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Fumetto

Gianluca Morozzi

Del Morozzi-verse, incontri incrociati

Contatto Gianluca Morozzi per questa intervista il 2 maggio del 2011. La mattina del 2 maggio, cioè quando la notizia della morte di Bin Laden non è ancora stata diffusa. Peccato, avrei potuto fargli qualche battuta collegata al rock talebano di Colui che gli dei vogliono distruggere. Così, tanto per rilanciare il gioco di citazioni e di riferimenti incrociati che caratterizza il suo lavoro di scrittore. Morozzi ha effettivamente creato quello che, mutuando la terminologia dal mondo dei comic book supereroistici, si potrebbe definire il Morozzi-verse, un universo coerente e articolato condiviso dai personaggi di quasi tutte le sue opere, che possono fare capolino uno nel romanzo dell’altro, o essere semplicemente citati di sfuggita come clin d’oeil al lettore più affezionato.

Gianluca Morozzi

Gianluca Morozzi ha esordito nella narrativa nel 2001 e da allora ha scritto tra fumetti, romanzi e raccolte di racconti, quasi due libri all’anno. Roba da far invidia ad Amélie Nothomb. E la cifra aumenta se consideriamo i suoi testi non propriamente di fiction narrativa, ovvero i saggi su musica e calcio.
Come sappiamo dalle interviste, e come d’altronde possiamo agevolmente intuire dai suoi romanzi, l’autore ama il calcio (nello specifico, il Bologna), la musica (nello specifico, Bruce Springesteen e il rock), le donne (potrei spingermi a dire le bionde musiciste orfane di madre, ma forse peccherei di ipercodifica) e i fumetti (nello specifico, i comic book di supereroi). Sono proprio questi ultimi l’argomento su cui vogliamo soffermarci maggiormente.
Quelle che seguono sono le domande che gli ho posto dopo aver effettuato un’accurata scrematura per eliminare quelle petulanti da fanboy che probabilmente avrebbero interessato solo me (“Chi è la ragazza che l’Orrido si vanta di essersi fatto a Galway?” “Perchè Claudia sembra così consapevole di quello che le è successo quando esce dall’ascensore?” “Perchè ce l’hai così a morte con Galway in Irlanda?” “Ma l’ispirazione dell’ultima canzone di Kabra è veramente il risultato del riverbero dimensionale da Terra L?”…)

Luca Lorenzon (LL): Tu sei nato nel 1971, quindi immagino che da bambino abbia assistito in pieno all’invasione dei comic book americani (la Corno iniziò nel 1970 a pubblicare materiale Marvel e andò avanti per oltre dieci anni, mentre Williams prima e Cenisio poi presentarono i personaggi DC Comics dal 1971 al 1984). La tua formazione fumettistica è avvenuta su quelle testate, che magari compravi in edicola, oppure la passione per i supereroi è arrivata più tardi e ha avuto il viatico del proverbiale fratello maggiore, o chi per esso, che ti passava i “giornalini”?

[...] mio nonno mi ha regalato due fumetti scelti a caso in edicola, ovvero un numero dell'Uomo Ragno, intitolato Faccia a faccia con il morto [...]Gianluca Morozzi (GM): È iniziata quando mio nonno mi ha regalato due fumetti scelti a caso in edicola, ovvero un numero dell’Uomo Ragno, intitolato Faccia a faccia con il morto, e uno dei Fantastici Quattro, L’occhio del male. Di lì a pochi giorni disegnavo l’Uomo Ragno dappertutto. Ho l’atroce dubbio che la storia di quel numero Corno dell’Uomo Ragno si aprisse con una tavola di Ross Andru che ritraeva il nostro alla guida della Ragnomobile… per cui, potrei aver esordito nel mondo dei fumetti con la Ragnomobile. Non andrò a ricontrollare, per paura.

LL: Ne L’era del porco hai intitolato un premio letterario a Peter David e ho letto in una tua autobiografia online che il tuo fumetto preferito è il ciclo di Hulk scritto proprio da lui, quindi immagino che sia David il tuo sceneggiatore preferito. Oltre a lui c’è qualche altro sceneggiatore che ami particolarmente, o anche più di uno? In generale apprezzi di più la complessità di un Moore, uno Straczinski o un Ellis o la guasconeria di Ennis, Millar e di certo Morrison?

GM: Mettiamola così: nel campo dei classici fumetti seriali di supereroi, David è uno dei miei preferiti. Più in generale, Moore è talmente il numero uno che il numero due è terzo. Morrison per me è un mito assoluto, ho adorato le sue cose tipo The invisibles e anche le sue serie supereroistiche come gli X-men o Batman.
Ennis: io sono un ennisiano assoluto. Hitman è una delle mie serie preferite in assoluto, Preacher lo so a memoria (a proposito, non ascoltate quel che si dice in giro, ha un finale bellissimo), il Punisher Max è straordinario, il suo Hellblazer, The Boys… Non so se mi sono spiegato.

LL: E tra i disegnatori di supereroi quali ti piacciono di più? Quelli dal tratto caricaturale come Ramos, o i realisti come Hitch e Van Sciver? O magari preferisci i classici come Kirby, Colan, Buscema, ecc.?

GM: Io a Ramos gli spezzerei le dita. Come le avrei spezzate a Todd McFarlane. Tra i grandi classici: Kirby, Colan, John Romita sr., Neal Adams e tutti e due i Buscema (sì, anche Sal) ovviamente mi piacciono, mi piace Alan Davis, Brian Hitch quando non tira via, John Romita jr., Dale Eaglesham, Mike McKone. Oh, J.H. Williams III. Uno che mi procura uno strano, inspiegabile piacere fisico, comunque, è Paul Pope.

LL: Se potessi scrivere un fumetto di supereroi a quale personaggio o serie ti dedicheresti? Ti faccio questa domanda perché considerando i tuoi gusti in fatto di fumetto viene spontaneo pensare che ti piacerebbe scrivere un fumetto di supereroi ma magari, in realtà, non ti importa…

GM: Parli di una serie esistente? Secondo me si potrebbero fare grandi cose con Il cavaliere nero, che è un po’ sparito dal giro grosso. O rilanciare Hulk. O continuare la dinastia degli Starman.

LL: Oltre ai comic book hai citato spesso anche Andrea Pazienza, che quindi immagino costituisca un’altra delle tue letture fumettistiche preferite. A parte supereroi e underground italiano, c’è qualche altra scuola di fumetto o autore singolo che conosci e apprezzi? Ovviamente non valgono Petrucci, Camuncoli e Squaz come risposte…

GM: Ma Leo Ortolani invece vale, giusto?

Colui che gli dei...

LL: Nei tuoi romanzi c’è un fittissimo gioco di rimandi e relazioni tra personaggi. I protagonisti di una storia possono comparire in ruoli secondari anche in altre, poi ci sono situazioni in progress come quella di Kabra, del quale seguiamo l’evoluzione – dopo Desperoin Colui che gli dei vogliono distruggere. Bisogna stare attentissimi per godersi tutto in pieno, ad esempio per apprezzare il fatto che il Kriminal protagonista di una semplice citazione ne L’Abisso è lo stesso a cui viene dedicata una breve scena ne L’era del porco (e anche uno dei locali del Ferro di Blackout fa capolino altrove: i tuoi romanzi bisogna leggerli col blocco degli appunti accanto, accidenti). È stata una cosa voluta e conscia fin dall’inizio, ispirata magari da Balzac e al suo chiarimento retrospettivo (oppure dalla Nouvelle Vague, o magari da Stephen King), o invece è nato tutto senza pianificare?

GM: Avevo in mente Stephen King (io ho goduto quando sono tornati Randall Flagg, il pagliaccio Pennywise e il prete de Le notti di Salem nel ciclo della Torre nera) e Irvine Welsh, che fa sempre incrociare i suoi personaggi. Poi, be’, se uno non sa che la storia del rock talebano di Colui che gli dei fa riferimento a Luglio, agosto, settembre nero, sopravviverà lo stesso, spero…

LL: A proposito di questi incontri incrociati: esiste già nei tuoi progetti più immediati un romanzo che racconti la storia della ragazza che lo Zombi incontra sulla panchina a poche ore dalla “laurea” ne L’Abisso, quella che vuole vendicare l’amica uccisa dal Corvo?

GM: Me lo chiedono tutti. È uno di quei personaggi che galleggiano nel limbo in attesa di essere ripescati, prima o poi, forse, un giorno. Chissà.

LL: La costituzione di questo Morozzi-verse va a influire non solo sugli aspetti narrativi dei romanzi, ma anche su quelli – diciamo così – fatici. Su Spargere il sale, ad esempio, tu hai scritto chiaramente che la presenza dei marziani ne L’era del porco andava intesa come reale, mentre io l’avevo interpretata come un’allucinazione, o una boutade estemporanea (come i nonni che guardano Lajos dal paradiso). Insomma, uno deve prendere  tutti i tuoi libri, sia per sapere che fine hanno fatto alcuni personaggi, sia per avere un’esegesi degli stessi romanzi fornita nientemeno che dal loro autore! Ok, questa non è una domanda, ma se hai qualcosa da aggiungere…

GM: E non hai ancora visto i marziani nuovi, giunti a sostituire i vecchi, ormai completamente impazziti per colpa delle culture terrestri, che appaiono su Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen Be’, io i marziani non li vedrei così reali, tutto sommato… insomma, non capiterà mai di vederli scendere sulla terra e interagire con l’Orrido (che non si scomporrebbe affatto, peraltro). Sono come l’angelo Karmelo o il Foscolo incatenato dei libri di Paolo Nori, diciamo…

Gianluca Morozzi

LL: La storia della letteratura italiana contempla dei veri e propri spin-off già con Manzoni e De Roberto, peraltro anche ben progettati a livello commerciale. Recentemente anche Gianrico Carofiglio ha dedicato un fumetto disegnato dal fratello Francesco a dei personaggi che compaiono nei romanzi dell’Avvocato Guerrieri. Tu però non ne hai fatti di veri e propri, i tuoi (sempre ricorrendo alla terminologia del mercato statunitense di comic book) sono più che altro dei team-up, per cui, ad esempio, in un romanzo dedicato ai Despero fanno capolino i Sickboys. Hai mai pensato di scrivere invece dei veri e propri spin-off, strutturandoli proprio come tali: magari le origini segrete di Zanna, di Billy Campbell o financo del barista Ringo?

GM: Il barista Ringo ha un sacco di storie da raccontare, e un giorno lo farà. È il mio Sean Noonan. Di Zanna qualcosa si è scoperto ne Il mondo trema, il romanzo a puntate che avevo iniziato a pubblicare sulla rivista Fernandel prima della chiusura della sua versione cartacea. Billy apparirà in un progetto chiamato Hellzarockin’, a cui sto lavorando con Michele Petrucci e altri disegnatori. In generale sono molto favorevole agli spin-off!

LL: Shatterthunder è nato per caso, magari come ulteriore omaggio al mondo dei supereroi, oppure avevi già in mente sin dall’inizio quello che poi sarebbe stato il suo ruolo? O magari (Iddio non voglia) è ispirato a una persona reale?

GM: Shatterthunder è uscito da una caverna della mia mente un pomeriggio del 2000 in via Galliera, a Bologna. Non so perché, davvero. È nato, punto. Volevo scrivere un racconto per Inchiostro (la rivista su cui è nato l’Orrido!) intitolato Shatterthunder contro Neil Young, poi invece l’ho tenuto da parte per un po’… Per delinearlo, ho pensato un po’ a Sixpack di Hitman e un po’ a un edicolante di Ozzano che ho visto una volta…

LL: Il tuo personaggio che mi  ha colpito di più è Elettra, che però ha subito una certa evoluzione tra L’era del porco e Colui che gli dei vogliono distruggere. Nel primo, più che semplice psicopatica, era decisamente stronza (questa almeno la mia impressione) e aveva uno spiccato lato sadico, mentre quando la rivediamo nei Despero è un personaggio lunare, avulso dalla realtà e con tendenze, per fortuna subito rientrate, più masochiste e autolesioniste che sadiche. L’Elettra de L’era del porco mi irritava, quella di Colui che gli dei vogliono distruggere mi ha fatto tenerezza. È solo una mia impressione o è stata un’evoluzione voluta? O forse si tratta di due Elettra diverse, di universi differenti (impressione suffragata dal fatto che il David Bowie citato ne L’era del porco ha un corrispettivo supereroistico buono, mentre in Colui che gli dei vogliono distruggere è un villain)?

GM: No, sono la stessa Elettra, che ha avuto esperienze che non sappiamo al seguito di Dylan (un giorno forse le racconterò), che ha diverse personalità, e che, soprattutto, nell’Era del porco è l’oggetto del desiderio di Lajos, mentre in Colui che gli dei è un’inseguitrice, per cui si comporta in modo opposto. Per i vari David Bowie, ricordati che Shatterthunder non vede solo Terra Prima e Terra L, vede tutti gli universi paralleli… poco lucidamente, ma li vede.

LL: Quando scrivi romanzi e racconti, anche quelli dai toni più cupi, la tua cifra stilistica dominante è l’ironia. Certo, non è che in Blackout ci si ammazzi dal ridere, ma anche lì non mancano momenti più leggeri (il finale, poi…). Io sinceramente ho trovato anche alcune sequenze di Cicatrici molto divertenti nonostante siano allo stesso tempo tragiche.
Quando scrivi fumetti, invece, mi sembra che tiri fuori il tuo lato più oscuro. Forse sono le tematiche che richiedono un certo distacco: ad esempio il meccanismo della “storia nella storia” de Il vangelo del coyote richiede un procedere più cauto o misurato, e lo stesso si può dire della fantascienza introspettiva e analitica di FactorY. È anche vero che in parte è il passaggio da un medium all’altro a creare una maggiore crudezza (un neonato sciolto nel microonde è senz’altro più impressionante se lo vediamo disegnato invece che descritto), ma te lo chiedo lo stesso: quando scrivi sceneggiature hai un altro approccio al testo scritto rispetto alla letteratura tout-court , al di là delle ovvie differenze tecniche? O forse è l’apporto dei disegnatori a smorzare l’ironia che avresti usato in un altro contesto? Credo ad esempio che la proposta di mettere degli assorbenti in bocca per fermare l’emorragia ne Il vangelo del coyote sarebbe stata più gustosa se avessi potuto descriverla per esteso invece che “bruciarla” con un breve dialogo.

GM: In realtà potrei scrivere fumetti comici come fumetti tetri, esattamente come faccio nei libri. Si vede in Pandemonio, credo, il lato comico. Solo che, be’, Il vangelo del coyote è nato dalla richiesta di Guanda di una graphic novel dai contorni noir, FactorY da un’idea di Petrucci che decisamente non richiamava atmosfere divertenti… E comunque l’ironia non la devo mettere dappertutto. La scena degli assorbenti sarebbe stata un po’ troppo comica per la sequenza di Skoda e Liù…

Serie Factory

LL: Mi permetto di fare un’ulteriore distinzione a proposito della struttura dei tuoi romanzi: quelli che parlano “d’amore, di strada e di rock” si sviluppano per accumulo, con brani satellitari che si innestano nel tessuto di base, e lasciando sempre aperta una porta per sviluppi futuri; mentre i thriller Blackout e Cicatrici procedono spediti verso un finale a effetto che, per quanto possa “rilanciare” la trama (Cicatrici) porta comunque la narrazione alla conclusione. È una scelta stilistica che ti sei imposto, magari per differenziare la tua produzione (ne L’abisso mi pare che queste tendenze tendano a confluire), oppure questa differenza strutturale è nata per caso?

GM: Non è la stessa cosa, per me, strutturare mentalmente un libro sghembo come Nato per rincorrere, divertente, episodico, con assurde interviste infilate tra un racconto e l’altro, e scrivere un romanzo con una trama ben precisa come Cicatrici. È come pensare alla struttura di qualche storia di Zanardi come Giallo scolastico e a quella di Pentothal… L’Abisso è un po’ un ibrido tra i due, in effetti. C’è chi l’ha trovato molto divertente, e chi ansiogeno.

LL: Il film tratto da Blackout: è stato distribuito in Italia? Tu hai potuto vederlo? Se sì, come ti è sembrato?

GM: No, in Italia non è stato distribuito. Io però l’ho visto. La regia è buona, la figura di Karl (alias Ferro) è ben interpretata, ci sono alcune buone trovate… non sono molto d’accordo su come hanno deciso di risolvere il finale, francamente. Ma vabbè

LL: Infine, una curiosità: pensavi a qualcuno in particolare nel delineare la figura del fumettista italiano a cui hanno dedicato il film in cui Claudia di Blackout ha fatto da comparsa? Io ho una mia teoria, ma non so se è corretta…

GM: Lo è. Pensavo alla scena in cui Zanardi e Colasanti si fanno notare in discoteca.

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