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Scrittura

Bruce Sterling

Sterling a ruota libera

Beatrice Biggio (BB): So che scrivi su diversi blog, sia per riviste molto note, come Wired sia per tuo interesse personale, che cosa ti attrae di più di questo mondo? Trovi che sia un modo per trovare contatti, per condividere col mondo le tue opinioni e le tue idee?

Bruce Sterling

Bruce Sterling (BS): Sono finito nel mondo dei blog quasi per caso, in realtà. Ho sempre lavorato molto sulle reti e nell’elettronica, ero editorialista della rivista Wired a San Francisco, e ad un certo punto mi dissero che c’era l’idea di inaugurare una serie di weblog e chiesero se sarei stato interessato ad essere il pioniere di questa iniziativa. Io dissi: “Ok, sicuro, perché no? Non l’ho mai fatto, proviamo”. A quei tempi avevo già un blog, ma era qualcosa che si rivolgeva più ad un pubblico di massa, direi. Il mio approccio è sempre stato idiosincratico, poiché sono un romanziere, in realtà la mia vera passione è scriver racconti, quindi non sono certo un blogger puro. Ho capito nel tempo che c’è un sacco di gente in giro più adatta di me ad usare quel tipo di mezzo di comunicazione, che io in sostanza in quel campo sono un volenteroso dilettante. Nonostante questo mi sono abituato ad usarlo, è qualcosa che faccio invece di tenere un diario da scrittore, cosa che comunque faccio. Ma non sono un blogger così efficace, e la cosa mi disturba abbastanza, ci dedico molto tempo e comunque non sono molto bravo.

BB: Come mai non credi di essere efficace come blogger? Ho letto da qualche parte che hai smesso di scrivere su un blog perché volevi che fosse una continua e costante espressione di creatività, e che se non riuscivi a tenere uno standard così alto ogni giorno, tanto valeva non farlo. È vero?

BS: Vedi, è la differenza che passa fra un blog e una rivista web. Se qualcuno dichiara di realizzare una rivista web, il loro prodotto dovrebbe avere la struttura istituzionale di una rivista cartacea. Dovrebbero esserci delle sezioni, così come sulla carta, un target di pubblico, un editore, qualcuno che si occupi di concretizzare una certa visione, della pubblicità mirata al target prescelto, eccetera. Io credo che non sia traducibile in modo equivalente in rete, perché le riviste cartacee non sono interattive. La rete, possiamo dire, ha fagocitato moltissime riviste, ci sono riviste che muoiono in continuazione in rete, e lo stesso accade ai quotidiani. E, in misura minore, sebbene non così irrilevante, ciò accade anche per i romanzi e i racconti.

La cosa non ha tanto a che vedere con noi che scriviamo, ma piuttosto con l’infrastruttura stessa del mezzo, con le modalità di produzione e distribuzione delle informazioni, in altre parole si tratta di chi può parlare con chi e a quali condizioni. Perciò ho deciso di basare il mio blog solo sulle cose che mi piace fare, che mi interessano, e che mi divertono. Ma non è un gran bel blog, insomma. È come se a qualcuno venisse data in mano una telecamera e questa persona decidesse che non la userà per fare un film ma che, guarda un po’, vuole riprendere solo cose che secondo lei sono interessanti. Non so, un gatto, o la sua cena, qualsiasi cosa pensi sia bella da riprendere. Ecco, quello mica è cinema!

BB: Quale pensi sia l’impatto delle nuove tecnologie oggi, e cosa credi accadrà nel futuro, dato che hai parlato di una probabile scomparsa dei mezzi di comunicazione su carta?

Bruce Sterling

BS: Oh, be’… Mi inviti a nozze! L’impatto delle tecnologie è qualcosa di molto diverso dalla nostra consapevolezza di quello stesso impatto. Il vero impatto delle tecnologie è quello che noi non vediamo, come nel caso dell’acqua corrente. L’acqua corrente è una tecnologia importantissima, ma nessuno chiama questa cosa “tecnologia”. Ti rendi conto che l’acqua corrente esiste solo quando apri un rubinetto e l’acqua non c’è, e in quel momento quello, piuttosto che un problema tecnico, diventa “un’emergenza domestica”. Ora, le possibilità che la gente apra il rubinetto e l’acqua non ci sia sono molto alte, e stanno aumentano di anno in anno. Persino in Italia, che è una zona del pianeta piuttosto ben irrigata, e dove il clima è relativamente adeguato, be’, anche qui, non c’è abbastanza neve. Non c’è più neve sulle Alpi, ed è da lì che viene la vostra acqua. Se apri il rubinetto e poi segui le tubazioni, ecco che alla fine, all’origine c’è questo ghiacciaio dove la neve si solidifica d’inverno e poi si scioglie in primavera, poi il fiume si riempie d’acqua… La gente non lo riconosce come un problema tecnico, ma dovrebbe farlo.

Si preferisce parlare dell’I-Phone, di genetica, di robotica o di intelligenze artificiali. Ma se ti metti a parlare con chi ha costruito quel sistema, scopri che si tratta di qualcosa di altamente tecnologico. Tipo: “Abbiamo costruito questa diga qui, adesso dobbiamo costruire una nuova diga, dovremmo fare questo e quello”. Per esempio, ho sentito a Torino che adesso vogliono costruire una nuova diga sul Po. Perché stanno costruendo una nuova diga? Perché sanno che i ghiacciai si stanno esaurendo, e quello sarà il loro deposito!

Se si vuole che l’acqua esca dai rubinetti, insomma, bisogna che il Po diventi un lago, e far diventare il Po un lago è una cosa grossa. Insomma, è una rivoluzione, no? Sai, ci saranno pesci diversi, uccelli diversi… insomma non sarà più un fiume, ma una specie di grosso stagno, un deposito appunto… Ecco, questa è tecnologia anche se la gente non la riconosce come tale e non ne parla, ma è importantissima per la vita dell’uomo. Rendere visibile l’invisibile è una parte fondamentale del lavoro di uno scrittore di fantascienza.

BB: È quello che stai facendo adesso, intendo scrivere di questo problema?

BS: In realtà è quello che ho fatto per dieci anni fino a un anno fa, ossia fare azioni incursive e problematizzare il cambiamento del clima e le varie soluzioni per riuscire a fermarlo. Ma l’argomento è ormai talmente diffuso e main-stream che ho perso interesse a parlarne. Non è qualcosa su cui si può stare a discettare, è ovvio agli occhi di tutti…

BB: È diventato “un’emergenza domestica”?

BS: È un disastro in corso, ed è destinato a crescere sempre di più. A parte i negazionisti di professione, esistono reali motivazioni economiche per affermare che non stia accadendo davvero, è abbastanza ovvio. I presidenti dei vari Stati lo sanno, lo sanno i militari, non c’è niente di dubbio in questo fenomeno. È una realtà consolidata.

BB: Hai vissuto fuori dagli Stati Uniti per gran parte della tua vita. È stata una scelta o semplicemente la tua vita ti ha portato in giro per il mondo? E come mai hai scelto proprio quei luoghi, quelli in cui poi hai deciso di vivere, o è stato sempre il caso a scegliere?

Bruce SterlingBS: Diciamo che le mie origini affondano nell’industria del petrolio, quindi da giovane, diciamo dai quindici ai diciotto anni ho viaggiato diverse volte intorno al mondo. Ed è un tratto comune a molti scrittori di fantascienza, è una caratteristica tipica per molti di noi, quella di avere esperienze multiculturali. In una situazione del genere, non si fa altro che estrarre la matrice della realtà di ogni giorno per trasporla in un altro contesto. Se sei abbastanza giovane, capisci che ci sono altri stili di vita e poi, quando ti reintroduci nel tuo contesto di origine, realizzi che molte delle cose che consideravi attendibili sono in realtà del tutto opinabili.

Quel periodo per me fu molto proficuo ma allo stesso tempo anche traumatico, perciò quando tornai negli Stati Uniti ero propenso a rimanere fermo in un unico posto. E così feci, mi risistemai in un contesto alquanto borghese e provinciale, ad Austin, in Texas, e lì rimasi per 30 anni. E poi divenni molto irrequieto, esattamente come mio padre quando si sradicò dal Texas e iniziò a viaggiare per il mondo portandomi in giro con lui. Non capivo come mai non riuscisse a stare fermo in un posto, ma adesso riesco a capire esattamente che cosa lo motivasse.

Alla fine si stancò, decise di fermarsi e la nostra vita divenne molto stabile. Io però avevo questa sensazione che ci fosse qualcosa ad aspettarmi là fuori, non mi sentivo a posto. Desideravo davvero muovermi, e adesso sono veramente felice di essere “mobile”, c’è qualcosa di appagante in questo, mi impedisce di annoiarmi ed è una costante lezione su quanto poco io sappia, che è una cosa utilissima per un uomo di mezza età. Io insegno molto, la gente mi considera un tuttologo, sono un esperto in alcuni campi… C’è la tentazione di incrociare le braccia e dire: “Ora ho tutte le risposte”, la qual cosa sarebbe fatale, la morte dell’arte, insomma.

BB: A proposito di conoscere nuove mete, ti ho sentito parlare della Sardegna. Al momento vivi in Italia e hai avuto modo di guardarti un po’ intorno… Cosa ti ha colpito della Sardegna, in particolare, che cos’ha di così particolare?

BS: È l’Italia che è un paese molto strano. L’Italia ha una società che è difficile capire, ho viaggiato molto e non ho avuto problemi ad esempio nel capire la gente dei Balcani. Persino i giapponesi, che si dice siano davvero inscrutabili, non mi hanno creato difficoltà. Ho molti amici in Giappone, i miei lavori sono conosciuti e apprezzati lì. L’Italia invece è davvero molto misteriosa per me, e ci sono parti dell’Italia misteriose anche per gli stessi italiani, parti che non riescono ad afferrare, e quei posti sono in realtà la chiave di tutto. E per me questa è una cosa incredibilmente affascinante. Gli italiani sono un po’ sprezzanti nei confronti dei connazionali, hanno una specie di lealtà regionalistica tra loro e si raccontano spesso frottole. A Torino i torinesi disprezzano i milanesi, i milanesi è come se facessero “pat pat” sulla testa ai torinesi, li trattano con quella che chiamerei una “tolleranza repressiva”, come dicessero: “Ah, sì, quella loro piccola città così carina, dove non succede niente…”.

Bruce Sterling

I sardi sono molto strani, sai, un po’ come i corsi per i francesi. Sono stato in Sardegna per qualche giorno perché ho partecipato ad un evento che riguardava l’architettura. Se vivi a Torino per un po’ di tempo, capisci che Torino era in realtà la capitale del regno di Sardegna, che quel territorio era tutto sabaudo. Vi fu un periodo in cui Torino fu rimessa a nuovo da Napoleone, che arrivò e fece costruire nuovi ponti eccetera… Ma quando arrivò, il governo sabaudo si rifugiò in Sardegna, e dopo diciassette anni ritornò al potere. Senza aver dimenticato niente o imparato niente.
Quando vai in Sardegna, conoscendo bene il Piemonte, ti sembra quasi di stare in una sorta di misterioso quartier generale del culto sabaudo, una specie di rifugio antiatomico off-shore dei piemontesi. Ci sono molte cose là che ti sono familiari, come l’architettura barocca e le solite agiografie di sconosciuti principi e principesse di Savoia…

Però ci sono anche le palme e… Non so, c’è una cultura isolana, là, la gente è orgogliosa di essere sarda e… sono come rinchiusi nella loro piccola bottiglia. C’è un’atmosfera da Isola di Pasqua, quasi. È come stare alle Galapagos. Mi piacerebbe davvero passarci più tempo. Non c’è niente di eccitante, non succede quasi niente da quelle parti, niente che io abbia potuto notare. C’è un’azienda che fa qualcosa di tecnologico, l’unica realtà che mi sia sembrata vagamente interessante. Ma, per quel che riguarda il mistero che circonda l’Italia, ecco, quello è un posto davvero indecifrabile. Fabrizio De André c’è andato, per esempio. Perché? E non solo c’è andato, c’è rimasto. Perché? Perché ha scritto delle canzoni sui sardi, sull’isola?

BB: È stato anche rapito, se è per questo, ed è rimasto comunque…

BS: Infatti… E poi c’è pure morto, lì, Cristo! Insomma, fare una puntatina è comprensibile, ma… C’è questo famosissimo cantautore, un enigmatico anarchico genovese che… insomma, io credo che l’isola gli abbia parlato in qualche modo, gli dicesse qualcosa d’importante. Credo sia rimasto lì per continuare ad essere un artista, per non trasformarsi in una popstar o in un fenomeno televisivo, in un ospite di quiz o reality. Doveva farlo per essere il vero De Andrè.
Lui è un personaggio incredibilmente interessante. Perché ha dovuto fare questa scelta tattica dato che era un artista italiano in piena attività? Non lo so, ma sicuramente non era uno stupido. Lo ha fatto con uno scopo, per qualche ragione precisa. Lui sapeva. Lui sapeva che la cosa lo avrebbe aiutato, gli sarebbe servita. Non capisco.

BB: Forse ha qualcosa a che fare con il suo essere anarchico…

Bruce SterlingBS: Si dice questo di lui, è vero, c’è una tendenza a connotarlo politicamente, ma non era un politico, era un artista, non si è certo mai candidato per una carica pubblica. Certo, frequentava degli anarchici, ma non era più anarchico di quanto lo sia io.

BB: Credi che l’anarchia abbia a che vedere solo con la politica, oppure ha a che fare anche con l’arte?

BS: Penso che l’anarchia abbia molto a che fare col risentimento, una sorta di ribellione senza confini contro qualunque imposizione o regola di un’autorità “aliena”. Posso capire perché un cantautore abbia voluto prendere una posizione di quel tipo, è come lo “Scostati dal sole” detto da Diogene. Penso sia una cosa molto anarchica da dire, un po’ come rispondere a un’affermazione del tipo: “Sono Alessandro, conquistatore del mondo, portami rispetto” dicendo “Ma vattene!”. Penso sia una risposta naturale, ma non molto saggia politicamente.

Non vorresti Fabrizio DÈ André come sindaco della tua città, sarebbe una sorta di catastrofe. Se invece lui sta in una fattoria in Sardegna a scrivere canzoni, quella è una condizione vincente! (ride, ndr) In un certo senso, penso sia sbagliato essere troppo analitici o ideologici riguardo a una situazione come quella. L’Italia non è un paese così fortemente ideologico, la gente parla sempre di sistema e sistematizzazioni, e se ne viene fuori con quesiti e si divide in fazioni ideologiche in relazione a qualsiasi cosa stia facendo, ma niente di tutto questo è veramente sentito.

BB: Questo potrebbe secondo te spiegare la nostra attuale situazione politica?

BS: La vostra situazione politica non è mai stata buona, non è mai esistita una buona situazione politica italiana. Normalmente, la situazione politica italiana dura circa vent’anni, e poi qualcuno inizia a sparare e le cose vanno a pezzi. Ciononostante, avete una situazione politica ottima per i vostri normali standard, visto che lo standard italiano normale è quello di venire occupati da qualche altra nazione che brucia i vostri castelli e vi ruba i quadri. Cose che succedevano più o meno dal ‘400 al 1861. Un periodo in cui nessuno vi bombarda, nessuno vi invade, molti anziani hanno tutta l’assistenza pubblica necessaria… Queste sono circostanze politiche straordinarie, non gravate dalla disperazione e dalle emozioni.

BB: A cosa stai lavorando al momento?

BS: Vorrei cercare di scrivere un libro adesso, un altro romanzo, e sto provando a viaggiare di meno per avere il tempo di scriverlo. Non ci sto lavorando al momento, però. In questo periodo di intensa crisi economica c’era poco da parlare con gli editori, stavano andando tutti in bancarotta! (ride, ndr) Ma ora le cose sembrano essersi stabilizzate un po’, e adesso il mio desiderio più forte è di scrivere dei testi lunghi.

Quello che ho fatto più di recente, l’ultima cosa pubblicata, è un’intervista con una donna che vive sulla Stazione Spaziale Internazionale. Ho collaborato con una rivista di design e architettura, Dwell, negli Stati Uniti, e mi hanno commissionato un articolo sulla Stazione Spaziale Internazionale come posto in cui vivere. Ho contattato questa donna, che viveva sulla Stazione già da tre mesi, e l’ho intervistata su che tipo di casa è la Stazione Spaziale. Come ci si vive, che odore ha, che faccende domestiche ci sono da fare, cosa va migliorato.. Dovrebbe già essere online, questo dialogo tra me e Nicole Stott sulla realtà domestica dello spazio. Lei dovrebbe rientrare a terra a breve, forse è ancora sullo shuttle, adesso, forse l’atterraggio è proprio previsto per domani. Questo è il tipo di cose a cui mi interesso adesso.

Bruce SterlingPer uno scrittore di fantascienza, parlare di viaggi nello spazio era tradizionalmente qualcosa che apparteneva al mondo del fantastico, distante, una cosa astratta e lontana, connotata nell’immaginario da effetti speciali piuttosto finti e spettacolari, ma conoscere davvero degli astronauti, seguirli nella loro routine, sentirsi dire per esempio: “Ho fatto un prelievo di sangue”, “Sto facendo ginnastica” o “Oggi c’è una puzza qua dentro…” forse non è molto fantascientifico, ma a me piace molto.
Voglio andare là, insomma, vivere con loro, rovistare nelle loro tasche, per così dire. Non si tratta più di immaginarli come si immaginano gli elfi, ad esempio, o altre creature fantastiche, ma di cercare di riportarli a terra, diciamo, insomma di introiettare il concetto, e quindi capirlo.

BB: Questo si ricollega in qualche modo credo anche al tuo stile di scrittura, secondo me ad arte piatto e diretto, che convoglia perfettamente la banale semplicità della vita ma, proprio attraverso questo scarto, comunicandone la profondità e la complessità. Uno dei libri che più mi sono piaciuti è proprio Kiosk, il che mi riporta a quando hai parlato dei Balcani. Il libro infatti è ambientato lì, e qui siamo in una zona di confine con quelle terre…

BS: Certo. Puoi ordinare le palacinke e la plieskavitza qui… siamo a Trst, la città ombra di Trieste!

BB: Sì, mi interessa sapere quanto hai trasporto nel libro delle tue esperienze in quei Paesi.

BS: Nella mia vita ho vissuto in tre città, ho diviso il mio tempo fra Austin, Torino e Belgrado. Sono molto interessato ai Balcani, ovviamente, perché mia moglie è jugoslava, è una “dell’89”, una dissidente politica dell’Europa dell’Est. Da americani si ha la tendenza ad avere una visione romantica dei dissidenti politici dell’Europa dell’Est… fino a quando non incontri tua moglie e quindi cominci ad entrare nella vita quotidiana di quel Paese.

Ciò che descrivi quando parli di Kiosk è quello che nei circoli cyberpunk chiamiamo “Hi-tech low life”, che è una posa retorica intenzionale, ovvero una manovra deliberatamente trasferita sulla pagina in maniera tale da portare il lettore lontano dai normali canoni di comprensione del significato di una determinata situazione. Si può fare anche Low life Hi-Tech, ma funziona meglio nell’altro senso.

Bruce SterlingDiciamo che hai una scatola magica come quella descritta in Kiosk, il “fabbricatore”. Potresti scrivere un articolo su un gruppo di autorità governative balcaniche del ministero della sanità o del dipartimento d’ingegneria che decidono di introdurre questo fabbricatore nel settore privato, potrebbero decidere di farlo fare ai russi, per esempio. Oppure potresti decidere di parlare di un sordido mercante di strada, dal passato burrascoso, che ottiene l’oggetto per caso perché è stato rubato.
Io sono in grado di scrivere tutt’e due le cose, che sono entrambe valide, e possiamo anche dire che la prima sarebbe forse la scelta migliore per il pubblico, perché è più plausibile e più semplice per loro per capire il modo in cui i governi si occupano delle nuove tecnologie, che è un processo molto complicato.

Quello che invece davvero funziona sulla pagina è, come dire, mettersi addosso il cappotto di questo modestissimo ma piuttosto misterioso commerciante dei Balcani, questo tizio, insomma, un personaggio che non viene valorizzato in nessun modo, non è un eroe forzuto della fantascienza, non ha super poteri. Quello che ha sono le caratteristiche etniche e i valori morali. Si scopre nel libro che si tratta di un uomo che porta avanti una sua etica, e questo è il segreto di tutta una serie di azioni che compie. Lo fa per mantenere la sua dignità.

BB: Puoi raccontarmi qualcosa sul festival, su com’è stata la tua esperienza di Presidente della giuria del Science Plus Fiction? Lo rifaresti?

BS: È stato un piacere essere qui a Trieste, sono rimasto colpito da come sia stato così ben organizzato. Non partecipo spesso a festival cinematografici, solitamente partecipo a festival sui nuovi media o sul web. Non sono un cineasta, non scrivo soggetti o sceneggiature. La fantascienza americana domina culturalmente, soprattutto il cinema di fantascienza. È quasi inevitabile. Ci sono tonnellate di roba su Spiderman, Batman e di recente si è scatenato in tutto il mondo il fenomeno delle ragazzine adolescenti fanatiche della saga di Twilight…

Non mi piace molto il cinema fantastico commerciale americano, non lo trovo per niente interessante, non mollerei tutto per andare a vedermi Spiderman 3. Invece, per esempio, i film dell’Europa dell’Est degli anni ’70-’80, mi interessano parecchio, più di film che sono puri esercizi di tecnica. È stato anche interessante il fatto che io abbia potuto vedere quest’anno molti lavori che hanno utilizzato i più innovativi metodi di post-produzione e di compositing. Mi interessano i media come mezzi per mettere insieme immagini e suoni piuttosto che il cinema come mezzo per raccontare una storia.

Ad esempio Goemon, che è chiaramente un film contemporaneo e innovativo sui samurai, l’ho trovato davvero interessantissimo. Non mi è piaciuto tanto in quanto film, ma piuttosto come lavoro di un gruppo di professionisti che hanno cercato di inserire nuovissimi effetti speciali in un contesto storico, in maniera pionieristica.
Sono felice di averlo visto, mi ha fornito risposte su quello che ci attende nel futuro, e mi ha fatto capire meglio il cinema fantastico, in particolare quello europeo, meglio di quanto non lo capissi prima. Sono felice di aver imparato delle cose nuove, questo mi fa bene. Mi fa bene vedere cose di cui so così poco.

BB: Sicuramente ti viene chiesto spessissimo di parlare del cyberpunk, praticamente una tua creatura. Che cosa dici adesso a chi ti fa domande su quest’argomento? Sta succedendo qualcosa di nuovo nel cyberpunk?

Bruce SterlingBS: Oh, certo. Succedono tonnellate di cose nuove, solitamente dico ai giornalisti di visitare il mio blog per farsi un’idea. Alcuni lo fanno, altri no. Io stesso sono un giornalista, e faccio quello che si potrebbe chiamare “trendspotting”, ovvero osservare e far conoscere nuove tendenze. C’è un sacco di roba in giro veramente molto strana, è molto più semplice ora fare questo genere di cose rispetto a prima.
Sono stato un giornalista scientifico per un certo periodo, e allora era molto difficile conoscere le novità della scienza, avere accesso a nuove tecnologie, capire cosa stesse succedendo in un laboratorio, fisicamente, intendo. Adesso invece, anche grazie ad Internet, puoi trovare cose incredibili, ce n’è una valanga.

BB: Ho letto qualcosa riguardo al darkweb, e l’ho trovato molto interessante…

BS: Oddio, certo! Sono cose incredibili… Ne ho parlato molto sul mio blog, ed è interessantissimo… be’, almeno per me lo è! Ma il materiale non è molto ben organizzato, quello che c’è sul blog riflette fondamentalmente i miei interessi, che sono molto eclettici: il mio è una sorta di blog della rete “di superficie”. E questo è quello che è diventato il cyberpunk: è stato sommerso dagli elementi cibernetici, e tutte le persone coinvolte nel cyberpunk hanno finito per allontanarsi dallo scrivere romanzi, o racconti. Hanno tutti seguito le macchine che stavano usando, per così dire, quando le possibilità del personal computer sono esplose in così tanti campi differenti.

C’era un enorme entusiasmo al pensiero dell’obsolescenza delle macchine da scrivere e alle nuove possibilità offerte dalla scrittura digitale e su computer. Inizialmente pensavamo tutti che il pc servisse solo a scrivere, perché eravamo appena entrati nel vasto mondo del word processor. Ma più gli anni passano, più la tecnologia avanza, maggiori sono le innovazioni tecnologiche di queste macchine, e noi veniamo tirati per il collo a seguirne i progressi, senza alcuna possibilità di scelta.

Siamo una generazione di persone che ha lavorato nei media scrivendo su macchine da scrivere manuali, io ho scritto due romanzi con la macchina da scrivere. Quello è il mio retaggio, non posso dimenticarlo. Ma quel mondo è andato, come quello di Rossella O’Hara. Semplicemente cancellato, non c’è ritorno. Si possono forse imitare il tono e i suoni di quel periodo, di quegli anni, ma la verità è che quel mondo è scomparso.

Bruce SterlingE anche il cyberpunk ultimamente non mi interessa più così tanto, non vado certo in giro a promuoverlo. Sicuramente è una tradizione, un retaggio di quegli anni, appunto, ma non è quello che succede ora. Non c’è ancora una parola che descriva quello che succede adesso, o forse ce ne sono troppe. Ma succedono tantissime cose, ed io ci sono dentro fino al collo, molto più di quanto non lo fossi quando avevo vent’anni e scrivevo.

Ora, quando smuovo le acque e mi infilo in qualcosa… Insomma, adesso frequento della gente al governo, conosco delle spie! Parlo con progettisti industriali, conosco gente nell’ambiente militare, progettisti di tecnologia, intendo dire che li conosco di persona, conosco magnati, magnati della tecnologia che ho incontrato quando erano solo degli appassionati di fantascienza.

L’area coperta dall’attivismo cyberpunk è enorme, si estende su scala globale adesso. Ma non include quasi più la letteratura. Ed io sento questa come una perdita. E lo è, una perdita. Siamo stati puniti, credo. Le cose che amavo di più da ragazzo, i dischi in vinile e le edizioni economiche dei libri di fantascienza, sono ormai defunti, qualcuno me le ha portate via, me le ha rubate.

Il festival Science+Fiction, giunto quest’anno alla sua nona edizione, si è svolto a Trieste dal 22 al 28 novembre e, oltre a molte novità, ha visto la partecipazione di grandi nomi del panorama culturale italiano ed internazionale come Roger Corman, Cristopher Lee, Bruce Sterling, Antonio serra, Enzo Castellari, Federico Zampaglione e molti altri.


Molti i riconoscimenti presentati durante il festival, il primo ad essere consegnato è stato il Premio alla Carriera Urania d’Argento a Roger Corman, regista e produttore divenuto leggendario nel campo dei B-movies e per aver lanciato nomi del calibro di Jack Nicholson e Francis Ford Coppola.


Il premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza della selezione ufficiale Neon è stato assegnato dalla giuria – composta da Bruce Sterling, Antonio Serra e Gilles Esposito – a First Squad-The Moment of Truth del giapponese Yoshiahru Ashino. Menzione speciale per lo svedese Metropia.


Prima novità di questa edizione, è stato il premio Nuove Visioni assegnato dalla rivista Nocturno al nuovo film di Federico Zampaglione, Shadow, horror “politico” che più che ombre getta nuova luce sull’horror italiano.


Altra novità di questa edizione è il Mélièes d’Argent, premio che permetterà di accedere al Festival del Film Fantastico di Sitges per l’assegnazione del Méliès d’Oro. La giuria, questa volta composta da Enzo G. Castellari, Marcello Rossi e Andrea Magnani, ha premiato il film The Children dell’inglese Tom Shakland.


Nella sezione European Fantastic Short, la selezione di cortometraggi fantastici europei, la Giuria presieduta da Castellari ha assegnato la Nomination per il Miglior cortometraggio fantastico europeo al francese Virtual Dating firmato da Katia Olivier.


Per quanto riguarda il Premio del Pubblico, gli spettatori hanno scelto di assegnarlo a TiMer della regista americana Jacqueline Schaeffer


Il festival si è poi concluso con l’assegnazione di un altro Urania d’Argento alla carriera assegnato al carismatico Christopher Lee, tornato a grande fama grazie all’interpretazione di personaggi come il conte Dooku in Star Wars: Episodio III o Saruman nella trilogia del Signore degli Anelli.

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