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Cinema

Fanny Ardant

Cendres et sang

Fanny ArdantFanny Ardant ci ha sorpreso. Per intelligenza, per coraggio, per vitalità. Indimenticabile musa del cinema francese, che sia sempre stata una gran bella donna lo sanno tutti. Non era però così scontato, addentrandosi nella coltre di un tanto decantato fascino, scoprire anche una persona estremamente piacevole, disponibile, passionale e intellettualmente così viva. Lo dimostra il fatto che a sessant’anni abbia deciso di girare il suo primo film, una coproduzione franco-rumena di cui ha scritto anche la sceneggiatura. S’intitola Cendres et sang (Cenere e sangue) il suo esordio alla regia, la cui proiezione ha chiuso la ventunesima edizione del Trieste Film Festival. La storia è quella di una donna (interpretata dalla popolare attrice israeliana Ronit Elkabetz) che, in seguito all’assassinio del marito, decide di abbandonare il suo paese natale e di trasferirsi a Parigi per crescere da sola i tre figli. Dopo quasi vent’anni, in occasione di un matrimonio, torna in Romania con loro, scatenando antichi odi fra clan rivali e una spirale di violenze e di vendette. Una storia di lupi e di passioni, covate sotto la cenere appunto, che non ci si aspetterebbe da un’ex attrice francese cresciuta a ciak di nouvelle vague e a capolavori neorealisti italiani.

Cristina Favento (CF):  Lei ha avuto modo di lavorare a stretto contatto con alcuni tra i più grandi registi del cinema del Novecento. Che cosa le hanno trasmesso questi maestri?

Fanny Ardant (FA): Entusiasmo, una forte energia positiva — estremamente fisica, quasi tangibile — e un amore passionale per questo mestiere. Antonioni, Scola, Truffaut hanno sempre assecondato – a volte anche sbagliando forse, ma a chi non succede? – una intima e forte passione per i propri film. È difficile definire ciò che provavo lavorando con ciascuno di loro, si tratta di sfumature troppo sfuggenti. Anche se le percepivo, eccome. Alcuni li ho amati molto e altri li ho davvero odiati, ma non ho intenzione di dirvi per chi ho provato l’uno o l’altro sentimento! Di certo mi hanno insegnato che si tratta di una lunga strada e che non bisogna quindi farsi prendere da stati d’animo negativi. Durante le riprese del mio film, la sera, prima di dormire, mi proibivo ansie, ripensamenti e incertezze. Perché il primo critico di un film è il regista stesso. Anche se poi ci sono davvero molte informazioni nelle immagini ed è impossibile controllare tutto.

CF: Come giudica quindi questo suo esordio?

FA: Sicuramente ho fatto tanti errori. Ma ho fatto le cose di cuore, attingendo a tutte le casualità che mi ha regalato il cielo, dalla pioggia alla nebbia, questo fantastico elemento senza il quale i film di Antonioni non sarebbero stati gli stessi. Ho sempre cercato di assorbire tutto e sono stati giorni di grande intensità. Si impara molto sulla vita, su se stessi, sugli altri. Si cambia. Per esempio io sono una persona generalmente collerica ma sul set no, sapevo che lì non potevo permettermelo, perché tanto non ci si guadagna niente! (ride, nda) Già, si cambia molto sul set…

Una scena del film Cenere e Sangue

CF: E da regista com’è stato il suo rapporto con gli attori?

FA:  All’inizio mi hanno fatto una gran paura! Nessuno sa meglio di me che in determinati momenti se c’è qualcosa che non vogliono fare o se non sono bravi abbastanza, come regista non c’è niente che tu possa fare. Io come attrice sono molto disponibile, perché penso che tutto sia già stato fatto e detto, l’importante è entrare nei dettagli. In Romania gli attori hanno una grande scuola e si formano sul palcoscenico teatrale, provando un po’ di tutto. Con i classici si entra in contatto con un repertorio vastissimo di emozioni e personaggi diversi, questa palestra dà all’attore una grande malleabilità e disponibilità a entrare in mondi differenti. È stato un piacere enorme lavorare con Olga Tudorak, che a Bucarest è un monumento vivente. I grandi attori si vedono, lei è una sorta di Morceau rumena. Dopo questa esperienza, se dovessi fare altri film, non avrò più paura degli attori.

CF: Perché questo titolo al suo primo film?

FA: Volevo parlare del sangue perché è la nostra prima energia, la vita. La cenere rappresenta invece il passato, che riviene sempre, o per punire o per addolcire o per incantare. Un po’ come per il piccolo Proust e per i suoi segreti di famiglia.

CF: Cosa rappresenta invece per lei la famiglia?

FA:  Ci si batte contro e allo stesso tempo la si cerca. C’è sempre nostalgia, a volte rabbia. Tutti vogliamo essere considerati, riconosciuti. Mi piace pensare alla vita come a una lettera scritta alla propria famiglia. E mi hanno sempre colpita i rapporti familiari di odio passionale. Alla fine uno pensa sempre di aver deluso i genitori.

CF: Ha vissuto dei momenti di particolare difficoltà sul set?

Locandina del film Cenere e SangueFA: Certamente, diversi. Ad esempio non ne venivamo fuori con la scena dei tappeti, dove tutta la famiglia è riunita. C’era troppa confusione con le battute e, a un certo punto, ho annunciato che quello che andavamo a girare sarebbe stato l’ultimo ciak, come veniva, veniva. Dissi che l’avrei tenuto anche se si fossero dimenticati le battute. Naturalmente io so bene che farsi tagliare le battute è uno dei peggiori incubi per un attore (ride, nda), quindi ovviamente sono stati tutti attentissimi e la scena finalmente è andata bene. Il conoscere gli attori e il loro affetto però mi è stato molto utile. Questo film mi ha arricchita enormemente.

Sono sempre molto felice sul set, anche se non si gira. Ne parlavo spesso anche con Mastroianni. Ti trovi lì tutti assieme, ti rivedi per due mesi ed è una certezza, lo stare in un gruppo di persone che partecipa a un’opera comune è una cosa forte. Niente è vano, anche il più piccolo contributo o dettaglio può fare la differenza. E poi mi piacciono molto gli animali. Quando penso che ho potuto accarezzare i  lupi mentre lavoravo non posso che essere sicura che il mio è il mestiere più bello del mondo!

CF: In genere un regista al primo film affronta in suo mondo, lei invece è stata molto coraggiosa: si è imbarcata in una storia in qualche modo più vicina alla tragedia greca, che svela una grande voglia di mettersi in gioco ma anche e soprattutto una grande personalità. Come mai questa sceneggiatura?

FA: Questa storia racconta molto più di me rispetto a quanto avrebbe potuto fare una banale autobiografia. Ci ho messo la mia interiorità, filtrandola naturalmente grazie al racconto. Trovo che nel cinema come nel teatro, il modo più appropriato di dire le proprie cose è utilizzando uno schermo, come in una sorta di “avanzare mascherato”.

CF: Perché occorre filtrare?

FA: Anche per non esporsi troppo in prima persona, certo, ma soprattutto per il piacere del gioco. Non amo l’espressione troppo diretta di sé, come avviene per esempio in un reality, dove c’è un dare tutto e subito. Non esporsi mai troppo violentemente fa parte di una maniera equilibrata di rapportarsi con il mondo. Ma allo stesso tempo è una scelta: di far credito all’intelligenza più che alla stupidità.

CF: Perché oggi invece, secondo lei, i reality sono così seguiti?

FA: C’è un rapporto diverso tra macchina da presa, individui e società. Oggi non esiste più questo avanzare con la maschera del quale parlavo. Probabilmente è un bisogno stesso del pubblico, un’esigenza simile a quella del voyer. Io lo ritengo malsano, perché non c’è apertura, non c’è dialogo, si parla solo per lo spettacolo ed è un pericolo per entrambi i soggetti coinvolti, per chi guarda e per chi si espone. Shakespeare non mostrava mai la morte in scena proprio per evitare di trasformare lo spettatore in uno che sta lì a guardare senza reagire, non voleva farlo sentire abbruttito. Il romanzo, per esempio, è diverso. È una sorta di confessione per chi scrive e chi legge sta lì ad ascoltare, come e quando crede. Per vedere la vita reale ci vuole molto distacco, non si può vederla così, buttata là. Tutto ciò che fa soldi con la vita reale mi fa ribrezzo. Sarebbe molto meglio se fosse tutto davvero truccato, come in Orson Welles, se fosse uno show, una colossale truffa. Lo preferirei di gran lunga. Altrimenti è come filmare un’esecuzione pubblica: si pone il problema di chi guarda.

Cast di Cenere e Sangue

CF: Che cosa ne pensa della tv?

FA: Io la uso praticamente solo come schermo (ride, nda), per vedere i dvd! Sono tormentata di natura e la tv mi rende ancora più agitata. Ciò che vedo fa male alla mia interiorità. Le cose poi veramente valide diventano cinema, le trasformano in un prodotto che rimane e che si potrà fruire in altra forma, come i serial che poi rivendono in dvd. La tv americana però è un altro discorso: è una televisione meno vuota, più forte, ci sono più contenuti. Gli autori possono davvero dire e arrivare. Oggi in tv si trova davvero di tutto e non ci si scandalizza più, perché si può cambiare canale, come alla radio. Opprimere, asfissiare è la cosa peggiore, quindi va bene così, l’importante è che si possa scegliere, che ci siano delle alternative valide. Mi aspetto molto dai giovani, sono pessimista ma penso positivo. Nessun potere è eterno: c’è stata la crisi dei dischi, la crisi dei giornali, ora finalmente anche la tv si guarda meno che un tempo.

CF: Che cosa ne pensa dei festival di cinema in generale?

FA: Certamente mi piacciono purché io non debba fare da giurata! Mi ritengo in grado di giudicare un buon lavoro ma più che i giudizi mi interessa discutere, confrontarmi, avere il tempo di approfondire a fondo le questioni di un film. Ogni pellicola è una piccola bottiglia lanciata nel mare, per quanto si possa essere isolati, non sarà mai diretta solo al proprio piccolo villaggio. Proprio per questo mi piace partecipare ai festival, perché sono aperti ai film più difficili, sono una porta aperta sul mondo.

CF: Come spettatrice che cosa si aspetta da un film?

FA: Emozione! Voglio che mi racconti una storia, voglio identificarmi, voglio avere il desiderio di sapere come finisce. Il cinema è importante, ha permesso ai popoli di unirsi, perché è un’arte che ti fa entrare nell’anima delle storie e fa cadere le frontiere, dovrebbe essere sostenuto di più economicamente.

CF: Lei ha sostenuto che i tagli alla cultura siano tipici dei governi di destra, perché?

FA: Fanno credere che il popolo abbia bisogno solo di pane e giochi circensi, come se la cultura fosse un lusso! Il populismo della destra è una forma di demagogia. L’arte non è un lusso, è ciò che ci salva! Anche nella crisi islamica credo sarà l’arte che potrebbe portare delle soluzioni. Stiamo vivendo un momento molto importante dovuto alla comparsa di internet. Non conosco abbastanza né passato, né futuro per teorizzare cosa succederà, ma certo è che si tratta di una rivoluzione epocale.

CF: Non ritiene che l’arte possa essere minacciata dalla politica?

FA: Mi viene in mente una figura come la straordinaria Louise Bourgeois. Lei parlava di una libertà creatrice che alla fine dovrà reagire o morire. In casi estremi, io ho sempre pensato che comunque sarebbe sopravvissuta una piccola repubblica sotterranea. Bisogna reagire! Ogni volta che c’è una minaccia di morte, è il vero momento in cui viene fuori la reazione. Anche nella crisi economica è così: o uno si arrende oppure si va avanti usando magari l’immaginazione, un modo si trova sempre. È questa la forza creatrice, non posso essere pessimista su questo.

Un'immagine tratta dal film Cenere e Sangue

CF: Com’è la situazione attuale in Francia?

FA: Per anni la Francia è stata un paradiso cinematografico. C’era posto per tutti, dal film d’autore al comico. Abbiamo vissuto un periodo d’oro, che ora purtroppo è finito. Anche per quanto mi riguarda abbiamo avuto delle grosse limitazioni di budget. Io ho subito detto al produttore: “toglietemi tutto ma non i lupi o i cavalli!”, e così è stato. Sebbene, ad esempio, io abbia avuto una grandissima costumista ma senza soldi per i costumi… Alla fine però, è stata una cosa bella anche: ci siamo inventate delle trovate incredibili. Dopotutto il cinema è l’arte del trucco!

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