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Cinema

Umberto Massa

La passione degli uomini liberi

Locandina del Roma Indipendent Film FestivalAvrei dovuto seguire l’edizione appena conclusa del Roma Independent Film Festival, e lo avrei fatto con sommo piacere, senonché, ad un giorno dall’inizio della programmazione, riesco nell’ardua impresa di prendermi una bronchite con tanto di “febbre non trascurabile” (parole del medico di famiglia). Dopo aver inveito contro la sfiga trascendentale che sembrava aver avviluppato in sé tutti i miei buoni propositi, ho contattato con una mail in stile Disperato Erotico Stomp l’ufficio stampa del RIFF, per ottenere un contatto con Umberto Massa e Valentina Cervi, entrambi membri della giuria. Oggetto: Richiesta contatti per intervista.

Valentina, ahimè, era fuori per lavoro (ma non demordo, prima o poi affliggerò un quarto d’ora della sua vita con domande da provolone dolce…), cosicché mi sono concentrato per redigere con estrema attenzione tassonomica le domande da porre al produttore Umberto Massa.
Dopo alcuni spostamenti di giorno e orario, mi viene confermato l’incontro con Umberto per martedì ventotto-zero-quattro-duemilanove. Luogo dell’intervista: viale dell’università 25, 00185 Roma, sede della sua Kubla Khan, una società di produzione cinematografica indipendente che dal 1997 realizza prodotti distintisi per qualità e apprezzamento. Opere prime come La CapaGira di Alessandro Piva, Pater Familias di Francesco Patierno, Mater Natura di Massimo Andrei hanno riscosso un grande successo non soltanto ai festival e da parte della critica e della stampa specialistica, ma anche da parte del pubblico che ha accolto con convincimento queste proposte.

Altro film che è stato prodotto interamente da Kubla Khan, e che recentemente è stato oggetto di polemiche, è Shooting Silvio, film del 2007 che racconta di un giovane scrittore di norme Kurtz che decide di uccidere Silvio Berlusconi. Il lungometraggio era stato mandato in onda in prima visione televisiva da Sky la sera di Pasquetta in prime time, suscitando la reazione indignata del Pdl che ha definito il film come “un inno alla violenza”, con il risultato che le altre due repliche previste nel palinsesto dell’emittente di Murdoch sono state cancellate.

Kubla Khan è soprattutto una realtà legata alle esperienze, alla ricerca, agli entusiasmi estetici delle nuove generazioni. Nell’ambito di tali attenzioni si è fatta promotrice del progetto Buco nell’acqua di Lara Favaretto e Berardo Carboni, un docu-fiction prodotto da Mediatrade, la cui recente indicazione di Flash Art lo inserisce in un curioso e stimolante territorio a metà fra il cinema e le arti visive. Ha prodotto il gruppo Bungt&Bangt, percussionisti da strada che utilizzano materiali da riciclo, e lo spettacolo teatrale Quiz shock. L’attenzione per le idee che vengono dal panorama giovane è senz’altro il tratto distintivo di questa etichetta, e la sua cifra stilistica si individua, in assoluto, nel cinema indipendente.

Una volta dentro gli uffici della Kubla Khan, attendo per pochi istanti, e prima di dare inizio all’intervista, Umberto mi chiede cortesemente di dargli del tu. Proposta che accolgo con entusiasmo, data la mia propensione a far diventare tutte le mie interviste una sorta di chiacchierata amichevole tra appassionati di cinema. Il problema, se così si può definire, sono le conseguenze di questo mio stile anarchico nel momento in cui devo scrivere e schematizzare il succo del discorso in un ordine tale che mi permetta di proporre l’intervista per la pubblicazione. Rimembrando le sagge parole della mia maestra delle elementari, provo ad iniziare dall’inizio. Così, tanto per iniziare.

Daniele Piovino (DP): Parliamo dell’edizione del RIFF appena conclusa. In programma ci sono stati workshop e seminari sui temi attuali legati alla produzione cinematografica, e un forum europeo con produttori aderenti al progetto Producer on the Move. Puoi dirmi a quali conclusioni hanno portato questi incontri, e in cosa consiste il progetto Producer on the Move?

Umberto Massa (UM): Ho lavorato come membro giurato per la lettura dei copioni, ma non ho potuto seguire nessun incontro perché non ero fermo a Roma, ero in giro per chiudere un film. Sono forum sicuramente interessanti, che ormai fanno un po’ tutti i festival, però non ho idea di come siano andate le cose, e quali siano stati gli sviluppi di questo progetto.

DP: A quale film stavi lavorando?

UM: Tris di donne & abiti nuziali, un film che abbiamo finito di girare un po’ di tempo fa, e di cui abbiamo terminato la post-produzione. È una pellicola con Sergio Castellitto, Martina Gedeck (Le vite degli altri), Salvatore Cantalupo (Gomorra), Iaia Forte, Paolo Briguglia, Raffaella Ream, e la regia di Vincenzo Terracciano. È stato prodotto da Kubla Khan con Rai Cinema, distribuito da 01 Distribution. Siamo in attesa di sapere se riusciamo ad essere presenti ad un festival internazionale.

DP: Ci sono altri film ai quali stai lavorando?

UM: A maggio esce Polvere, un film totalmente indipendente, prodotto interamente da Kubla Khan, che ha avuto grandi difficoltà per trovare una distribuzione, ma nel quale crediamo molto. È un film che nasce dalla consapevolezza dell’importanza che riveste oggi il tema della droga, soprattutto per la sua dilagante diffusione nel mondo giovanile. È ispirato ad una storia realmente accaduta.

Polvere

La scrittura ha richiesto uno studio approfondito dei luoghi, delle persone e dei riti. I luoghi sono effettivamente quelli che nella vita reale fanno da sfondo alle storie cui gli autori si sono ispirati. L’originalità sta nel fatto che Polvere è una sorta di film in un film. L’utilizzo del digitale e di nuove tecnologie ci ha permesso di sperimentare maggiormente nei diversi “reparti”.

DP: Ritornando al RIFF, qual è il livello delle sceneggiature che hai avuto modo di leggere?

UM: L’anno scorso ho letto molto materiale inviato al RIFF, e purtroppo il livello era piuttosto basso. Quest’anno le cose sono un po’ migliorate. Il RIFF secondo me ha bisogno di avere una credibilità maggiore, nel senso che è come se non arrivassero dei lavori importanti. Ed è strano, perché un testo si prova ad inviarlo un po’ da tutte le parti. Forse è un problema mio, che ho delle esigenze diverse, però non ho trovato ancora nulla di veramente forte.

DP: Quindi ritieni che ci siano degli aspetti del RIFF che vadano migliorati?

UM: Guarda, lo sforzo che fa il direttore artistico Fabrizio Ferrari è notevole, però è come se non si fosse ancora raggiunta una piena maturità cinematografica ed organizzativa.

DP: La ricerca di nuovi talenti è sostenuta in qualche modo anche dalle politiche nazionali, o è sempre più difficile proseguire in questa direzione?

UM: Io dal Ministero, dopo dodici anni di Kubla Khan, ho preso solo un fondo di garanzia per il film con Sergio Castellitto che ti citavo prima (Tris di donne & abiti nuziali, n.d.r.). Per tutti gli altri non ho mai preso una lira. E devo dire che è stato possibile realizzare i film che ho prodotto anche grazie all’aiuto della troupe, degli attori, per cui credo di essere la persona meno indicata per rispondere a questa domanda.

Castellitto assieme agli altri attori del film Tris di donne

DP: Be’, diciamo che questa risposta è alquanto indicativa…

UM: La Capagira fu presentato al Ministero per ottenere un fondo, ma fu bocciato. Così come Pater Familias e Mater Natura. L’Imbalsamatore di Matteo Garrone, ad esempio, era un film Kubla Khan, ma l’ho dovuto mollare per darlo a Procacci. Insomma…

DP: Perché non hai prodotto tu L’imbalsamatore?

UM: Perché o producevo Pater Familias o producevo L’Imbalsamatore. Se almeno Pater Familias me lo avessero preso al Ministero, avrei prodotto entrambi, ma da solo non ce la facevo. E questi sono danni, danni che fanno ai produttori e al cinema in generale, se pensi che molti di questi giovani autori li ho scoperti grazie ai cortometraggi. Questa è l’unica strada per un produttore indipendente, perché per il resto non c’è nulla, nessun sostegno. E in più ci sono le major che politicamente sono coperte, quindi la situazione diventa abbastanza drammatica.

DP: Nonostante le tante scuole cinematografiche, spesso alcuni giovani autori mancano di formazione e di un confronto con il pubblico, realizzando prodotti abbastanza ingenui. Tu credi che questo sia dovuto ad una scarsa conoscenza pratica degli strumenti di comunicazione — quali i suoni e le immagini — o ci sono altri problemi strutturali?

UM: Io vengo dal Centro Sperimentale di Cinematografia, e a me quella scuola ha dato tantissimo. Poi, in effetti, ognuno di noi si deve portare dietro la conoscenza della propria curiosità. Io mi sono portato dietro la mia napoletaneità, la strada, il marciapiede, il lato logistico e organizzativo del lavoro che svolgevo precedentemente come promoter musicale, quando seguivo i tour. E abbinando queste mie esperienze, sono arrivato comunque con la passione del cinema a poter trovare anche facile fare l’organizzatore — per cominciare — e poi il produttore.

Quello che però ho notato, è che al Centro Sperimentale arrivavano tantissimi ragazzi con molta teoria nel loro passato, ma con una conoscenza minore su quello che accadeva al di fuori del Centro Sperimentale. Gran parte delle storie, quindi, erano autoriali, molto vicine al cinema francese e a un regista come Nanni Moretti. Ma il tutto finiva per essere abbastanza pesante.

Set del film Il mare non c'è

Ti parlo di quando ho seguito io il Centro Sperimentale, quindi nel 1988/90, e ricordo che, ad esempio, non c’erano assolutamente testi di commedie all’inglese. Il cinema d’autore era molto presente e, per quanto possa essere bello e debba esserci, ce n’era una percentuale troppo alta rispetto ad altri generi.

DP: E che idea ti eri fatto in quegli anni rispetto alla possibilità di vivere grazie al cinema?

UM: Avevo capito che il cammino sarebbe stato difficile per poter pensare anche di vivere di cinema, perché in verità io non avevo mai pensato che il cinema mi potesse dare un sostegno economico di vita. Il fatto è che il cinema mi ha investito totalmente: mi distrugge, non mi fa proprio mangiare. La cosa bella è che mi nutre di sogni, quindi vado avanti nonostante le tante difficoltà. Però, ti ripeto, il cinema mi devasta, mi fa male. E poi mi fanno male le ingiustizie che vedo tramite altri colleghi che sono ammanigliati politicamente, mi fa male vedere persone che prendono fondi su testi che non meritano. Io provo proprio dolore a fare cinema, un dolore fisico, spirituale, che poi diventa anche un dolore economico.

DP: La tua vera spinta rimangono i sogni…

UM: Sì, questa è una spinta forte che ho. Poi sai, anche se non m’interessa assolutamente stare lì a gareggiare, io vengo comunque da esperienze positive, siamo riusciti a vincere il David di Donatello con il primo film, e abbiamo vinto anche a Venezia. Ma non m’interessa entrare in certe dinamiche. Ultimamente mi hanno offerto diversi film da fare come produttore associato, ma, malgrado abbia perso del denaro, li ho rifiutati perché erano dei brutti film. E i brutti film non li so fare. L’idea di fare grandi incassi al botteghino solo mettendo insieme un cast da Un posto al sole e Cento Vetrine, io non la condivido. Credo molto nel bravo attore sconosciuto — e in Italia ne abbiamo molti — e che debba essere il regista in grado di sorreggere insieme al produttore il film. Non credo che tutto possa girare intorno all’attore famoso, perché poi il risultato è quello di avere nelle sale le solite minestre riscaldate, e sempre le stesse facce. Per fortuna che con questi nuovi film generazionali sono arrivati dei volti nuovi, altrimenti erano sempre gli stessi.

DP: Nel panorama cinematografico italiano, oltre ai problemi di produzione, c’è anche un altro aspetto molto critico che è quello della distribuzione. Si soffre della mancanza e assenza di spazi di diffusione per le opere indipendenti di qualità. Come vedi il futuro del cinema indipendente nel nostro Paese da questo punto di vista?

Locandina del film Shooting SilvioUM: Se non fanno una legge che salvaguardi il cinema indipendente di qualità, non vedo nessun futuro. In fondo, noi indipendenti puri siamo anche dei grandi scopritori di talenti. Se prendi tutti i registi che hanno lavorato con me, solo i secondi film sono andati a farli con produzioni più ricche. Certo questo non fa onore all’uomo regista, ma io dico sempre che un regista si vende per un piatto di pasta, per cui posso non capirlo, ma posso dimenticarlo. Se io avessi prodotto le loro prime opere con i soldi dello Stato, e avessi palesemente intascato gran parte di quei soldi, potrei capire il fatto che il secondo film siano andati a realizzarlo con produzioni major, ma nel mio caso, in cui i soldi sono i miei, è un comportamento un po’ da ingrati.

Comunque, tornando alla tua domanda, ci vorrebbe una legge per dare la possibilità a un distributore o a un determinato circuito di proiettare cinema indipendente, ovviamente dopo una selezione fatta da persone competenti, e non dai politici. C’era una volta il Circuito Cinema che curava un po’ di più il lavoro indipendente di qualità, ma è stato poi assorbito dalla Medusa. Purtroppo così è davvero dura, e certi beceri rovinano tutto, non avendo alcun rispetto per il lavoro degli altri. C’è troppa politica che gestisce il tutto.

DP: Come fai ad andare avanti?

UM: Bisogna avere tanta forza. Io attualmente sto gestendo la Kubla Khan con i miei soldi personali, e per fortuna mi occupo di tante altre cose. Se così non fosse, non sarei mai riuscito a sopravvivere fino ad ora. E a questo devi aggiungere il fatto che faccio anche l’organizzatore di tutti i miei film.

DP: Una grande mole di lavoro.

UM: Mi piace stare sul set, mi piace essere lì, risolvere i vari problemi. Anche perché sono co-autore di alcuni miei film prodotti. Diciamo che da qui il film nasce proprio a livello sartoriale. Io sono un produttore sartoriale. Sto accanto al testo, sto sul prodotto. Ogni volta, a fine riprese, mi viene la febbre. Anche se non sono un ansioso, è uno scarico di fatiche.

DP: Per quanto riguarda il documentario, ultimamente stiamo assistendo ad un risveglio e a una rinascita anche grazie alle nuove tecnologie, al digitale in primis. Secondo te, perché il documentario ha sempre incontrato tante difficoltà? Per le stesse ragioni di cui abbiamo già parlato, o per altri motivi? Alcuni critici hanno individuato tre ragioni: la prima è di natura tecnica, ossia l’incapacità negli anni ’50 di utilizzare il suono in presa diretta; la seconda ragione individua nella corrente del neorealismo un limite, come fenomeno culturale capace di assorbire le pratiche realistiche, limitando il campo del documentario a pochi autori (ricordiamo come esempio Antonioni e Vancini); infine, la terza motivazione deriva dall’impostazione dell’Istituto Luce: il documentario veniva letto come momento noioso, didascalico, accademico.

UM: Il documentario non ha proprio distribuzione nelle sale. Diciamo che i documentari di Michael Moore rappresentano l’unico caso in cui ho visto dei documentari avere un discreto successo nelle sale, per quello che ricordo. Forse è anche vero che se devo spendere sette euro, preferisco spenderli per un film, e mi aspetto che il documentario venga trasmesso dalla televisione. Ti dico la verità, io per il documentario non vedo un mercato, a prescindere da tutte le problematiche di cui abbiamo parlato. Bisogna spettacolarizzarlo, allora sì, può essere distribuito sul grande schermo, come nel caso de La marcia dei pinguini, ad esempio. In caso contrario il documentario credo sia meglio vederlo in tv. Ultimamente ho visto un servizio de Le Iene riguardante alcuni immigrati bloccati per giorni su un mercantile che mi ha molto emozionato; i volti di quei ragazzi di colore mi hanno preso, erano persone per bene, con grande dignità.

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