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Meglio tardi che mai

La promessa finalmente mantenuta del cofanetto celebrativo per il trentennale di Darkness on the Edge of Town

Nel marketing classico, il packaging fa parte delle componenti di una merce che, opportunamente studiata e modulata, ne determina il successo. Spesso consumatori poco accorti non si rendono conto del condizionamento esercitato da questo elemento e ne subiscono l’influenza nell’acquisto.

Darkness on the Edge of Town

È inutile scrollare le spalle con sufficienza: nella trappola del packaging ci siamo cascati tutti e, prima o poi, ci ricascheremo. Le aziende lo sanno e studiano le confezioni con cura e scaltrezza. È incredibile quanti libri – articolo in cui per definizione ciò che importa è il contenuto – siano scelti per la copertina. Anche i dischi vengono scelti, talvolta, per il packaging.
La cosa non deve essere sfuggita a Jon Landau.

Con soli 2 anni e mezzo di ritardo sull’anniversario effettivo, è uscito a novembre il cofanetto celebrativo del trentennale del disco di Bruce Springsteen Darkness on the edge of town, seconda “operazione nostalgia” dopo quella – curiosamente puntuale – del 2005, per il trentesimo genetliaco di Born to run. Il “disco”, che ha l’aria dell’opera definitiva per i feticisti di Darkness (e, quasi conseguentemente, di Springsteen in generale) è stato reso disponibile sul mercato anche in versione – per così dire – economica, ovvero consistente nella sola raccolta di inediti dell’epoca, scevro dei gingilli che accompagnano la confezione deluxe. Essa giunge il 16 Novembre 2010 a casa del fanatico che l’ha ordinata su internet tre mesi prima, in una scatola delle meraviglie contenente:

  • una t-shirt bianca di cotone ignobile con una stampa di pochi centimetri quadrati riproducente (male) un pass dell’epoca e, sul retro, le date del tour.
  • la riproduzione della foto di copertina su cartoncino Bristol spiegazzato.
  • il cofanetto vero e proprio, composto a sua volta da:
  • Darkness on the edge on town rimasterizzato;
  • un cd con 21 preziosissimi brani – alcuni inediti, altri divenuti poi celebri in una diversa versione – esclusi (talvolta per ragioni tutt’altro che discutibili) dai dieci che hanno composto Darkness;
  • il documentario presentato in tutto il mondo The promise: the making of Darkness on the edge of town;
  • il DVD con la ripresa del finto concerto in cui il Boss realizza il sogno di ogni fan della prima ora. Ossia suonare dal vivo tutti i brani di Darkness di seguito;
  • il DVD con la ripresa del concerto di Houston del 1978.

Procediamo con ordine.
Darkness on the Edge of TownDell’album Darkness on the edge of town è superfluo parlare, poiché è verosimile che, nei trentadue anni che ci separano dalla sua prima pubblicazione, qualcosa di completo e attendibile sia già stato scritto e che gli interessati abbiano già trovato il tempo per leggerlo. Ai non interessati, che difficilmente lo diventeranno proprio adesso, basti sapere che è uno dei due dischi sui quali il grosso del pubblico di Springsteen si spacca.
Il 45% dei fan, infatti, dichiara che sia il suo disco preferito, mentre l’altro 45% vota per Born to Run, ma lo colloca al secondo posto per un soffio (per dovere di cronaca:  il 7% si divide più o meno equamente tra gli altri album pubblicati fino al 1984, il 2% sceglie The ghost of Tom Joad o Devils&Dust, l’ l% risponde Working on a dream solo per il gusto di provocare).
Esso verte principalmente sulla tematica della vita del proletariato nella provincia americana degli anni Settanta e contiene molti dei brani che sono valsi al loro autore la fama di working class hero, di cantore di una società travagliata, continuamente in bilico tra il miraggio dell’agio e l’incubo della rovina, fama peraltro tutt’ora ben consolidata dalla magione grande come la Gallura in cui vive, e dove la figlia ha modo di coltivare liberamente l’hobby che condivide con la stragrande maggioranza delle sue coetanee di ogni estrazione sociale: l’equitazione.
In poche parole, è un gran bel disco; se vi piace Springsteen lo sapete, se non vi piace, ascoltate Darkness e piacerà anche a voi. Esso esercita sul fan medio una fascinazione tale che l’idea di possederne quella che di fatto è, seppur rimasterizzata, una copia doppia non lo inibisce dall’acquisto del cofanetto che la contiene, anzi concorre a rendere ancora più prezioso il prodotto finale.

The Promise è l’album di inediti coevi a Darkness (quello potenzialmente acquistabile – non si capisce bene da chi – anche da solo, al prezzo di un cd normale); il titolo, che è difficile non leggere come uno sberleffo considerando da quanto tempo i fan ne attendevano la pubblicazione, è lo stesso di uno dei brani contenuti. Per gli ammiratori la canzone è una vera leggenda, capace da sola di giustificare l’acquisto dell’ambaradan. È stata composta all’epoca della separazione tra Springsteen e il primo manager, rottura che ha duramente segnato l’artista – oltre che sotto l’aspetto economico e professionale – sul piano personale (causa non trascurabile anche dell’atmosfera non proprio giuliva del disco definitivo), spingendolo ad una amara riflessione sul concetto di fiducia e sui rapporti umani di cui il brano può essere considerato la sintesi. Il brano sta alla produzione di Springsteen come il tartufo alla gastronomia. È rarissimo, poiché prima della pubblicazione di questo cofanetto è stato suonato dal vivo sì e no tre volte, e gli estimatori lo considerano una vetta di composizione e contenuti di valore inestimabile proprio perché praticamente irripetibile. Eppure – come per il tartufo – c’è una fetta di detrattori che pur riconoscendone il pregio e la rarità non ne è del tutto convinta, anzi crede che buona parte della fama sia dovuta alla scarsa reperibilità, piuttosto che a un reale valore intrinseco. Sia come sia, il brano rimane in ogni caso un must per ogni fan che ami definirsi tale e vale da solo il disco, che non è ignobile, ma è lontano dall’essere lo scrigno di tesori nascosti che si attendeva.

Darkness on the Edge of TownDato il periodo di composizione e il precedente analogo esperimento (ovvero il cofanetto Tracks, raccolta di “scarti” pubblicata nel 1993, il cui primo CD, con i brani precedenti agli anni Ottanta, è oggetto di vera e propria venerazione), insomma, le aspettative erano altissime. Chi scrive ritiene invece che qualche brano sia perdibile e la scelta di averlo escluso da Darkness (e da tutti i dischi successivi) oggettivamente condivisibile.

Il materiale video, in compenso, va oltre ogni più rosea previsione.
Se il finto concerto, pur restando indubbiamente godibile,  lascia il tempo che trova proprio a causa di questa sua aura di artificialità, accentuata, per certi versi giustamente, da una fotografia dai toni esageratamente saturi e una regia smaccatamente “da studio” ,  la registrazione del concerto del 1978 è fascinazione al suo grado più alto. La fama di spettacolarità dei concerti di Springsteen si stava consolidando e diffondendo in quegli anni e questo filmato dimostra perché. Ciò di cui gli spettatori troppo giovani o “troppo europei” avevano solo sentito favoleggiare e con il cui mito sono cresciuti come fan, si materializza, dopo tanti anni, nel salotto della loro casa: dopo tanto vagare e tante difficoltà, il popolo eletto ha raggiunto la Terra Promessa. O, meglio: il cofanetto promesso ha raggiunto il popolo eletto.

Non sono riprese inedite, è vero, e non solo perché in parte già in circolazione come bootleg, ma anche perché spezzoni della registrazione erano stati utilizzati nella realizzazione di video ufficiali (le sgallettate che gli zompano addosso e se lo sbaciazzano in tutti i modi durante Rosalita sono oggetto di ammirato rancore per generazioni di noi, da quando la tecnologia VHS e la produzione della Video Anthology le hanno consegnate all’eternità), eppure la maggiore completezza e organicità del materiale e il restauro del supporto restituiscono allo spettatore un prodotto di impatto irresistibile, pensato e realizzato per entusiasmare. Un’operazione commerciale astuta, senza dubbio, ma scrupolosamente realizzata e pienamente soddisfacente.
Tra i contenuti video, gli spezzoni dei filmini “rubati” durante le registrazioni e nelle prove in casa sono la vera chicca del cofanetto; non solamente perché strizzano ripetutamente l’occhio al pubblico femminile, che – per quanto concentrato sull’aspetto artistico e storico del documento – non può fare a meno di subire l’attrazione di uno Springsteen poco più che venticinquenne, abbondantemente riccioluto e scarsamente vestito, ma anche perché costituiscono quello sguardo sul “dietro le quinte” che sazia la curiosità, comune e nota a tutti, di assistere ad un processo produttivo, in questo caso accentuata dal fatto che ciò che sta prendendo forma sullo schermo è già conosciuto e amato dallo spettatore, il quale, blandamente, prova quel sentimento di malinconico ridicolo già esperito guardando i filmini d’infanzia del partner, ovvero la prova che l’oggetto del proprio affetto esisteva da prima di farne conoscenza così com’è, e già conteneva – più o meno manifestamente – quei tratti caratteristici che hanno verosimilmente indotto quello stesso affetto.

Darkness on the Edge of TownApprezzabile, ma non altrettanto pregnante, l’intervista realizzata ai protagonisti trent’anni dopo. Ciò che convince poco è la distanza tra la sua realizzazione e la sua pubblicazione: è coeva a quella realizzata per il cofanetto celebrativo di Born to run e non fa nulla per nasconderlo, annoverando, infatti, contributi di un membro storico della E-street band, Danny Federici, scomparso nel 2008. La sensazione è quella di un documento costruito in catena di montaggio: gli ambienti, i soggetti, perfino indumenti e acconciature sono gli stessi del 2005, a dimostrazione del fatto che è stata realizzata un’intervista più lunga e completa – magari con un suo sviluppo organico e approfondimenti poi tagliati – successivamente porzionata e assemblata secondo necessità, il che, se ha il pregio di consegnare allo spettatore anche interventi che sarebbero stati in seguito irrecuperabili, conferisce alle riprese di un senso di artificio inadatto al loro regime documentaristico e delegittima la testimonianza che portano. Quanti saranno ancora – è lecito domandarsi – e tra quanti anni verranno pubblicati i cofanetti celebrativi con documentari sulla realizzazione di dischi “storici”, parte delle cui riprese sono state girate già per l’anniversario di Born to run?

Discutibile è anche l’inserimento della testimonianza di Patti Scialfa, membro della band dalla tournée di Born in the U.S.A, iniziata nell’estate del 1984. Tra il ’75 e il ’78, ovvero nello svolgersi delle vicende che hanno innescato e accompagnato il processo creativo oggetto dell’indagine dell’intervista, la futura signora Springsteen era, al massimo, una fan come tutte le altre, senza alcun punto di vista privilegiato di cui riferire oggi. Il pubblico di Springsteen ha ben presente la cronologia delle sue vicessitudini sentimentali (e, anche quando anche non le avesse, il fatto che la rossa nefasta mai compaia né venga nominata nei filmati dell’epoca è prova inconfutabile – se non lo fosse già la qualità della produzione del tempo – che era quello un periodo artisticamente felice, in cui la funesta presenza era lungi dal venire). L’impressione, farsesca, che se ne trae è quella del “contentino” per il quieto vivere, del gesto gentile nei confronti di una moglie da blandire perché quando le telecamere si spengono è con lei che Springsteen deve tornare a casa e, piuttosto che sentirla lamentarsi tutto il giorno per essere stata esclusa, è meglio farla partecipare, anche se non ha alcun contributo di prima mano da portare: Casa Vianello in salsa New Jersey, con rispetto parlando per la memoria degli artisti milanesi.

Al di là di ciò, i contenuti restano, per gli appassionati, di forte interesse e il dvd termina con un montaggio alternato tra presente e passato che ricorda un po’ troppo il serial televisivo Cold Case, ma che, proprio per questo, ha sullo spettatore un notevole impatto patetico.

Il tutto è confezionato in un capolavoro di packaging mai visto e difficilmente ripetibile: la confezione riproduce (fedelmente? Chi può dirlo?) il leggendario taccuino a spirale su cui Springsteen annotava le bozze dei testi e gli accordi dei brani poi divenuti mitici man mano che la sua vulcanica creatività dava loro vita.

Darkness on the Edge of TownLe pagine sono rigate come un quaderno di quinta elementare e riportano grafemi vergati da una mano che si è indotti a credere essere quella del giovane Springsteen, interrotti qua e là da screziature della carta, patacche circolari e impronte di tazze di caffè. La sensazione di possedere La Reliquia è potente – tanto che, nonostante la consapevolezza di avere in mano un prodotto industriale, lo si sfoglia istintivamente con cautela –  e non ha importanza se il vero taccuino, magari  finito da anni nella spazzatura (perché pure se sei Springsteen hai una madre e una moglie, in quanto tali ansiose di far pulizia e buttar via la “roba vecchia”) non aveva questo aspetto; l’importante è calarsi nel mood Darkness, vivere l’atmosfera creativa del periodo trascorso nella casa con la carta da parati a rose centifolie immortalata sulla copertina del disco, intraprendere un viaggio nel tempo grazie al possesso del simulacro del feticcio tanto a lungo solo immaginato.

Ma il fan è insaziabile.
Ora che ha tra le mani la prova che almeno parte della leggenda era realtà, è convinto che esista tutto ciò che ha sognato: bobine su bobine di filmati inediti dei primi anni Settanta; canzoni mai pubblicate sufficienti a realizzare Tracks due, tre, quattromila; riprese di Springsteen con la band giovanile degli Steel Mill; registrazioni di esecuzioni mattutine sotto la doccia e filmini di lui bambino che canta Oh Tannenbaum alla recita delle elementari.
Non è detto che almeno parte di questi tesori nascosti non esista, anzi non è da escludere che ci sia già del materiale in lavorazione, poiché è risaputo che le riprese, anche professionali, degli spettacoli dal vivo abbondano. Il solo interrogativo è: vivremo abbastanza a lungo da vederli pubblicati?

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  1. […] per non esserci andata quando ho appreso che stava suonando The Promise, brano la cui importanza ho già descritto, che mai avrei pensato potesse eseguire dal vivo in Europa (sbagliando di grosso, poiché lo […]

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