP: Hai accompagnato diversi artisti durante le loro tournée. Convincimi che non sia fantastica la vita “da rockstar”, a leggere un quotidiano sempre diverso a colazione, con il mento ispido e le gomme lisce…

AS: Mentirei se dicessi che non siamo davvero fortunati, in primo luogo a fare la cosa che ci piace, e poi ad essere perennemente in viaggio e a poter vedere cose che non basterebbe una vita intera. Per mio carattere, però, se potessi scegliere, limiterei molto l’attività dal vivo, dedicandomi soprattutto al lavoro in studio di registrazione, dove personalmente riesco a godermi appieno l’essenza della musica.

Alessandro Stefana

LP: Oltre alla musica, hai qualche altra forte passione?

AS: Mi piace molto pescare, anche se purtroppo non ne ho mai il tempo.

LP: E ora il consueto fritto misto di domande idiote, formulate con il pretesto di farti meglio conoscere ai lettori, volte, in realtà, a mascherare l’inadeguatezza di chi le pone.
Il brano di un altro artista che avresti voluto comporre?

AS: Dark was the night, Cold was the ground di Blind Willie Johnson

LP: Dinne un altro, uno che possa conoscere perfino io, per favore.

AS: Here Comes The Sun di George Harrison (Beatles)

LP: Qual è stato, se c’è stato, il momento in cui hai pensato “Porca miseria, se rinasco faccio l’idraulico”

AS: Oggi, che devo percorrere Ragusa-Brescia in furgone

LP: Cosa volevi fare da piccolo?

AS: L’agricoltore.

LP: Chi te lo fa fare?

AS: Qualcuno più grande di me.

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