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Palcoscenico

Gezim Myshketa

Un bambino precoce

Il baritono Gezim MyshketaCristina Favento (CF): Siamo qui assieme a Gëzim Myshketa che sta interpretando il Conte Danilo nella Vedova Allegra qui al Teatro Verdi di Trieste alle nostre spalle. Lo abbiamo rubato alle scene per conoscerlo un po’ meglio. Volevo chiederti innanzitutto che cosa rappresenta per te la tua professione e che cosa provi quando canti?

Gëzim Myshketa (GM): Il canto è una delle cose più naturali per l’uomo. Nei momenti più belli della vita, e anche nei più brutti, l’uomo esprime tramite il canto le sue emozioni e i suoi sentimenti. A teatro è un’emozione bellissima, che si può provare solamente nel momento in cui interpreti veramente un personaggio, cercando di emozionarti ed emozionare il pubblico con la tua voce.

CF: Il canto rappresenta il tuo mondo. E il teatro che cos’è che aggiunge a questo mondo?

GM: Il teatro è il contenitore più completo per l’espressione del canto lirico, aiuta tantissimo il cantante nel raggiungere il massimo delle sue possibilità. Il canto non è solo, secondo il mio pensiero, cantare con la bella voce una romanza o un’aria. Cantare in teatro vuol dire diventare un personaggio, rappresentarne le emozioni psicologiche. Questo può rendere le cose difficili per molti, ma per me, personalmente, le rende più facili. Faccio molta fatica nei concerti, o nei recital, dove non ho una scena, un costume, dove non rappresento un personaggio ben definito. Il teatro mi permette, invece, di non rimanere solo un interprete, ma di diventare un artista, quasi un animale da palcoscenico.

CF: In effetti si nota questa tua presenza molto dinamica e disinvolta in scena. Volevo sapere come ti prepari nello specifico per affrontare i personaggi che interpreti, come li vivi, come li studi, com’è che li fai i tuoi?

GM: Per avere una preparazione buona e completa sul personaggio, il lavoro è molto delicato e lungo. Innanzitutto, noi cantati lirici, abbiamo a che fare con lo spartito, perciò la musica è alla base di tutto il processo interpretativo. Si prende lo spartito e si comincia a studiare la musica, le note, le prassi musicale della quale ha bisogno la specifica opera che si va ad eseguire. Poi si studia il personaggio, si legge con attenzione il libretto cercando di cogliere ciò che il librettista o il drammaturgo volevano dire. Si cercano informazioni per capire la storia rappresentata così da essere il più possibile credibili nell’interpretazione del proprio ruolo.
Un buon artista ci mette sempre del suo: la sua interpretazione, le sue emozioni più intime. È così che il personaggio diventa più interessante. Non esistono personaggi nel mondo della lirica — ma neppure nel teatro in prosa — che dovrebbero essere interpretati secondo canoni prefissati. Esistono mille interpretazioni, mille possibilità. Starà poi al singolo cantante cercare un proprio stile interpretativo.

CF: Il tuo è stato un debutto piuttosto precoce. Ci racconti un po’ il tuo percorso formativo?

GM: Ho debuttato a vent’anni nelle Nozze di Figaro a Parma con delle recite del conservatorio. Preferisco dire, però, che il mio debutto è avvenuto già in casa. Provenendo da una famiglia antichissima di Durazzo, in Albania, che ha sempre vissuto di musica, quindi con una grande tradizione alle spalle, mi è stata trasmessa una grandissima passione per la musica in generale e per la lirica. (In assenza di un palcoscenico vero, ndr) “Calcavo” i tavolini già quando avevo sei o sette anni: un bambino esuberante, con voce da usignolo, che voleva sempre essere al centro dell’attenzione.

CF: Ti è sembrato che il debutto a Parma fosse la svolta per te, o la svolta deve ancora arrivare?

GM: Dipende da come uno immagina una svolta. Penso che per un cantante lirico vi sia sempre tempo e modo per avere delle svolte. Non si è mai “arrivati” nella carriera del cantante lirico. Anche dopo un debutto importantissimo, ci sarà un altro teatro, un altro ruolo. Se l’artista non è sempre alla ricerca di nuove esperienze, di nuove emozioni, se non riesce a dare sempre di più, allora è inutile che faccia questo mestiere. In ogni caso, la svolta importante per la mia carriera c’è stata quando ho vinto il primo premio nel “Concorso per Giovani Cantanti Lirici” nel 2006, organizzato dalla Scala e dall’Associazione Lirica Concertistica Italiana a Como. Nell’anno in cui vinsi, mi fu data la possibilità di debuttare in un ruolo molto importante come il Don Giovanni. Successivamente ho ricevuto sempre più proposte da diversi teatri per debuttare in altri ruoli di questo livello. Speriamo ci siano altre svolte!

CF: Quali sono, secondo te, le caratteristiche indispensabili che deve avere un buon cantante lirico?

GM: La voce è la base di tutto. Poi, per quanto riguarda la musica e la prassi esecutiva, oltre alla voce, un buon cantante deve avere una predisposizione musicale, un buon orecchio e una buona musicalità. Tutte queste caratteristiche insieme potremmo chiamarle “talento”, ma il talento da solo non basta. Un cantante deve avere anche voglia di fare, di studiare, di imparare. L’unione di queste caratteristiche lo porterebbe ad avere una predisposizione, forse innata, per stare in scena che hanno tanti artisti.

CF: Come ti relazioni con le altre professionalità coinvolte in un allestimento, qual è il tuo rapporto con loro? Nel momento di preparare uno spettacolo, come vivi questa creazione di gruppo?

GM: Un artista dovrebbe sicuramente avere un buon rapporto con tutte le persone coinvolte nella messa in scena dell’opera, in modo da creare un clima di serenità e armonia in cui tutti danno del loro meglio. Infatti io dico sempre, ma credo lo abbiano detto anche altri grandi artisti, che se un tuo collega non sta bene allora nemmeno tu starai bene sul palco. Mentre se un tuo collega canta bene, anche tu canterai al meglio. Il rapporto con il regista è importantissimo: è lui che dà il taglio all’opera in accordo con la sua visione, e non si può interpretare qualcosa senza tener conto delle necessità che il regista ha per quel tipo di spettacolo. Per questi motivi il rapporto deve essere continuo e molto stretto.

Leo Nucci

CF: Qual è il tuo rapporto con la tradizione? Hai dei modelli di riferimento che per te sono importanti?

GM: Modelli di riferimento per quanto riguarda i grandi artisti del passato, ma anche del presente, nell’opera lirica ne ho in abbondanza. Posso citare i mitici Bruson, Leo Nucci, Capucilli. Tanti grandi maestri che hanno saputo sicuramente dare il meglio nell’interpretare i loro personaggi. I predecessori sono importanti, e bisogna seguirne l’esempio, ma è bene che l’artista si modelli da sé. Come fa un giovane pittore che all’inizio dipinge copiando i quadri di Van Gogh, di Rembrandt, di Monet per poi, col passare del tempo, trovare il proprio stile, il proprio carattere, la propria individualità. Anche nella musica è così, la propria strada deve essere quella della propria tecnica, della propria individualità nell’interpretare pezzi di ogni tipo.

CF: A proposito di individualità, tu nel tuo tempo libero, a casa, che tipo di musica ascolti?

GM: Sembrerà strano ma raramente ascolto musica classica in casa. No, scherzo! La ascolto molto. Però penso che l’ascoltare la musica che necessito per interpretare un ruolo particolare faccia parte dello studio, non dello svago. Per svago ascolto di tutto e di più, sono aperto a tutte le tipologie di musica che esistono. Sono molto legato alla musica tradizionale albanese, alla musica dagli anni Trenta, Quaranta ai Novanta. Mi piacciono molto anche la musica italiana e Frank Sinatra. Mi piace andare in discoteca, a ballare anche l’Hip-Hop. Non sono il tipico cantante sciarpa e cappello che quando esce dal teatro vuole parlare solo di musica e teatro. Il cantante, l’artista, il divo, devono dimenticare quello che sono in teatro, ritornare ad essere la persona di tutti i giorni.

CF: È da molti anni che vivi ormai in Italia ma mi faceva piacere capire e approfondire il legame musicale che ti lega al tuo paese d’origine, l’Albania: che cosa ti hanno dato, musicalmente parlando, gli anni trascorsi lì?

GM: Per ogni albanese il rapporto con il proprio paese è importantissimo. Siamo, come tipologia di persone, come etnia, molto legati alla nostra terra. Io questo rapporto ho cercato di rafforzarlo in qualsiasi maniera possibile, tramite le mie frequenti visite o le vacanze, che trascorro sempre in Albania. O con il piccolo e modesto contributo che cerco di dare all’arte e alla cultura albanese, prendendo parte, ad esempio, ad opere e rappresentazioni che vengono messe in scena, con grandi sacrifici, all’Opera Nazionale di Tirana.
I primi insegnamenti li ho ricevuti a Tirana e Durazzo. Vorrei ringraziare e ricordare la mia prima maestra, Suzana Frashëri, un’insegnante incredibile che con tanto amore mi ha quasi cresciuto. Direi, e forse non esagero, che Myshketa non è uno dei pochi cantanti lirici albanesi nel mondo. Ci sono nomi incredibilmente grandi come Inva Mula, Koza, Iavo. Tutti questi cantanti sono accomunati da voci mediterranee, calde, splendide, che rappresentano anche il dolore di quella terra martoriata che è stata l’Albania per centinaia e centinaia di anni. L’Albania, la terra e la cultura albanese sono un patrimonio incredibilmente ricco del quale io cerco di fare tesoro anche nella vita artistica.

CF: L’esordio all’operetta. La tua prima volta, e stai interpretando questo simpatico conte Danilo. Come ti sei trovato? Raccontaci un po’ questa tua esperienza.

La Vedova AllegraGM: È stata un’esperienza bellissima, e mi sono dovuto ricredere sull’operetta in generale perché, sbagliando veramente tanto, spesso la si considera un genere meno importante dell’opera. Mi sono dovuto ricredere per via della difficoltà, che ho trovato mediamente più alta della maggior parte dei ruoli che ho interpretato finora. Le difficoltà sono molteplici, come la tessitura da tenore del conte Danilo, mentre io sono un baritono. Vi è inoltre un’abbondanza di recitativi nell’operetta e, poi, nella prassi esecutiva, bisogna avere la giusta misura del cantare. Un’impostazione del cantare, potremmo dire, più naturale. L’operetta è un genere veramente difficile, che però mi ha fatto divertire moltissimo e che vorrei approfondire. Qui a Trieste abbiamo trovato il regista Federico Tiezzi che ha fatto la sua Vedova Allegra, togliendo le banalità e ripulendo il testo, e ha cercato di costruire una Vedova Allegra più asciutta e naturale.

CF: C’è un ruolo in particolare che ti piacerebbe affrontare in futuro?

GM: Ce ne sono tantissimi. Sicuramente i grandi ruoli Verdiani. Verdi ha scritto i ruoli baritonali più importanti, come il Nabucco, il Simon Boccanegra, il Falstaff, il Rigoletto, il Macbeth che sono i ruoli più drammatici, ma per affrontarli con successo servono non solo una maturità vocale, ma anche una maturità tecnica e interpretativa eccezionale. Per questo motivo sto affrontando con molta cautela il primo approccio con Verdi. Avrò un debutto molto importante al teatro Massimo di Palermo nell’ottobre 2009, dove debutterò nel Simon Boccanegra nel ruolo di Paolo Albiani.
Sicuramente, per un baritono, affrontare il Macbeth, o il Simone o Falstaff, o il Rigoletto, che considero il ruolo più bello scritto per un baritono, significherebbe un sogno che si realizza.


Gezym Myshketa, classe 1982, nasce a Durazzo (Albania) in una illustre famiglia autoctona, tra le più antiche della città. A 11 anni è vincitore del primo premio “Voci Bianche” e incide un recital di canzonette e pezzi sacri per la Radio Televizioni Shqiptar e la Radio Vaticana. Prosegue gli studi di canto in Italia presso il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma sotto la guida dei professori Giuliano Ciannella e Lelio Capilupi dove si diploma brillantemente ottenendo il massimo dei voti. A soli 20 anni debutta al Teatro Magnani di Fidenza nel ruolo di Figaro nelle Nozze di Figaro di Mozart sotto la direzione del maestro Antonello Allemandi.
Al Teatro dell’ Opera Nazionale dell’ Albania e quello Nazionale della Macedonia ha interpretato i ruoli di Belcore, Guglielmo, Maestro di Cappella, Escamilio e altri. Ha inoltre interpretato il personaggio di Papageno al teatro Reggio di Parma. È stato protagonista come Don Corrado nell’Arrighetto di Carlo Coccia. Inoltre è diverse volte impegnato come cover del grande baritono Leo Nucci al Reggio di Parma e al Comunale di Piacenza nel ruolo del Figaro rossiniano con regia di Beppe de Tomasi.

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