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Cinema

Ivan Bormann

Emilio, giullare di Dio

Anche quest’anno il Trieste Film Festival ha ospitato, all’interno della sezione denominata Zone di Cinema, alcune tra le più interessanti produzioni cinematografiche legate al territorio. Diverse le proposte presentate in concorso, tutte accomunate dall’esigenza di riflettere sui difficili rapporti intercorsi nel tempo tra Italia e Slovenia, simboleggiati dalle sottili linee di confine tra i due stati, più volte riscritte, cancellate, contestate. Memorie del passato riemergono da film quali Piran Pirano, Pogledi skozi železno zaveso e nell’esemplare storia di Luciano Rapotez, raccontata da Sabrina Benussi in Rapotez un caso italiano, dove vengono scandagliate le motivazioni storiche e ideologiche di un’assurda e dolorosissima vicenda giudiziaria. Ma anche ne La Risiera di San Sabba – Storia segreta di un lager italiano, documentario sull’unico lager in territorio italiano dotato di forno crematorio, che, grazie al meticoloso lavoro di ricerca su documenti d’archivio, contribuisce a tenere aperte domande su un passato che la città ha cercato di rimuovere.

Sconfinato. Storia di Emilio

Sconfinato. Storia di Emilio, di Ivan Bormann, è stato il documentario vincitore del premio offerto dalla Provincia di Trieste e assegnato dal pubblico, che l’ha acclamato come migliore opera in concorso.

Il film narra la vicenda biografica di Emilio Coslovi, esule d’Istria a Trieste che nei primi anni ’50 entra in seminario, diventa prete e successivamente prete operaio, cominciando a lavorare nel settore dell’edilizia perché animato dalla volontà di stare accanto a chi doveva lavorare duramente per guadagnarsi da vivere. Da allora la sua esistenza di religioso radicale e anticonformista sarà segnata sino alla fine dei suoi giorni da questo testardo stare senza riserve dalla parte degli umili e degli oppressi, osteggiato dall’ottusità delle istituzioni ecclesiastiche che non riuscivano a concepirne la semplicità e la purezza di uomo irriducibile, destinato per sincera vocazione a confondersi nel mondo per cercare di cambiarlo davvero.

Bormann ricostruisce la storia di Emilio attraverso un accurato lavoro di ricerca e ascolto di testimonianze di persone che l’hanno conosciuto e ne hanno apprezzato lo spirito combattivo e tenace. Utilizzando fiction e materiali di repertorio, arriva a restituirci la complessità di un inclassificabile reale, costruendo l’intenso e struggente ritratto di un uomo fragile ma determinato, destinato a lasciare un segno profondo nella coscienza dello spettatore disposto ad accogliere in profondità le più laceranti contraddizioni dell’esistere.
Abbiamo incontrato Ivan Bormann al termine della premiazione per farci raccontare qualcosa di più sul film.

Sconfinato. Storia di Emilio

Luca Signorini (LS): Quali sono state le motivazioni profonde che ti hanno spinto a raccontare, in quello che definisci un “film sbilenco”, la vita del preteoperaio Emilio Coslovi?

Ivan Bormann (IB): La definizione di film sbilenco me la rimangio un po’, l’ho buttata lì per dare una giustificazione a un film con registri, toni, materiali e mezzi diversi, sottolineandone l’aspetto di scelta autoriale, ma poi, a ben vedere e distanziandomene, non è poi così sbilenco. Anzi, a livello formale, è la cosa più “classica” che ho realizzato in vita mia.

La spinta è stata averlo conosciuto e non ricordarmi niente di lui. Aver poi incrociato svariate persone, di quelle che ti lasciano il segno, che mi parlavano di lui, e aver scoperto che aveva attraversato luoghi e situazioni vissute anche da me. Ci siamo scivolati a fianco senza un vero e proprio incontro. L’amicizia di Emilio con i miei genitori mi ha poi portato a sentire la sua storia di rimbalzo, e l’ho trovarla piena di temi a me cari.

LS: Quali sono le affinità che ti legano a una figura così controversa? Voglio dire: quanto c’è di Emilio in Ivan Bormann?

IB: C’era molto Emilio: molta intransigenza e caparbietà, molto di tutto, molto idealismo, molta coerenza e indisponibilità al compromesso. Cose a cui vuoi bene e sei affezionato, ma che devi imparare a contenere perché ti fanno vivere male. “Sconfinato” è stato, spero, anche un percorso di crescita mio. Un trovare una distanza accettabile, e negoziabile nel tempo, dall’Emilio che c’è in te.

LS: Emilio infatti era una figura radicale, un personaggio ostico e intransigente, che a un certo punto del film viene definito “spalmato nella contraddizione” proprio per la sua incapacità a scendere a compromessi. Quale messaggio possiamo accogliere oggi dalle contraddizioni incarnate da Emilio? Qual è l’eredità che ci ha lasciato?

IB: Beh, qui c’è parte del suo essere film sbilenco. Non è un film a tesi classica, né di denuncia, né di lettura univoca. Una delle difficoltà di questa storia è che, di volta in volta, mi prendeva e trascinava altrove, a seguire suggestioni nuove. E io a cercare di mantenere una qualche rotta. Ho notato che tra il pubblico ci sono stati piani di lettura diversi. La prima differenza si nota tra chi conosceva Emilio e quindi vive un piano emozionale molto forte, e chi lo ha conosciuto attraverso il film. C’è chi conclude la visione dicendo che ci vorrebbero più persone così radicali, chi bestemmiando contro le istituzioni repressive, chi dicendomi semplicemente “non ho capito perché lo hai fatto ‘sto film”.

Certo, è sbilanciato. La storia di Emilio mi muove. Parlo della difficoltà della società, e in primo luogo delle sue Istituzioni, ad accogliere un’alterità così marcata come la sua. Ma Emilio non è per me un modello, un eroe. Emilio è cocciuto, ottuso e testardo. Non ascolta e perde la capacità di mettersi in relazione. Qualcuno mi ha detto che è un film che parla della fuga di ogni pensiero estremo verso l’incendio. È anche questo.

Sconfinato. Storia di Emilio

LS: Il prete Emilio cercava “rapporti autentici, non clienti” e per questo viene malvisto dalle gerarchie ecclesiastiche che fanno di tutto per allontanare una figura anomala. Un ideale parallelo potrebbe essere tracciato con chi al giorno d’oggi fa politica fuori dai contesti istituzionali, impegnandosi in prima linea in battaglie civili. Possiamo considerare Emilio come una figura anticipatrice di grandi religiosi combattenti quali Andrea Gallo o Alex Zanotelli?

IB: Assolutamente no. Ne accennano in qualche modo anche i compagni pretioperai intervistati nel documentario. Emilio viveva tutti i conflitti in atto al tempo in maniera viscerale, endemica e diretta, non mediata. Non era un intellettuale di sinistra, non era un leader, non era un teorico. Aveva certo divorato libri sulla teologia della liberazione, sul comunismo, leggeva regolarmente riviste anarchiche, libri anticlericali e tutto quello che trovava. Ma non aveva nulla a che fare con una pratica che è pane per ogni dimensione politica, anche la più estrema: il compromesso. Emilio sfuggiva, era febbrile, non stava mai fermo, non faceva proseliti né creava comunità. Era una scheggia impazzita.

LS: Mi sembra che dal film emerga prepotentemente uno sguardo critico nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche e psichiatriche…

IB: Certo, non ho una fiducia cieca nelle istituzioni e non mi spiace sottolinearlo. Non credo però di aver fatto un film Anti. Il film era nato originariamente da una solidarietà verso un uomo schiacciato dalle Istituzioni. Quindi un mio, diciamo, disamore per le Istituzioni totali, c’è, traspare, rimane. Ma si è poi arricchito di tanto altro nel percorso. Dei limiti che anche una posizione intransigente comporta, nel non essere più capace di dialogare, ascoltare, farsi aiutare, come dice un amico preteoperaio nel film. C’è una psichiatria che arriva troppo tardi e forse con le armi sbagliate, ma che si interroga e che noi ascoltiamo attentamente nel film. C’è tanta Chiesa, nel senso di credenti autentici e profondi, che ci parla di Emilio.

Spero di essermi liberato da uno schematismo ideologico che ci presenta Emilio solo come vittima e di essere riuscito a dire di più. Ma comunque si, lo sguardo critico c’è. Ha a che fare con l’Emilio in me, senza dubbio. Si smussa, si arricchisce, si interroga, ma poi ogni tanto esce prepotentemente, come dici tu. L’importante è tenerlo a bada e non fargli dominare ogni interpretazione e lo sguardo su ogni cosa, come purtroppo è successo ad Emilio.

LS: Il titolo del film evoca immediatamente anche il contesto geografico all’interno del quale si sono svolti i fatti. Pensi che in qualche modo le tragiche vicende storiche del secondo dopoguerra abbiano influenzato la vita e le scelte di questo insolito personaggio?

IB: Certamente sì. Il titolo gioca tra sconfinamenti fisici e mentali, di un uomo che ha giocato sul crinale tutta la vita, non appartenendo, non resistendo a nessun incasellamento, sconfinando appunto. Anche nei luoghi più bui.
Quanto l’esodo, lo sradicamento da un ambiente rurale in direzione di uno cittadino, le vicende familiari, l’esperienza del campo profughi, la difficoltà di integrazione abbiano giocato lo posso solo immaginare. È una di quelle derive che questa storia mi offriva, e ho cercato di non approfondire, ma semplicemente di evocare, con la scena iniziale e la prima intervista ad un altro esule come Emilio.

Sconfinato. Storia di Emilio

LS: Come sacerdote Emilio sceglie di stare dalla parte dei deboli e degli oppressi anche per non “tradire la realtà attraverso le cose astratte”, a cui era arrivato grazie al percorso di studi compiuto in seminario. Mi sembra che questa volontà di non tradire la realtà la si possa leggere anche come una tua dichiarazione di poetica, dal momento che più che alla finzione affidi la ricostruzione della sua vita ad una polifonia di voci che lo hanno incontrato in vita. In questo senso quali sono state le priorità che hai voluto dare in sede di stesura della sceneggiatura?

IB: No, direi che la realtà l’ho tradita in più punti, stirando, strattonando, addirittura esagerando ed enfatizzando a piacimento. Certo forse nell’ottica di mantenere una fedeltà a un ipotetico “spirito” che mi pareva di aver compreso appartenesse ad Emilio. Questo l’ho fatto cercando di alternare le interviste in qualche modo “oggettivanti” al diario, che è lo sguardo soggettivo di Emilio, e ad alcune ricostruzioni che si riferiscono a questo. Al diario ho poi accompagnato immagini d’archivio usate in modo evocativo, vagamente visionario e non pedissequamente descrittivo, soprattutto per tentare di seguire un’evoluzione del delirio.

LS: I diari di Emilio, appunto. È stato difficile recuperarli? Sono parecchie le testimonianze scritte che hai utilizzato per il film?

IB: I diari che ho recuperato sono in realtà meno di una decina di pagine dattiloscritte, che curiosamente Emilio aveva affidato a persone diverse in diverse parti d’Italia affinché rimanesse memoria di cose che riteneva importanti. E le pagine erano sempre le stesse. Ho tentato di usare i diari alternando momenti di spietata lucidità a momenti di una paranoia crescente, seguendo la funzionalità drammatica del racconto. Mi serviva uno sguardo suo, avendo pochi sguardi su di lui, ossia poche immagini, fotografie, riprese.

LS: Nel 1951 Roberto Rossellini gira Europa ‘51, un film interpretato da Ingrid Bergman e ispirato alla vicenda biografica della filosofa francese Simone Weil, con la quale Emilio Coslovi sembra avere più di un punto di contatto. Esiste qualche riferimento cinematografico significativo al quale ti sei rifatto per il tuo film?

IB: Riferimento diretto non direi, potrei completare la domanda precedente, dicendo che quello che ho dichiarato sopra riguarda la sceneggiatura finale, mentre per oltre un anno l’ipotesi di sceneggiatura era tutt’altra, e verteva sull’utilizzo di alcuni spezzoni di film a commento, e talvolta utilizzati direttamente in funzione narrativa. Poi però, per problemi produttivi e di costi, questa strada è stata abbandonata. Ti cito soltanto Film di Samuel Beckett, Nazarin e Simon del Deserto di Luis Buñuel. Alla fine, invece, l’unica scena inserita è tratta da Apollon: una fabbrica occupata di Ugo Gregoretti.

LS: A cos’è dovuta la scelta di proiettare le prime immagini del film a Momiano d’Istria, città natale del protagonista, quasi in una sorta di circolarità che ci riporta all’inizio del documentario?

IB: Ci piaceva visivamente lasciare questo ritorno, accompagnarlo in questo ultimo “sconfinamento”.
Credo che l’esodo e il passaggio da Momiano a Trieste abbiano inciso tanto su Emilio, in maniera quasi indicibile. Anche qui, forse ho preferito dire di questo attraverso il prologo iniziale, e la proiezione finale, senza tanti fronzoli o analisi.

Sconfinato. Storia di Emilio

LS: Quanto importante è stato l’apporto del contrappunto sonoro composto dalla band triestina Etoile Filante? Da quali suggestioni siete partiti per arrivare ad un’interazione compiuta tra immagini e colonna sonora?

IB: Gli Etoile sono stati fantastici. Sono intervenuti in una fase piuttosto avanzata del montaggio, ma quando ancora c’erano da fare alcune scelte decisive, come quelle riguardanti il finale. Hanno colto rapidissimamente le suggestioni che io e Fabio Toich, il montatore, abbiamo cercato di offrire loro. In pochissimo tempo hanno composto delle musiche che sottolineavano egregiamente scene già blindate, mentre altri pezzi da loro proposti hanno influenzato le scelte finali di montaggio, facendo da guida. C’è stata un’intesa emozionale forte credo, poche parole e poco tempo. Tenendo poi conto che i generi praticati solitamente dagli Etoile sono piuttosto distanti da quello che siamo andati a chiedere loro, il ringraziamento è ancora più sentito.

LS: Sconfinato è stato anche l’apporto di una pluralità di amici e collaboratori che ti hanno permesso di portare a termine un progetto parecchio impegnativo. Pensi che in qualche modo il premio ricevuto a Zone di Cinema possa essere un riconoscimento anche a professionisti che la città di Trieste spesso tende a dimenticare perché magari privi di visibilità, ma nonostante questo dediti comunque al loro lavoro con grande tenacia e determinazione?

IB: Si sta davvero creando un agglomerato ancora abbastanza informe di persone fantastiche che vivono da pendolari tra Trieste e ogni dove, ma legati al territorio e che stanno sviluppando una professionalità eccezionale. Il problema è trovare il modo affinché il trampolino scatti. Sta poi a noi creare tutte le sinergie possibili a livello di promozione e collaborazione. Certo Zone di Cinema resta una vetrina importantissima, non solo nel caso del nostro lavoro, ma di tutti gli altri. Le vetrine possono essere asfittiche, o utili, o di rito, o dirompenti. Sta a noi riempirle e poi fuggire altrove.

LS: In questo momento stai già lavorando ad un nuovo progetto oppure sei impegnato nella promozione del film? Vi sarà una distribuzione del film, la possibilità di vederlo in qualche festival?

IB: Sia l’uno che l’altro. Stiamo studiando una strategia di distribuzione ai festival e non solo, anche attraverso alcune presentazioni pubbliche, partecipazioni a eventi ed eventuali vendite televisive. Innanzitutto ci saranno dei passaggi sulla Rai Regione e forse una prossima proiezione serale in città ancora da organizzare, per chi non è riuscito a partecipare alla prima. Poi alcuni festival internazionali, soprattutto dedicati ai documentari. E poi stiamo ragionando su una distribuzione in dvd. Ci saranno sicuramente delle proiezioni mirate: al Convegno Nazionale dei Pretioperai a Bergamo, a Buje d’Istria e Momiano, a qualche festival in Istria e altre in circuiti legati all’associazionismo cattolico e di sinistra, in situazioni, le più varie, tutte da costruire.
Per quanto riguarda i nuovi progetti, al momento sto lavorando con Fabio Toich, montatore di Sconfinato e vice-presidente di Drop Out, allo sviluppo di tre progetti, sempre di carattere documentaristico e biografico. Uno sul poeta istroveneto di Rovigno Eligio Zanini, italiano, partigiano comunista, prigioniero dissidente a Goli Otok (campo di prigionia jugoslavo), insegnante e scrittore. Un secondo progetto, appena abbozzato e tutto da costruire, sull’anarchico triestino Umberto Tommasini, e un terzo sulla vita di Wanda Wulz, fotografa triestina che agli inizi del secolo frequentò il futurismo, László Moholy-Nagy e ambienti legati alle avanguardie storiche, per poi portare avanti lo studio fotografico della sua famiglia, da tre generazioni presente in città.

Sconfinato. Storia di Emilio

LS: Nel febbraio 2008 hai fondato la casa di produzione Drop Out, con la quale hai lavorato a diversi progetti secondo un’ottica sperimentale diretta all’uso sociale del mezzo video. Quali sono le difficoltà più grandi nel portare avanti le attività di una casa di produzione indipendente?

IB: Drop Out è un’associazione di promozione sociale. Si tratta quindi di un ente non a scopo di lucro, con finalità di promozione e sviluppo sociale. I nostri progetti tentano di sperimentare utilizzi innovativi in questo senso, a volte utilizzando il mezzo video come mezzo di cambiamento e azione sociale, all’interno di contesti di riabilitazione, educazione, formazione. A volte allargando il campo verso la documentazione sociale vera e propria come nel caso di “Sconfinato” che ha potuto però prendere vita grazie all’associazione con la Orione Cinematografica di Roma, vera e propria casa di produzione che ci ha permesso l’accesso a fondi che come semplice Associazione non avremmo potuto gestire.

Le difficoltà sono molte, legate soprattutto al fatto che spesso ti trovi a svolgere più e svariati ruoli contemporaneamente: presidente di un’associazione, autore, produttore, intervistatore, per non parlare dei rendiconti. Il rischio di fare un po’ di tutto e male incombe, ma puoi sempre tirarti su il morale pensando che in fondo hai un controllo pressoché totale della tua opera.

Per quanto riguarda poi le attività più “istituzionali”, ovverosia il lavoro in collaborazione con enti, istituzioni, altre associazioni, è importante far coincidere le necessità di comunicazione sociale dei soggetti con quelle di autonomia creativa degli autori, oltre che far quadrare i sempre magri conti dell’associazione…

Sconfinato. Storia di Emilio

Regia: Ivan Bormann
Soggetto: Ivan Bormann
Sceneggiatura: Ivan Bormann, Sara Beltrame
Operatore e direttore della fotografia: Daniele Trani
Montaggio: Fabio Toich
Scene, costumi e foto di scena: Belinda De Vito
Editing suono: Francesco Morosini
Responsabili di produzione: Manuela Buono e Tiziana Bongiorno
Trucco e Parrucco: Cecilia Eva Nordio e Cecilia Carbonelli
Musiche originali: Etoile Filante
Steadycam e crane: Ronnie Roselli

Per maggiori informazioni visita il sito ufficiale.

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