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Fumetto

Mauro Cicaré

Gli enigmi del fumetto italiano svelati con mano pesante

Coperina di L'Enigma del condominioMauro Cicaré è un autore importante nel panorama del fumetto italiano e internazionale. Illustratore di riconosciuta fama, ha esposto le sue opere in importanti gallerie, e pubblicato con una moltitudine di realtà editoriali: da Feltrinelli a Einaudi, dalle Edizioni Di a Nicola Pesce Editore. Quest’ultima, con la pubblicazione di L’Enigma del condominio e la ristampa di Eddy “Mano Pesante”, ha permesso a una nuova generazione di lettori di scoprire l’autore, per apprezzarne la malinconia narrativa, lo stile e le ossessioni tematiche. Mauro ha gentilmente accettato di condividere la sua opinione sull’attuale situazione del fumetto nel nostro paese, senza risparmiarsi, e descrivendone una lucida analisi con appassionata sincerità.

Valentino Sergi (VS): Sei noto al grande pubblico principalmente per la tua attività pittorica e d’illustrazione, avendo esposto le tue opere in diverse gallerie italiane ed estere, e disegnato le copertine di libri Feltrinelli, Einaudi, Utet. Sei finito nelle mani di migliaia di persone con una serie di schede telefoniche dal tema I miti nel mondo, e sempre i Miti sono i protagonisti del tuo portfolio più recente, pubblicato da Edizioni Di. Cosa puoi dirci in proposito?

Mauro Cicaré (MC): Dopo tanti anni di fumetti sono conosciuto più per qualche illustrazione che per le tante storie e i diversi personaggi disegnati. Che dire? Ciò significa forse che il fumetto, in Italia e soprattutto dopo la fine delle riviste, ahimè, è una specie di Cenerentola.
Naturalmente, nel mio lavoro, non faccio nessuna distinzione tra fumetto, illustrazione e pittura. Per me rappresentano un unicum narrativo-espressivo, e dunque, alla fine, va bene anche così.

VS: Perché ritieni che il fumetto in Italia sia ancora una forma d’arte che affronta difficoltà d’affermazione? E quali sono queste difficoltà?

MC: Perché nella vulgata corrente, in Italia, per fumetto s’intende Topolino, cioè roba per bambini, oppure i fumetti manga, perché intere generazioni sono cresciute da trent’anni a questa parte con i cartoni giapponesi alla tv. O perché il fumetto di qualità è “astruso” e poco leggibile, male organizzato editorialmente e dunque poco conosciuto e poco incisivo nella società. Cioè non riesce a farsi industria, non ha mercato.
Non per fare della facile retorica buttandola a “quanto erano belli i miei tempi”, certi problemi ci son sempre stati e sempre ci saranno, ma tanti anni fa era diverso: c’era sì il fumetto di genere, d’avventura (Hugo Pratt, Dino Battaglia ecc.), ma c’era anche Frigidaire e dunque i corni del dilemma erano molto alti e il dibattito fervente e appassionato.

diesegno di Hugo PrattGli amanti delle “nuvolette” in Italia erano molti e il fumetto era sostanzialmente questo, più la produzione Bonelli, che ancora svolgeva un suo ruolo importante. Poi è cambiato tutto e la TV, agli inizi degli anni ’80, soprattutto quella commerciale, ha avuto un ruolo fondamentale in questo cambiamento epocale. Mettiamoci poi anche l’avvento dei computer, del web e dei videogiochi, che hanno spazzato via, come uno tsunami, tutto ciò che c’era prima. È un fatto tecnologico inevitabile (e non va criticato in sé, intendiamoci), ma anche profondamente culturale. Pure in Francia, ad esempio, ci sono stati tutti questi fenomeni e cambiamenti — anche se la TV commerciale non è stata così selvaggia e massificante come da noi, tant’è che Berlusconi ha provato a mettere il suo zampino anche là, ma, per loro fortuna, gliel’hanno tagliato —, però il fumetto è rimasto un media espressivo importante sia per chi lo fruisce che per chi lo fa, e con un’alta e intatta dignità linguistica riconosciuta e ampiamente coltivata (crisi economiche a parte, ovviamente).

VS: Allora, qual è, a tuo avviso, l’elemento centrale del ritardo italiano?

MC: Io penso che sia il dato culturale, come dicevo, intrecciato però a un ritardo politico! Non solo delle istituzioni, ma della politica intesa come prassi quotidiana: non è un caso che negli anni ’60 e ’70 il fumetto fosse molto importante anche per la nostra società (Linus e Frigidaire su tutti) e, guarda caso, questa importanza coincidesse con un fervore politico forte e generalizzato, sia che fosse contro il fumetto “da evasione” alla Hugo Pratt (sbagliando, a mio avviso), sia che fosse d’accordo col fumetto “da movimento” di Andrea Pazienza. Oggi la politica (intesa come bene comune), a tutti i livelli, non c’è più e con essa viene a mancare quella produzione culturale che nasce dall’interesse e dall’ impegno che dovrebbe caratterizzare la nostra vita personale e collettiva, quindi anche per il fumetto. Oggi quello che importa non è il “sapere”, ma lo “spettacolo” e cioè quel concetto, così berlusconiano, di spettacolarizzazione (spesso mutuato dal modello televisivo, non a caso), che spiega un po’ l’estetica dei nostri tempi. Per restare nel settore fumetto: guarda come sono ridotti i grandi festival come Lucca, ma anche Napoli da qualche anno a questa parte, e ti rendi conto di questo fenomeno; in pratica solo un mare di cosplayer che fanno carnevalate fuori stagione! Spettacolarizzazione e imbonitori di ogni genere. Così diventa difficile per il fumetto acquisire un’immagine seria e culturalmente valida. Vorrei raccontare un piccolo aneddoto in questo senso: ricordo a Lucca di due anni fa il povero Nikolaj Maslov che cercava di presentare e parlare del suo libro Siberia in un fiume ininterrotto di annunci dell’altoparlante. Una cosa impossibile e vergognosa, sia per l’autore che per i pochi, stoici, intervenuti in quella baraonda generale! E nell’indifferenza più totale da parte degli organizzatori.

VS: Durante la tua lunga carriera hai avuto modo più e più volte di confrontarti con il fumetto e molte tue storie sono racchiuse in testate ormai leggendarie come Frigidaire, L’Eternauta, Il Grifo, e persino Heavy Metal. Di recente Nicola Pesce Editore ha ristampato Eddy “Mano Pesante”, le storie del tuo malinconico ex-pugile detective, vicino a una sensibilità più argentina (penso a Alack Sinner, Savarese, all’ironia nera di Torpedo) che americana. Cosa ricordi della genesi di questo fumetto? Cos’hai provato nel rileggere il personaggio nella veste forse più raffinata e meno dispersiva del volume? Che intervento è stato necessario da parte tua per poter effettuare questa pubblicazione?

MC: Quando iniziai a fare Eddy era il 1992, venivo da 100 e passa tavolea colori di Fuori di Testa realizzate per Il Grifo. Un lavoro bellissimo e divertente, ma molto impegnativo. Avevo bisogno di liberarmi e di fare il bianco e nero: ero stanco di tutto quel colore. Inoltre furono le mie letture americane (Chandler, Hammett, Thompson, il Bastardo di Mingus, London e i suoi racconti sul pugilato, ecc.) e non argentine ad ispirarmi per le storie di Eddy “Mano Pesante”. Di argentino c’era l’amore per uno dei miei maestri, José Muñoz e per il suo bianco e nero. E certo, il suo Alack Sinner è una pietra miliare non solo del fumetto, ma della narrazione in generale.

Il GrifoAdesso che ho letto gli episodi tutti insieme e d’un fiato, nel volume della Nicola Pesce, sono rimasto sorpreso: mi hanno dato la sensazione di un’opera completa, con un suo spessore, e attualissima. Onestamente non pensavo: con tutto questo tempo passato — 15 anni — avevo in testa tutta un’altra idea di questo fumetto e devo ringraziare prima Massimo Perissinotto e poi Nicola Pesce che, ristampandolo, mi hanno fatto piacevolmente ricredere! Insomma, questa cosa mi è piaciuta molto.

VS: L’Enigma del condominio, pubblicata nel 2007 è un’altra tua opera di rilievo, più complessa, articolata, e tu stesso citi tra i tuoi riferimenti quel cinema di fantasia a tratti oscura e confusa e a tratti giocosa di Lynch, Wenders, Burton e Antonioni. In che modo e in che misura il cinema influisce a livello narrativo e visivo sul tuo modo di raccontare una storia?

MC: Il cinema è molto importante per me. Non solo mi piace come mezzo espressivo, ma penso anche sia il fratello buono del fumetto. Per tutti e due i linguaggi è importante l’immagine e la sua narrazione. La diversità sta solo nelle modalità di fruizione per chi guarda e di creazione per chi, questi linguaggi, li usa. Quello che mi lega a questi grandi registi è la loro capacità di immaginare e di creare visioni di grande evocazione e potenza, ma anche di non appiattirsi su storie delimitate da sceneggiature ferree e nella ricerca di un “senso” a tutti i costi che, a volte, mi sembra limitativo per qualsiasi narrazione.

Disegno di Mauro Cicarè

Ne L’enigma del condominio mi interessava partire da un punto per arrivare ad un altro di cui non sapevo nulla; mi sono lasciato trasportare dall’immagine e dall’immaginazione, e quello che è venuto fuori è un racconto dove la visione è la cosa più importante e i testi sono funzionali a questa.

Però mi sono reso conto, anche se già lo sapevo, che la gente ha bisogno di storie nelle quali possa immedesimarsi o in cui possa evadere completamente.

Mauro CicarèSe gli chiedi uno sforzo in più non sempre lo accetta. L’enigma è forse il mio lavoro fumettistico più di ricerca, diciamo così, dove non c’è solo il cinema ma, rispettando il mio assunto contenutistico e formale, c’è anche l’illustrazione e la pittura. E dunque c’è la ricerca stilistica che sto portando avanti in questi anni; c’è il racconto della città e, assieme anche di chi la popola e la vive, affidandomi spesso a metafore sia nello stile formale (i palazzi-condomini-città come casermoni ammassati di finestrelle tutte uguali) sia nella costruzione dei personaggi (angeli che non volano più, automobili quasi antropomorfe, personaggi surreali e da psicoanalisi, extraterrestri ridicoli e spietati al tempo stesso, navicelle spaziali come da vulgata classica, la catastrofe quotidiana come una sorta di video-gioco, etc.).

VS: Come mai, a tuo avviso, oggi il fumetto definito “d’autore” non riesce ad accedere al circuito librario o delle edicole se non ha dietro un partner editoriale forte e riconoscibile? E come vedi il tentativo “autarchico” di resuscitare le riviste (penso ad Animals di Coniglio Editore)?

MC: Mah, vale quello che dicevo sopra: il fumetto definito “d’autore” non riesce a farsi industria per i motivi già esposti. Al mercato non interessa che siano comunisti sessantottini, ragazzi del “movimento” o bambinoni del 2009 che si travestono da Ufo Robot. L’importante è vendere. Ma dipende dalla domanda, e la gente (i bambinoni travestiti del 2009) oggi vuole mostri, supereroi di ogni specie, ragazzine fantasy maliziose e chi più ne ha, più ne metta. Difficile per una rivista d’autore, in questa situazione, avere successo se pensa di attingere solo a quella generazione disillusa, e ormai invecchiata, che non vede più nel fumetto né un punto di riferimento personale, né collettivo.

VS: Data la tua esperienza nel settore, come interpreti i cambiamenti che sta affrontando il mercato italiano? Quello della crisi ormai è diventato un tormentone, ma è davvero la causa del proliferare di tanti piccoli editori e delle difficoltà, al contrario, dei grandi (penso alla chiusura di serie da edicola come John Doe, Martin Hel, Mister No, Squadra Speciale, Trigger…)?

MC: Purtroppo non mi intendo molto di un certo fumetto popolare e non sono un grande conoscitore di queste cose: non ho mai letto un titolo di quelli che mi citi. Su questo non sono il tuo interlocutore privilegiato. Posso solo dire che gli editori italiani (non tutti ovviamente) da sempre, ma a maggior ragione adesso, non hanno ancora capito come fare bene il loro mestiere. O, chissà, non lo vogliono sapere. Forse perché sono loro i primi a sentirsi subalterni o a pensare al fumetto come un fatto culturalmente marginale. Molti si improvvisano e magari vorrebbero trattare altro, che so, cinema, televisione o spettacolo in genere, altri non hanno più voglia perché si sono scontrati col mercato e hanno perso la sfida. Altri ancora sono dei pressapochisti che lo fanno più per passione personale che per pura impresa (e questi sono la maggioranza e anche i peggiori). Poi ci sono quelli con la puzza sotto il naso e le varie “parrocchiette”, le mode e quelli à la page. E questo vale soprattutto per i piccoli (che, tra l’altro, difficilmente pagano gli autori), mentre i grandi si fanno prendere, per lo più, dalle leggi di mercato. Per questi ultimi, la cosa più importante è fare i grandi numeri, dunque non si investe, pregiudizialmente, su certi autori o sui giovani promettenti, ma si pescano sempre e comunque nel mercato internazionale, o anche nazionale, i nomi più conosciuti al grande pubblico e quelle opere che hanno avuto un largo successo.

John DoeIl fumetto cosiddetto d’autore è quello che necessita di fondi economici e di investimenti seri se non si vuol restare nel perenne anonimato dell’essere “di nicchia”, che poi non serve a nessuno, in maggior specie agli autori. Se per questi autori (sceneggiatori e disegnatori) fare fumetti non diventerà un vero e proprio lavoro (inteso come professione) ma, invece, resterà una specie di hobby, come attualmente di fatto è, il fumetto non servirà a nulla e non riuscirà mai a generare quel movimento e quello scenario in grado di arrivare alle edicole e alle librerie, in poche parole, al pubblico. E un fumetto che non ha un pubblico è materia morta, carta straccia: soldi, tempo e lavoro buttati via. Non è più neanche un linguaggio perché non parla e non comunica con nessuno (contrariamente un’opera pittorica ha un suo spazio-tempo indefinito e una sua vita infinita, mentre una tavola o una storia a fumetti, se non pubblicata o venduta in qualche centinaia di copie, diventa quasi inutile o inservibile). E oggi, per la grandissima parte degli autori, siamo a questo: a meno che non ci si accontenti di disegnare fumetti per vendere mille copie quando proprio va di lusso! Io sono convinto che se i nostri libri fossero in gran quantità nelle librerie normali e nelle edicole, la gente ricomincerebbe a leggere fumetti di qualità e si rimetterebbe in moto quel circolo virtuoso che anni fa esisteva. A patto, però, che le condizioni e l’humus politico-culturale ritornino ad essere centrale nella nostra vita, insieme ad una economia rifondata e più florida. Cosa non certo facile, né immediata.

VS: Cosa ti aspetta nell’immediato futuro? Puoi parlarci dei tuoi progetti in lavorazione?

MC: Come dicevo sopra, sono quasi ossessionato dalla città, dai paesaggi urbani, dai treni che passano e vanno sempre da qualche parte (memore anche di un grande capolavoro letterario di George Simenon che si intitola L’uomo che guardava passare i treni e del mio amore nei confronti di questo leggendario mezzo di trasporto), dalle automobili rosse e da corsa: tra una sorta di “spleen futuristico”, l’amore per le forme aerodinamiche e una qualche loro dimensione obsoleta, sorpassata, impossibile ormai e dunque anche inevitabilmente comica.

Copertina di Mano PesanteSto facendo una serie di acquarelli (ma anche disegni e tele) sul tema dei paesaggi urbani, con i quali vorrei, nell’immediato futuro, realizzare una mostra e se possibile anche un libro/catalogo.
Poi ci sono vari progetti su nuove storie a fumetti. Mi sono occupato in passato de Le avventure del gigante Morgante, personaggio che ho ridotto e sceneggiato a fumetti dall’omonimo libro di Luigi Pulci, grande poeta epico del ‘400. Ho già realizzato e pubblicato, qualche anno fa, il primo episodio sulla rivista letteraria Il caffè illustrato e poi sul primo numero di Monstars, edito sempre dalla Nicola Pesce. Ora mi piacerebbe continuare.

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