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Palcoscenico

Finalmente Godot

Scriveva Carlo Fruttero nel 1956, a tre anni dall’uscita da questo capolavoro teatrale assoluto: “Inesistente l’intreccio, soppressa ogni linea di narrazione, di sviluppo, non viene concesso al pubblico il minimo stimolo a voltare la pagina – a cominciare dalla pagina stessa”.

Ugo Pagliai ed Eros Pagni interpretano Estragone e Vladimiro

In Aspettando Godot, Beckett sembra essersi preso gioco del pubblico, non lo prende in considerazione, impone una successione di scene e inquadrature prive di una qualche successione temporale, tutto sembra statico come una colata di catrame nel deserto. I personaggi sono soltanto quattro e sono concepiti in coppie: Estragone dialoga con Vladimiro, mentre Pozzo con Lucky. Nessuno di questi personaggi riesce nel percorso di trasformazione sociale o psicologica che caratterizza il teatro del Novecento. Però, nonostante tutte queste assenze, Aspettando Godot fa ridere. Non sono risate a crepapelle, perché la storia è priva di agganci socio-politici, ma si ride di cuore, ogni volta che i personaggi rivelano quella loro sfasatura rispetto alla realtà che lo spettatore porta con sé in teatro.

Come Charlot, che fa ballare la mollica di pane o che si allaccia le scarpe con i guantoni da boxe, Estragone e Vladimiro, singolarmente vestiti alla Charlot, appunto, si comportano con miope disinvoltura rispetto a un tempo e uno spazio scanditi solo dalla presenza dell’unico oggetto di scena, ovvero un albero, il cui cadere delle foglie dovrebbe rappresentare l’unico riferimento allo scorrere delle stagioni. Il personaggio di Chaplin, tuttavia, è un comico raffinato, pieno di sfumature emotive, mentre i protagonisti del teatro di Beckett virano piuttosto sul piano metafisico.

Ugo Pagliai ed Eros PagniI fatti sono semplici: Vladimiro ed Estragone sono due mendicanti in attesa di un certo indefinito e indefinibile Godot, che sembrerebbe in grado di far loro un qualche servizio. I due non hanno certezza né del luogo né del giorno dell’appuntamento, non avendo mai visto di persona Godot. Un ragazzo arriva con un messaggio di Godot: Godot non arriverà questa sera ma sicuramente domani sera. Questo provoca un tentativo di suicidio andato a cattivo fine. Sulla scena riappaiono Pozzo e Lucky, il secondo al guinzaglio del primo, un ricco castellano. Nel finale i due subiranno una paradossale sorte, diventando rispettivamente muto e stremato, e la scena si chiude con Vladimiro ed Estragone ancora in attesa di Godot.

Per la regia di Marco Sciaccaluga, con due eccellenti interpreti del teatro italiano, ovvero Ugo Pagliai ed Eros Pagni nei ruoli di Estragone e Vladimiro, il Teatro Stabile di Genova inaugura al meglio la stagione 2009/2010, proponendo la più classica tra le opere di Beckett, in una versione particolarmente aderente al testo originale e costretta al minimo dispendio scenografico possibile. La scelta di Sciaccaluga appare azzeccata e ci restituisce un Godot privo di fronzoli.

Un interessante gioco di illuminotecnica immerge il pubblico in quell’atmosfera quasi soporifera, ma sicuramente necessaria per delineare i margini d’azione in cui Pagliai e Pagni giocano d’astuzia utilizzando al meglio tutto il loro repertorio espressivo. Pagliai è un Estragone forse eccessivo in certi toni, ma sicuramente ricco di quelle personalità e umanità non estranee ai personaggi di Beckett. Eros Pagni è abile interprete delle debolezze di Vladimiro, delle sue insofferenze e della sua eterna precarietà emotiva.

Superlativo, a nostro giudizio, Gianluca Gobbi. Il suo Pozzo è incalzante, rasenta un drugo di kubrickiana memoria, mantiene vivo nello spettatore il rapporto di sudditanza psicologica ed emotiva di Lucky, legato a una corda che viene citata spesso nel testo. Gobbi esce di scena con le ultime battute che Beckett affida a Pozzo, in parte risolvendo l’enigma dell’attesa, quando Pozzo si rivolge a Vladimiro dicendo: “…un giorno siamo nati, un giorno moriremo, lo stesso giorno, lo stesso istante, non vi basta?”, in questo modo chiudendo la ricerca di un Godot che non verrà mai. Ottime le interpretazioni di Roberto Serpi e Alice Arcuri, rispettivamente Lucky e il ragazzo che annuncerà il ritardo di Godot, in un teatro gremito dalla prima all’ultima replica.

Una scena dello spettacolo

Il Novecento e non solo al Teatro Stabile di Genova

Stiamo seguendo parte della programmazione del Teatro Stabile di Genova, che quest´anno si pone l´obiettivo di raccontare il Novecento attraverso tre grandi autori e tre grandi commedie teatrali. Aspettando Godot, di Samuel Beckett, tragicommedia costruita sulla vana attesa di qualcuno; Esuli, di James Joyce, storia di un triangolo amoroso dove amicizia e amore hanno uguale dignità; Il dolore di Marguerite Duras, romanzo tradotto in testo teatrale. Oltre a questi tre spettacoli una coproduzione importante che ha visto impegnata la Compagnia Gank, cresciuta all´interno dello Stabile, che ha presentato La bottega del Caffè di Carlo Goldoni. Accanto a questi, autori che vanno da Rostand a Camilleri, da Cechov a Dürrenmatt, da Soldati a Shakespeare, a Gaber, a Kushner, a Pirandello, a De Filippo; interpretati da attori conosciuti al grande pubblico come Alessandro Gassman, Toni Servillo, Umberto Orsini, Galatea Ranzi, Giulio Bosetti, Massimo Popolizio, Chiara Noschese, Leo Gullotta, Luca Barbareschi, Sebastiano Lo Monaco, Luigi De Filippo, Geppy Gleijeses, Pino Micol e Moni Ovadia. In questo numero di Fucine Mute recensiamo Aspettando Godot di Samuel Beckett, Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand e Zio Vanja di Anton Cechov.

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