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Scrittura

Jonathan Lethem, Crazy Friend

Carzy Friend
Titolo: Crazy Friend
Autore: Jonathan Lethem
Traduttore: Martina Testa
Anno di pubblicazione: 2011
Editore: Minimum Fax
Pagine: 156
Prezzo: 14,00 Euro
EAN: 978-88-7521-277-3

Quando nel 1984, all’età di vent’anni, andai a vivere a Berkeley, ero ansioso di ripercorrere le orme del mio eroe appena defunto, Philip K. Dick. All’epoca leggevo i suoi libri da cinque anni e mi consideravo, sulla mia personalissima scala, il fan di Dick più devoto e competente sulla faccia della terra.

Crazy Friend p. 37

Impossibile capire profondamente Lethem senza conoscere Dick. Un libro basato sulla vita interiore dei personaggi e sullo sfaldamento di una realtà unica e precostituita come Amnesia Moon è debitore non solo nei confronti del principale tema indagato dall’opera omnia di Dick, ma ripercorre in maniera quasi spudorata i passi del glorioso Occhio nel cielo, il primo romanzo di quest’ultimo ad affrontare il tema “Cos’è reale?”, che tanto lo ossessionava[1].

Questa lacuna finalmente viene colmata da Minimum Fax che manda in stampa nei primi mesi di questo 2011 Crazy Friend, curiosa e ben assortita miscellanea di racconti e scritti contenenti tra l’altro commenti critici, dissertazioni, e riflessioni di Jonathan Lethem sul proprio mito letterario dell’infanzia, Philip K. Dick, universalmente conosciuto per essere stato l’ispiratore di Blade Runner.

Era il 1982 e lo scrittore californiano aveva lasciato questo mondo da qualche mese. Quasi stizzito per l’intempestività di quella dipartita, il giovane Lethem decide quantomeno di ripercorrere i passi del suo mentore alla ricerca di un po’ di quella magia che lo avvinceva alle sue pagine. Nel 1984 si trasferisce quindi a Berkeley, ma quello che trova del luogo fisico – e sopratutto immaginario – dove viveva Dick è solo una somiglianza geografica. Le cose, nell’arco di trent’anni, sono cambiate di molto. Il negozio di apparecchiature televisive dove Philip aveva lavorato da giovane è chiuso, quello di dischi è quasi irriconoscibile. Ciò che è rimasto intatto è lo scenario di uno degli episodi più suggestivi nella mente dei fan: il negozio di animali Lucky Dog, dove Dick usava chiedere carne macinata di cavallo perché era l’unica cosa che si poteva permettere con il suo “stipendio” da scrittore (dis)occupato a tempo pieno, tra l’altro con la paranoia che il commesso del negozio scoprisse che in realtà quel cibo era per lui[2].

Lethem vive una vera e propria ossessione e tratta Dick come un (s)oggetto di culto: compra una chitarra in uno dei due negozi di musica dove aveva lavorato e si fa addirittura tatuare la bomboletta di Ubik sul braccio. Queste manifestazioni esterne sono nulla in confronto a ciò che Lethem vive internamente mentre muove i primi passi della sua carriera letteraria, timidi ma decisi al tempo stesso, come quelli del suo maestro. Non solo cura la gestione del bollettino della Philip K. Dick Society di Paul Williams (amico ed esecutore testamentario dell’autore de La svastica sul sole), ma scrive i suoi primi trenta racconti a tre isolati dalla villetta trilocale di Francisco Street dove il suo idolo abitò tra il 1950 e il 1958.  Questo per avere un’idea dell’intensità che l’influenza dello scrittore californiano ha su di lui, specialmente agli inizi.

Era come vivere nella Bohème – grandioso, estremamente romantico. Eravamo poveri? Avevamo una casa, ma mai abbastanza soldi (…) Mangiavamo salsa di pollo Linden e frattaglie, a dieci cent la scatoletta, una volta alla settimana – o anche più spesso. Lo adoravamo! Con patate al forno o cotte al vapore.

Kleo Mini, prima moglie di Dick cit. in Lawrence Sutin, Divine Invasioni

Aneddoti come quello della carne macinata di cavallo, episodi e vicissitudini appartenenti alla vita e giocoforza alle pagine dei romanzi e racconti di Dick si tramutano in un’immensa voragine esperienziale dentro la quale Jonatham Lethem sprofonda in maniera sempre più decisa e – cosa molto importante – consapevole. Una sorta di ruzzolata nel calderone del druido di Asterix, la stessa grazie alla quale Obelix si ritrova maggiorato a vita di una forza altrimenti impensabile. Questa contagiosa magia che Lethem si porta dietro fuoriesce senz’altro dalle opere di Dick, ed è cosa buona e giusta la riconoscenza verso i miti da cui si trae linfa per nutrire il proprio immaginario.

Tutti i meriti del caso, quindi, vanno alla casa editrice italiana che ha pubblicato in anteprima mondiale questa ultima fatica dell’autore di Concerto per archi e canguro (altro capolavoro avantpop dalle chiare tinte dickiane): quasi un omaggio al fuoriclasse di Brooklyn, del quale sembra amare particolarmente le forme brevi. In Crazy Friend infatti compaiono anche alcuni racconti in cui Lethem scava proprio in questo solco presente tra gli accadimenti reali e quello che i protagonisti vivono (esemplare il brevissimo Phil sul mercato, dove Jonathan si immedesima – appunto – in Philip nel momento in cui presenta ai suoi ex colleghi di lavoro il suo primo volume pubblicato, Il disco di fiamma), percorrendo una via verso quest’autore già affrontata con maggiore decisione e intraprendenza da Emmanuel Carrère. L’autore francese, nella sua biografia esplicitamente romanzata[3], parte da alcuni stralci di realtà della vita di Dick e arriva a dipingere situazioni assolutamente intime e personali mai documentate – con tanto di battute – perlustrando con maestria quel terreno ibrido che si potrebbe definire di “verosimiglianza o realismo psicologico”.

Negli altri racconti Lethem aggiorna e attraversa – con varianti nelle quali si comincia a riconoscere il suo stile maturo – ulteriori tematiche dickiane, come per esempio la droga e l’ossessivo rapporto tra uomo e donna (La Cattedrale senza macchia), o ancora l’invasività delle réclame ne Il Pubblicitario.

Quella di Dick è una voce importante, una voce che amo. È una compagna della mia vita. Come cantava Bob Dylan di Lenny Bruce, he’s gone, but his spirit lingers on and on[4]

Crazy Friend p.35

Philip K. DickNella parte saggistica di Crazy Friend ci sono diverse introduzioni a raccolte di racconti e romanzi del suo primo ispiratore, ai quali Jonathan riserva un’attenzione e una cura quasi amorevole, sottolineando quanto certi lavori siano stati troppo poco considerati. Uno su tutti si merita la sua palma d’oro personale, ma c’è anche quello che si guadagna la peggiore stroncatura possibile: parliamo, rispettivamente, di Cronache del dopobomba eVulcano 3. In mezzo c’è una carrellata di valutazioni e rivalutazioni che va dai classici La svastica sul soleUbikMa gli androidi sognano pecore elettriche?Un oscuro scrutareLe tre stimmate di Palmer Eldritch fino a Noi marzianiValisGuaritore galatticoIllusione di morte... Occorre precisare che Lethem non riesce mai ad essere lucido e distaccato (e forse è anche una fortuna), perché la sua storia personale – di uomo e scrittore – è legata a doppio filo a ciò di cui parla. Dove Lethem cerca di essere più serioso e ‘critico’ – parliamo comunque di scritti datati – è quando parla delle fallite aspirazioni del Dick mainstream (la maggior parte delle quali trovarono la strada della pubblicazione solo dopo la sua morte, sull’onda del successo della produzione fantascientifica) o ancora quando si sofferma su cosa dovrebbe avere un romanzo per essere definito dickiano.

Spesso la passione per Philip K. Dick si accompagna alla simpatia per Thomas Pynchon: in effetti i due condividono i temi dell’assurdità e del complotto, ma ben poco altro. Nei gusti dei lettori è frequente l’associazione con William S. Burroughs, il primo Kurt Vonnegut e J.G. Ballard, ma nessuno di questi paragoni rende davvero giustizia alla carica umana semplice e vibrante di Dick.

Crazy Friend p.16

In ultima analisi Crazy Friend piacerà molto agli accaniti lettori italiani di Jonatham Lethem, che lo troveranno nell’insolita veste di fan e scrittore alle prime armi, ma anche ai sempre più numerosi appassionati di Dick, attenti a ogni uscita editoriale legata allo scrittore californiano. Pur nutrendo forti ambizioni di entrare nella letteratura seriosa del mainstream, Dick venne – fortunatamente verrebbe da dire – sempre  costretto  a rimanere una stella lucente nel limbo degli scrittori di genere, condizione che Stanislaw Lem non esitò a definire quella di “un visionario tra i ciarlatani”. E a noi va bene così, vero Jonathan?

Note

[1] Come rileva Lawrence Sutin nella sua biografia ufficiale, L. Sutin, Divine Invasioni. La vita di Philip K. Dick, Fanucci, Roma 2001, p.112
[2] Su questo, come su altri passaggi, la biografia romanzata di Emmanuel Carrère (sorta di Lethem francese) risulta irresistibile.
[3] E. Carrère, Io sono vivo, voi siete morti. Philip K. Dick 1928/1982 Una biografia, Hobby & Work, Milano 2006.
[4] tr.it. Lui se n’è andato, ma il suo spirito resta fra noi

Approfondimenti

Per approfondire, in questa intervista in lingua inglese a Lethem si parlano delle affinità con Dick dalle origini fino al suo ultimo romanzo Chronic City. (Il Saggiatore, 2009)

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