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Fumetto

Luis Garcia Duran

La parola al Maestro

coperina di SkorpioLuis Garcia Duran è nato nel 1946 e come molti altri disegnatori della sua generazione esordisce molto giovane, a 18 anni. Oltre che in Argentina, le sue opere sono conosciute in Inghilterra, in Spagna e soprattutto in Italia dove è stato per anni una delle colonne di Lanciostory e Skorpio. Ultimamente ha diradato la sua produzione di fumetti in favore di una massiccia produzione di copertine, alcune delle quali hanno avuto l’onore di essere raccolte nell’Eura Gallery allegato a Skorpio 37 del 2005, ma negli ultimi anni è stato comunque presente sulle riviste Eura con lavori di un certo respiro come Il mio nome è Libertad su Lanciostory 13-18 del 2007 o Yaqui su Skorpio 23-31 del 2008 (la prima è stata scritta dal fratello di Ricardo Barreiro, Enrique; della seconda è iniziata la ristampa su Euracomix dal settembre 2009).

Caso unico in tutta la storia dell’Eura Editoriale, una sua storia breve di 20 tavole (Missione in oriente) viene divisa in due parti su due numeri consecutivi di Skorpio in modo che quei numeri (l’8 e il 9 del 2001) non contengano alcun racconto autoconclusivo. In maniera inspiegabile, invece, sui primissimi numeri di Skorpio del 2009 sono apparsi in sequenza due suoi liberi a tema pugilistico (Un altro round e Ancora un k.o.) che costituiscono in realtà una medesima storia. A parte una frammentaria serie di domande presentata sulla rubrica Nuvolette dal n° 27 al n° 45 di Lanciostor y nel 1998 questa è la sua prima intervista italiana.

Luca Lorenzon (LL): Per cominciare, Maestro, ci piacerebbe sapere qualcosa di lei: quali sono le sue passioni, i suoi hobby, i suoi interessi. In una nota biografica pubblicata su un vecchio Euracomix si diceva che lei è cintura nera di karate.

Luis Garcia Durán (GD): Mi piace lo sport, sono stato nuotatore agonistico, ho fatto parte di squadre di basket e sono secondo Dan di karate (specialità Okinawense). Mia moglie Hilda è 5° Dan e anche nostra figlia Valeria lo pratica sin da piccola. Siamo sempre stati appassionati di arti marziali in famiglia. Quando posso viaggio fino in Patagonia e mi accampo sulla sponda di uno di quei laghi immensi di acqua limpida, per poi attraversarlo con il kayak. Hilda mi accompagna, ed è qualcosa che ci dà grande soddisfazione. Lo snorkeling è un’altra attività che mi diverte. Chiaramente non posso praticarlo abitualmente ma appena mi è possibile, di solito durante le vacanze, scelgo delle spiagge con un mare che permetta di farlo. Inoltre da un po’ di tempo gioco a tennis quasi ogni giorno. Per quel che riguarda gli hobby, non ne ho nessuno. Leggere prima di schiacciare un pisolino può essere considerato un hobby?

LL: Quando ha esordito nel mondo del fumetto?

GD: A diciotto anni ho pubblicato il mio primo lavoro sulla rivista Rayo Rojo.

LL: Facciamo un salto temporale e arriviamo a oggi: lei ha diradato parecchio la sua produzione di fumetti e si sta dedicando quasi esclusivamente alle copertine. Lavora solo per il mercato italiano o la sua produzione comprende anche opere che non sono giunte in Italia?

GD: È vero. La mia produzione negli ultimi anni è stata scarsa ma c’è un motivo. Da vari anni mi dedico alla pittura oltre che al fumetto: commissioni da parte di privati, inviti a mostre, collettive, personali, alcuni viaggi. Tutte cose che portano via tempo. Perché mi sono dedicato alla pittura? Per me era importante imparare bene il mestiere, dimostrare che posso essere un buon pittore e questo richiede del tempo: non voglio essere un pittore della domenica, in quel caso sì che sarebbe solo un hobby e niente di più. Anche se non sono ancora del tutto soddisfatto, almeno so di poterlo fare, e quindi lo faccio. Non è ancora una tappa conclusa ma la mia opera comincia ad avere una sua personalità ed il tempo giudicherà. Chiaramente il favore dei critici e dei collezionisti non si conquista facilmente, ancor meno in un paese con un mercato dell’arte molto circoscritto, ma non importa, io mi sento tranquillo: faccio quello che mi sento di fare e c’è almeno qualcuno che dice che il risultato non è male. Adesso sento che sta nuovamente tornando il momento del fumetto, so di dover dare ancora qualcosa e spero di poterlo fare.

LL: Ha svolto studi artistici o è un autodidatta? Oppure, come spesso succede, ha svolto il lavoro di assistente per qualche professionista già affermato o per uno studio? Forse ha frequentato anche lei la Escuela Panamericana de Arte come molti suoi colleghi…

GD: Ho svolto i miei primi studi artistici alla Mutualidad de Estudiantes y Egresados de Bellas Artes, dopodiché sono stato allievo di un grande artista di origini inglesi, Jean Josse, da cui ho imparato molto sul disegno della figura umana e, infine, ho frequentato anche la Escuela Panamericana: come professore ho avuto Daniel Haupt e come compagno di corso talentuoso e avanguardista ho avuto il geniale Lucho Olivera. Nello stesso corso c’era anche Gerardo Canelo. Non ho mai lavorato come assistente, ho disegnato fumetti da solo sin da subito.

LanciastoryLL: La domanda che le ho posto prima era anche finalizzata a sapere quali possono essere stati i suoi modelli e gli autori che l’hanno influenzata. Mi spiego: è evidente ancora oggi che Angel Fernandez abbia avuto Frank Robbins come ispirazione, così come Zanotto aveva Alex Raymond, i primi Muñoz e Durañona seguivano le orme di Alberto Breccia e una moltitudine di altri disegnatori copiavano Pratt. Le confesso che non conosco i suoi primi lavori (credo che quello più vecchio arrivato in Italia sia la storia breve Il Boss è morto pubblicata da Lanciostory nel 1976) e quindi non posso esprimermi al riguardo, ma sembra che Garcia Duran non abbia avuto alcun riferimento a cui ispirarsi o, meglio, a me è sembrato di ravvisare qualche influenza, però esterna al mondo del fumetto: ossia dalle stampe giapponesi, dal cinema e anche dalla moda visto che spesso i suoi personaggi erano tra quelli più eleganti, o comunque vestiti in maniera più realistica. Ho visto giusto o effettivamente anche lei a inizio carriera aveva un disegnatore a cui si ispirava?

GD: Quello che dici è corretto. Quasi tutti abbiamo un modello a cui ci ispiriamo, nel mio caso il mio preferito nei primi anni era Jorge Moliterni, un’artista con uno stile di disegno molto elegante. Quasi allo stesso livello nelle mie preferenze c’era Hugo Pratt. E poi, oltre il fumetto, Hokusai, Klimt, Leonardo, Schiele. Comunque queste influenze non determinarono mai una linea specifica a cui ho sottoposto la mia maniera di disegnare, ma di certo furono riferimenti o guide che occasionalmente ricompaiono. Il fatto che io non copiassi né seguissi lo stile di nessuno dei disegnatori della Columba fece tardare il mio ingresso come collaboratore in quella casa editrice. In realtà non lo facevo perché nessuno di quei disegnatori risvegliava in me una ammirazione tanto grande da diventare un imitatore del suo lavoro.

LL: Come avveniva la distribuzione del suo materiale in europa? Immagino che ci fossero delle agenzie o dei “syndicate” che lavoravano appositamente per questo, il che spiega perché alcuni suoi lavori sono stati pubblicati su riviste che non fossero Lanciostory e Skorpio.

GD: Il lavoro per l’Eura si faceva all’epoca tramite la mediazione di un agente, è possibile quindi che alcuni fumetti siano arrivati ad altri editori. (qui accanto vediamo infatti due esempi tratti da BLIZ enigmistica e L’Eternauta Junior)

LL: Mentre Enrique Breccia, Garcia Seijas e gli altri suoi colleghi argentini divennero subito delle star in Italia perché ci vennero fatti conoscere con delle serie lunghe, nel suo caso abbiamo dovuto aspettare il 1982 per vedere la sua prima, consistente saga ovvero Aquí, la Legión scritta da Robin Wood. All’epoca le storie di legionari erano abbastanza comuni, al pari di altri generi oggi quasi scomparsi (se non in versione “alternativa”) come il western, la guerra e le storie di vichinghi, però anche per l’epoca immagino che la scelta di Skorpio avesse destato qualche perplessità nei lettori visto che pochi anni prima si era conclusa la Legione Straniera di Salinas e Pedrazzini senza particolari entusiasmi. Invece l’Eura aveva visto giusto e Qui la Legione è ancora oggi ricordata con affetto dai lettori oltre ad essere stata ristampata in più occasioni (escludendo però il seguito ad opera di Beto Formento). Caso praticamente unico in Italia, vennero addirittura pubblicati gli episodi scritti da Armando Fernandez. Cosa si ricorda delle avventure di Max Chevalier e soci? (immagino che anche lei li ricordi con affetto visto che ne ha fatto un omaggio in un suo racconto auto conclusivo) Sa dirci con precisione quando venne pubblicato il primo episodio in Argentina e, quindi, come dobbiamo collocare la serie nel corpus delle opere di Wood?

tavola di Garcia DuranGD: Aquí, la Legión fu la mia prima serie, mi sommersi in quel mondo in maniera romantica, lessi le biografie di Mahoma, di Lawrence d’Arabia, ascoltavo musica araba; erano anni in cui nel mio dojo di karate ci allenavamo molto intensamente e dopo gli allenamenti i miei compagni parlavano delle avventure di Chevalier, Didier, Fonternac.

tavole di Gargia Duran

Si identificavano con spirito di cameratismo di quei personaggi. Qualcuno a tal punto da arruolarsi nella legione straniera. Non ricordo con precisione l’anno della prima pubblicazione, ma deve essere stato approssimativamente il 1974 o il 1975, perché in quegli anni a Buenos Aires volavano le pallottole, e questo sì che me lo ricordo.

LL: Aquí, la Legión fu la sua prima collaborazione con Wood o ci sono altre serie o miniserie precedenti?

GD: Fu la mia prima serie. Mi ero allontanato alcuni anni dal fumetto, avevo una piccola e promettente agenzia di pubblicità ma, purtroppo, durante uno dei repentini cambiamenti economici a cui ci ha abituato l’economia del mio paese ho dovuto chiuderla; allora tornai al fumetto. Non fu per nulla facile, i disegnatori della mia generazione erano professionisti già da parecchi anni mentre io nel frattempo correvo dietro a clienti che non pagavano.

LL: Ha qualche aneddoto in particolare da raccontarci sulla serie dei legionari?

GD: Non so se chiamarlo proprio aneddoto, comunque… alla Columba le serie venivano proposte dall’editore e so che Aquí, la Legión venne rifiutata da due sceneggiatori che ritenevano che la Legione fosse nient’altro che una truppa d’occupazione senza scrupoli. Io accettai il lavoro, per me fu un’opportunità. Dove altri vedevano ideologia io vedevo solo un fumetto d’avventura. Tempo dopo mi riferirono che era uno dei fumetti preferiti nei circoli degli ufficiali, ma al contempo veniva letta e apprezzata da molti giovani oppositori della dittatura. La politica si manifestava in tutti gli ambiti e il fumetto non poteva restarne al margine. Io non ero un militante politico, ingenuamente volevo solo disegnare.

LL: Nei primi anni ’80 l’Eura acquistò i fumetti della Columba perché l’agente che li riforniva di materiale Record (editrice dello Skorpio argentino) si comportava in maniera un po’ scorretta. Quindi l’arrivo e la conseguente “esplosione” di Wood in Italia sarebbe stata puramente casuale! Obiettivamente, non si può negare che D’Artagnan, El Tony e le altre riviste della Columba non fossero allo stesso livello di Skorpio se non altro per i pessimi colori tipografici che utilizzavano. Anche diversi autori di fumetti hanno usato toni piuttosto duri per descrivere la Columba, Carlos Trillo in particolar modo sembra detestarla. Lei che ricordi ha della Columba?

GD: È difficile capire la storia della Columba fuori dal contesto generale del paese. È la storia di quello che avrebbe dovuto essere e non fù; avevano talmente tanto potenziale negli autori che collaboravano con essa che avrebbero potuto portare quella impresa ad essere importante a livello internazionale. Le condizioni di lavoro erano complicate: avevamo un salario a pagina che veniva costantemente abbassato a causa dell’inflazione galoppante. A questo va aggiunto, ad esempio, che quando si stava producendo una serie di successo pagavano di più per ogni tavola prodotta ma, se aumentavamo la produzione o prendevamo qualche assistente per aiutarci a produrre di più, il lavoro perdeva di qualità, diventava impersonale. C’era anche la possibilità di lavorare come pazzi giorno e notte, ma il risultato alla fine era comunque mediocre. Allora alcuni colleghi si chiudevano in casa tutto il giorno a disegnare e, tra caffè, sigarette e inchiostro di china, quando arrivava la mattina seguente avevano un fumetto finito. Io ho provato a farlo qualche volta però non fumo, troppo caffè mi fa venire la gastrite e la cosa peggiore era comunque vedere pubblicato il risultato.

tavola di Garcia Duran

Ho anche provato con qualche assistente ma non funzionò: io non avevo uno stile molto definito e non ne venne fuori niente di qualità migliore. Bisognava essere dei buoni disegnatori affinché il lavoro si mantenesse su un livello accettabile. I grandi blocchi di testo (didascalie, baloon NDR) non permettevano una buona disposizione delle vignette, molte volte dovevamo ricorrere a un primo piano quando invece la situazione avrebbe richiesto un quadro d’insieme. Ma questo era impossibile, la quantità di testo non lo permetteva, vigeva il concetto per cui il fumetto doveva durare almeno fino alla prossima fermata del treno. La stampa e la carta erano molto scadenti e il colore si indicava sopra un foglio trasparente in modo che poi, in forma artigianale, si facessero le pellicole per la stampa. Tutto molto essenziale. I testi venivano scritti a macchina senza curarsi minimamente di che parte del disegno venisse coperta. Quando apparve la magnifica Skorpio fu come una boccata d’aria fresca, si adeguarono agli standard dell’epoca e si cominciò a produrre materiale più moderno. Ma la mia opinione resta che, pur con tutti i suoi difetti, la Columba permise a una enorme quantità di talenti di formarsi e di raggiungere la loro maturità artistica, cosa che è quasi impossibile da ottenere senza essere pubblicati in maniera regolare.

LL: Dopo la maxi-saga della legione, che nel frattempo era passata nelle mani di Beto Formento, in Italia di Garcia Duran abbiamo cominciato a vedere opere molto diverse per temi e atmosfere, scritte da un altro grande sceneggiatore, una vera colonna dell’Eura di quel periodo: Ricardo Barreiro. Leticia Gray e La Selvaggia ci introducono così un inedito Garcia Duran fantascientifico. Cosa può raccontarci della sua esperienza lavorativa con Barreiro? Immagino foste amici o comunque lavoravate bene insieme visto che la collaborazione sarebbe poi proseguita (con La Città 2, Taxi Driver, ecc.)

GD: In origine si chiamava Leticia Green. All’epoca io ero emigrato in Spagna esasperato dal fatto che gli agenti e le case editrici si tenessero i diritti del mio lavoro e gli originali, ma continuavo comunque a collaborare con la Columba e disegnavo Aquí, la Legión mentre prendevo contatti per piazzare i miei lavori in Europa. Vivevo a Marbella dove Robin Wood mi aveva generosamente messo a disposizione la sua casa per sistemarmi durante i primi tempi di permanenza in Spagna mentre lui era in giro per il mondo. Ma la tranquillità durò poco, ancora una volta l’instabilità economica del mio paese mi attaccava su tutti i fronti: quell’anno ci fu una svalutazione feroce e il prezzo che mi pagavano per pagina alla Columba era veramente irrisorio in Europa. Presi contatto con Fernando Mercurio e, dopo pochi giorni, trovai nella cassetta delle lettere la saga di Leticia Gray. Da lì cominciò la mia collaborazione con Ricardo come sceneggiatore ma non lo conobbi di persona se non dopo anni, già di ritorno in Argentina, quando gli chiesi di scrivermi una miniserie: Más alla de los Andes. Poi ne seguirono molte altre. Non fui amico di Barreiro, ma arrivai a stimarlo e apprezzarlo per quello che era: un grande sceneggiatore. Ricordo che all’epoca ero ancora insegnante di karate, e quando finivo gli allenamenti passavo dal minuscolo appartamento che Ricardo aveva nell’Avenida Directorio per ritirare le sceneggiature: la sua abitazione era un posto caotico, con il televisore acceso giorno e notte e dei cavi assurdi che spuntavano dal pavimento, avanzi di cibo da tutte le parti e i mobili perforati dai proiettili a causa dei suoi allenamenti di tiro con la carabina, cosa che terrorizzava i suoi vicini di casa. In quella casa ascoltavo i suoi monologhi interminabili con cui mi raccontava dei progetti geniali e dei personaggi che poi non scrisse mai. Mi parlava dei retroscena delle grandi cospirazioni internazionali e dei progressi scientifici che conosceva come se fosse del settore; tutto mescolato e di fretta. A volte era difficile seguire una tale enciclopedia vivente, mentre mi versava generosamente il vino in uno dei bicchieri più sporchi del mondo. Un gran creatore, una buona persona, ma non fui suo amico. Era impossibile, purtroppo.

LL: Che metodo aveva Ricardo Barreiro per scrivere una sceneggiatura o, perlomeno, quale usava con lei? Vedendo alcune tavole di Alcatena mi sono chiesto se effettivamente scrivesse una sceneggiatura vera e propria o se semplicemente raccontasse a voce la storia al disegnatore che poi metteva molto di suo.

GD: Ricevevo le sue sceneggiature scritte su lunghi rotoli di carta stampati da un vecchio computer. Computer che smetteva sempre di funzionare la notte prima che doveva consegnarmi la sceneggiatura. Erano pieni di disegni che a volte sviluppavano le informazioni e altre volte sembravano star lì semplicemente perché aveva avuto voglia di farli.

tavole di Garcia DuranLL: Sempre parlando di tecniche di sceneggiatura e ritornando a Robin Wood, noi lettori italiani abbiamo visto con stupore parte di una sua sceneggiatura per Kozakovich y Connors su Fumo di China 20bis Speciale Argentina. Era impressionante: sono riportati praticamente solo i dialoghi. Wood non è mai stato tenero coi disegnatori delle sue opere, arrivando a dire che il 90% delle volte sono stati deludenti. Sicuramente lei fa parte del restante 10% ma una così totale fiducia nel disegnatore è veramente impressionante, anche perché all’epoca Wood era in giro per il mondo, e non c’erano né internet né cellulari quindi sarà stato molto difficile creare il “concept” della serie nei tempi brevi richiesti dalla serialità popolare.

tavola di Garcia Duran

Robin Wood utilizzava davvero questo tipo di scrittura per scriverle le sceneggiature?

GD: In quelle sceneggiature non c’era che un’indicazione molto schematica di quello che sarebbe successo. Era nei dialoghi e nei testi, scritti in verticale, che si trovavano la maggior parte delle informazioni su quello che sarebbe accaduto nella storia. Per me era un metodo molto buono perché, avendo molta libertà, potevo far sentire la mia opinione, anche se solo dal punto di vista grafico, su alcuni argomenti che mi interessavano.

LL: Abbiamo introdotto Kozakovich y Connors, secondo me una serie bellissima (non a caso ristampata in varie occasioni): cosa può raccontarci di questa saga?

GD: Come ho detto prima, io avevo un contatto diretto con l’Eura e mi avevano dato la possibilità di presentare qualche progetto per delle serie. Era già da un po’ che avevo in mente un personaggio: sarebbe stato un pilota da caccia durante la fine della prima guerra mondiale. Immaginavo questo pilota dare l’estremo saluto, ubriaco, ai compagni della sua squadriglia nel cimitero dove erano stati sepolti. A partire da questo lugubre congedo il personaggio iniziava il suo viaggio nel mondo del primo dopoguerra. Proposi Robin come sceneggiatore della serie all’editore ma mi risposero che avevano già tutti i lavori di Wood che erano stati forniti dalla Columba. Ma non mi detti per vinto, viaggiai fino a Roma con un plot e qualche pagina di presentazione della storia; così il progetto mi venne approvato e potei fare la serie.

LL: Quindi Kozakovitch y Connors fu prodotta direttamente per l’Italia.

GD: Tutta la serie fu fatta direttamente per l’Italia (per stamparla l’Eura usava delle fotocopie, e infatti possiedo ancora tutte le tavole originali), solo in seguito venne pubblicata dalla Columba.

LL: Mi permetto di chiederle se è vera la leggenda secondo cui la serie è stata conclusa perché a forza di disegnare paesaggi innevati lei sentiva freddo davvero. In fondo se i protagonisti fossero partiti per il Messico come previsto il clima sarebbe cambiato, no?

GD: È proprio così: è una leggenda. Il linguaggio gestuale col quale mi piaceva lavorare in KyC sarebbe stato più facile da realizzare in un clima caldo, senza abiti pesanti. Sentivo di poter gestire meglio i personaggi nel deserto, che era dove io li avevo immaginati inizialmente, oltre al fatto che per i miei gusti la parte sulla rivoluzione bolscevica si era protratta per troppo tempo. Sì, posso aver detto che la neve della Russia mi aveva stufato.

LL: Dopo la saga dei due avventurieri, la successiva collaborazione con Robin Wood si concretizzò con un’altra serie d’ambientazione storica: Nan Hai. In quel periodo Wood lavorava già direttamente per l’Eura e difatti la serie venne pubblicata tutta di seguito su Lanciostory senza interruzioni. Cosa può dirci in merito a Nan Hai? Come avevo fatto notare su Fucine Mute 45 è qui che il suo stile si semplifica drasticamente: è stato un caso o l’ha scelto come omaggio alla grafica orientale?

GD: All’epoca lavoravo molto sulla sintesi. Ci sono soggetti che richiedono una particolare interpretazione, in cui lo stile del disegno si deve adattare alla storia. Questo processo è quasi inconscio per me: vedo ogni fumetto con un determinato tipo di tratto a inchiostro e cerco di farlo in quel modo. Per quel che riguarda la grafica orientale, sì, sono un ammiratore della sua estetica e quando posso la incorporo nel mio lavoro.

LL: Dopo Nan Hai non mi risulta che lei abbia più collaborato con Robin Wood. Mi sbaglio? Forse esistono altri fumetti della coppia inediti in Italia?

GD: Quella fu l’ultima serie. Wood voleva che io firmassi un contratto in cui lui diventava il rappresentante delle serie che facevamo insieme. Non mi sembrò una buona idea e così terminammo la nostra collaborazione. Sicuramente fu per questo che Nan Hai ebbe un finale chiuso.

LL: La seconda metà degli anni ’90 ha visto il Luis Garcia Duran fumettista impegnato come autore completo o disegnatore di miniserie scritte da altri. A parte quelle di Barreiro citate sopra, come La Città, mi ricordo di una serie molto strana, Sumatra, scritta da Bellagamba. Ricordo che la storia cominciava come una spy-story e poi procedendo diventava sempre più fantascientifica fino a cancellare tutto quello che era stato scritto prima per ricominciare come un post-atomico! Si trattava di una cosa voluta oppure Bellagamba si perse per strada? L’impressione finale era che la storia letta fino a quel momento fosse solo il prologo ad un’altra serie.

GD: Hector Bellagamba risiedeva negli Stati Uniti e ci venne l’idea di realizzare un prodotto che potesse interessare anche il mercato di quel paese approfittando del fatto che lui si trovava lì. Quando Sumatra venne pubblicata dalla Columba decisero di adattare completamente il testo: mi dissero che della serie a loro interessava solo il disegno, non la storia. Così cedetti i diritti dei miei disegni e l’unica cosa che rimase del testo fu il nome della protagonista. Però ci rimasi molto male, fu un errore accettare quell’adattamento: una storia che in origine era interessante diventò incomprensibile.

copertina di garcia DuranLL: Accanto alle miniserie scritte da altri, dicevamo, negli anni ’90 Lanciostory e Skorpi o propongono delle storie auto conclusive (“liberi” come vengono chiamati in gergo) di cui lei è l’autore completo. Solitamente quando un professionista che si era occupato solo di disegno decide di esordire nella scrittura i casi sono due: o dà libero sfogo alla voglia di raccontare quella particolare storia che aveva in mente da una vita (ripetendola all’infinito per 10 o più volumi…) oppure segue la sua ispirazione del momento confezionando storie pretenziose e poco comprensibili, non avendo ancora affinato gli strumenti professionali dello sceneggiatore. Lei realizza invece delle storie praticamente mai viste prima di allora all’Eura, in cui si mescolano elementi avventurosi con altri molto fantasiosi, il tutto pervaso da un piacevole senso di leggerezza (quando la storia non è proprio volutamente umoristica o grottesca), una specie di realismo magico a fumetti. Inoltre non si mette a scrivere saghe da 30 episodi, ma molto umilmente comincia dalla base, dal racconto breve, anche se ogni tanto qualche personaggio ritorna (vedi Quentin, il surreale assassino a pagamento). Io credo che questo stato di cose sia stato determinato da due fattori: il primo è che lei all’epoca stava accantonando il fumetto in favore dell’illustrazione e quindi si è dedicato a quelle storie con un certo distacco, il secondo è che (immagino) lei avesse già scritto qualche fumetto in precedenza — in effetti i testi di alcuni vecchi liberi sono di difficile attribuzione, ma ne riparleremo dopo. Dico bene?

GD: Le copertine sono un piacevole intermezzo tra una sceneggiatura e l’altra. Ho però un dubbio riguardo le sceneggiature che ho scritto io: non ho mai saputo come sono stati accolti dal pubblico. Vivo a migliaia di chilometri dall’Italia dove vengono pubblicati i miei fumetti e questo porta ad alcune difficoltà. Anche se sono cresciuto in un quartiere dove quasi tutti i miei amici erano figli di immigranti italiani e io ero conosciuto come “Lupi” (un soprannome che gli altri bambini avevavo abbreviato da “Lupichino” come mi aveva battezzato Benito, un camionista romano che viveva a fianco della mia casa), molte volte mi sono chiesto se il lettore di Lanciostory e Skorpio apprezzasse quello che scrivo e se lo divertisse. È vero, adoro scrivermi i testi, ma è sempre un’incognita non sapere come vengono accolti visto che mi manca un feedback con i lettori.

LL: Nello stesso periodo che abbiamo rievocato adesso lei comincia a usare il computer nella realizzazione delle tavole. Può dirci quali programmi usa? Passa le tavole disegnate allo scanner e le disegna direttamente con la tavoletta grafica?

GD: Uso Painter o Photoshop e solitamente uso lo scanner; non trovo la tavoletta grafica uno strumento piacevole con cui disegnare ma è molto efficace per i ritocchi. Ci tengo comunque a precisare che se non fosse per il supporto di mia figlia Valeria, che collabora con me per tutto quel che riguarda il computer, sicuramente non potrei utilizzare questo strumento in maniera accettabile.

LL: E prima di usare il computer quale tecnica impiegava? Il pennello, il pennino (magari il mitico Guillot) o entrambi?

GD: Ero solito passare a china tutti i disegni con pennelli numero uno o due e, per alcuni dettagli, a volte usavo il pennino. Il Guillot non l’ho mai trovato comodo. Negli ultimi tempi lavoro con il pennarello a china.

LL: Questo ovviamente per il bianco e nero. Ricordo però anche una storia favolosa del 1978 (arrivata su Lanciostory due anni dopo), Akira, realizzata interamente a colori senza però che il colore fosse solo il “riempitivo” dei disegni ma, anzi, assumeva una fondamentale importanza espressiva. Con quali tecniche l’aveva realizzata?

GD: Non ho mai visto Akira pubblicato. Sono contento che la ricordi. Usai tutto quello che avevo a portata di mano nel mio studio. Fu un lavoro sperimentale: ricordo di aver usato inchiostri colorati, l’acrilico, persino la tecnica del graffito. Fu un fumetto con il quale volevo raggiungere il massimo delle mie possibilità espressive ma, soprattutto, l’ho sentito come l’ultimo addio a mio padre che proprio in quei giorni morì.

LL: Immagino che Akira facesse parte di una serie commissionata a diversi autori dallo Skorpio argentino (in Italia è stata raggruppata sotto il nome collettivo Serie Special “Tuttocolore” ed è stata ristampata in inserto pochissimi anni dopo). A parte questo fumetto, però, i suoi unici altri esperimenti col colore che abbiamo visto in Italia sono state le storie brevi scritte da Wood per Mark 2000. Esiste forse altro materiale a colori che non abbiamo visto?

GD: A fumetti credo di no.

LL: Immagino che lei utilizzi gli acquerelli per le sue illustrazioni ma credo che ci sia anche un intervento successivo al computer (se non altro per inserire la firma). Mi sbaglio?

GD: Realizzo le mie illustrazioni con tempera all’uovo, olio, acquarello, matite e colori al computer. Adoro sperimentare. Come ho detto prima, quando si tratta di usare il computer lo faccio con l’aiuto di Valeria.

LL: Tra le altre copertine a colori, lei ha realizzato anche quelle per la seconda cantica di Detective Dante, un raro caso di collaborazione tra lo staff argentino e quello italiano che l’Eura ha “allevato” negli ultimi anni. Cosa può dirci di questa esperienza?

GD: Per me fu terribile. Nei mesi in cui mi diedero questo incarico ricevetti una diagnosi medica molto inquietante. Mentre mi facevano ogni tipo di analisi e finalmente mi operavano all’Ospedale Italiano di Buenos Aires, cercavo di fare il miglior lavoro possibile. Mi spiace di non aver potuto essere al top delle mie possibilità ma sono grato di essere ancora vivo per poter, magari in futuro, avere la possibilità di ripetere l’esperienza.

LL: Può darci qualche anticipazione sui suoi progetti futuri?

GD: Sono al lavoro su due serie: Yaqui e Quentin. Però, stavolta, per poter mantenere una maggiore continuità nella produzione, avrò la collaborazione di Gustavo Schimpp ai testi.

tavola di Garcia Duran

LL: Per finire vorrei soddisfare se possibile una mia curiosità: sa dirmi chi sceneggiò la storia apparsa in Italia col titolo Il Fiume dell’Eternità? Si trattava praticamente un lungo flusso di coscienza, qualcosa di veramente rivoluzionario soprattutto se consideriamo l’epoca della sua realizzazione.

GD: Ricordo che A. Scutti mi consegnò una sceneggiatura appena arrivata dall’Italia e mi chiese di farla bene. Purtroppo il mio stile all’epoca non era ancora maturo e credo che non ne sia venuto fuori un buon lavoro. Quindi approfitto dell’occasione dopo tanti anni per scusarmi con lo sceneggiatore, il mio amico Sergio Loss. Dovremmo provare a lavorare insieme nuovamente.

[1] Alcuni dei quadri di Luis Garcia Duran si possono ammirare sul suo blog www.garciaduran.blogspot.com
[2] La Escuela Panamericana de Arte, già Escuela de Arte de Alex Raymond, è l’istituto presso cui si sono formati moltissimi disegnatori argentini; vantava tra gli insegnanti anche Hugo Pratt e Alberto Breccia.
[3] 1930, disegnatore conosciuto in Italia per Big Norman e Larrigan sulle riviste dell’Eura oltre che per una sporadica apparizione di Cayena sul Sgt. Kirk di Ivaldi.
[4] Rottami, su Lanciostory n° 12 del 1994.
[5] Lo Skorpio argentino, nato nel 1974, pubblicava Corto Maltese e presentava sin dalla copertina gli autori più importanti presenti in ogni numero, pratica che in Italia arriverà solo con le riviste d’autore degli anni ’80 e che Lanciostory e Skorpio adotteranno regolarmente solo a partire da metà anni ’80.
[6] La seconda parte di questo fumetto è stata pubblicata su Skorpio senza indicare che la miniserie era conclusa col sesto episodio ma rimandando ad un futuro “prossimo episodio” che ovviamente non vide mai la luce perchè la storia era appunto conclusa.
[7] Direttore responsabile dei settimanali Eura prima della scissione tra Eura e Lancio del 1991.
[8] Al di là delle Ande, presentata su Skorpio a partire dal numero 50 del 1992.
[9] Come testimoniato anche dal fatto che Luis Garcia Duran fu scelto per l’incombenza di realizzare i riempitivi a colori per la rivista Mark 2000 edita in Spagna dallo stesso Robin Wood.
[10] Nonostante l’alta qualità della serie e il fatto (quasi unico per Wood!) che avesse un finale vero e proprio, Nan Hai non è stata purtroppo ancora ristampata.
[11] Criptoserie con protagonista un killer a pagamento di cui si sono già visti alcuni episodi sparsi nel corso degli anni.
[12] Alfredo Scutti, direttore dello Skorpio argentino. Compare in un cameo nella terza parte de L’Eternauta scritta da Alberto Ongaro.

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