C’era una certa curiosità verso L’erede. Una produzione italiana, di basso budget, che proponeva un film di genere, scritto e diretto da un regista di cortometraggi alla sua prima fatica con un lungometraggio, aiutato nella stesura della sceneggiatura da un pezzo da novanta come Ugo Chiti. A fare da sfondo paesaggistico alle vicende, l’amena campagna di Marche e Abruzzo, poco sfruttata in genere dalle produzioni cinematografiche ( il film, infatti, oltre a fruire dei sostegni governativi, ha ricevuto anche il supporto della Regione Marche-Marche Film Commission). Tale curiosità si è arrestata però subito con le prime scene, quando evidenti pecche nella sceneggiatura si sono sposate con la classica immagine “piatta” delle peggiori riprese televisive nostrane, frutto in questo caso dei pochi mezzi a disposizione, ma anche di una fotografia trascurata. A sorprendere particolarmente in negativo, è arrivata poi la bidimensionalità dell’anonimo personaggio principale interpretato da Alessandro Roja, il “Dandi” della serie Romanzo Criminale, qui al suo primo film da protagonista. Ma andiamo con ordine.
Il soggetto de L’erede prende spunto dalla vera storia del suo autore Michael Zampino che, in seguito alla morte del padre, ha ereditato una villa nel centro Italia di cui non era a conoscenza. Nella storia è Bruno (Alessandro Roja), un radiologo milanese, che riceve in eredità dal padre una vecchia villa sugli Appennini. Dopo una fugace notte d’amore con la sua ragazza americana (che nella storia sparisce per riapparire solo alla fine del film, rendendo inutile ai fini della trama il personaggio), Bruno fa la conoscenza degli unici vicini presenti. La signora Paola (Guja Jelo) – una figura che ricorda vagamente l’Annie Wilkis di Misery – che mostra subito interesse verso la casa, il taciturno e corpulento figlio Giovanni (Davide Lorino) dal comportamento sociopatico, e sua sorella Angela (Tresy Taddei), a cui viene affidato lo scontato ruolo narrativo di “aiutante” del protagonista (con altrettanto scontata ma fugace scena di sesso).
Michael Zampino, laureato in Economia, con una specializzazione in Cinematografia a New York, diversi riconoscimenti per corti e sceneggiature, alla presentazione della pellicola prodotta dalla Panoramic Film – da lui stesso fondata nel 2005 – ha dichiarato: “Penso sia d’obbligo per un primo film cercare ispirazione dai grandi classici. Personalmente ho rivisto film come Shining e Rebecca anche per capire come grandi registi, come Kubrick o Hitchcock, hanno raccontato un luogo, un’atmosfera. Sono anche fan del cinema dei Coen, che non rinuncia mai all’assurdo, all’ironia, pure affrontando temi importanti come la perdita dei valori o la banalità del male”. Premesse interessanti quelle di Zampino, che se dai Coen prova a riprendere le atmosfere di “Fargo”, non riesce però a eguagliarne lo spessore nella sceneggiatura e nei dialoghi, risultando ancor più distante nell’arte del creare la tensione propria di maestri come Kubrick e Hitchcook. L’erede infatti non riesce a trasmettere totalmente quell’inquietudine strisciante e quel senso di minaccia sospesa che vorrebbe il regista, al di là di qualche momento interessante e alcuni espedienti narrativi ambiziosi (tra tutti, la presenza dei conigli per legare i diversi capitoli della storia). Nelle idee dell’autore, l’atmosfera giusta poteva essere fornita anche dalla particolare location, ma la mancanza di un’adeguata fotografia non la valorizza al punto da trasmettere emozioni e coinvolgere lo spettatore. Effetti sonori e musiche sono dosati male, alternando momenti di silenzio che rallentano la scena facendo perdere la piacevolezza della visione, a momenti in cui i suoni sono troppo marcati. La mancanza di empatia dello spettatore con la storia è poi amplificata, come già anticipato, dall’anonima interpretazione di Alessandro Roja, più attento a ricalcare un personaggio che a immedesimarsi nello stesso. Fa da contraltare invece la buona prova di Guja Jelo, che, alle prese con una caratterizzazione sicuramente più complessa, riesce a far da traino e dare un po’ di spessore al film. Meno buone quelle di Davide Lorino, che carica talmente la sua figura da apparire grottesco, e di Tresy Taddei, che fa la sua parte senza grosse sbavature ma neanche particolari guizzi di talento.
L’idea di fondo del soggetto di Zampino era quella di calcare, attraverso un classico conflitto tra classi sociali, quel filone thriller di un cult come Un tranquillo week-end di paura con relativa discesa nella follia e nella violenza, sfruttando la location fornita da un microcosmo rurale in grado di gettare velati rimandi alle drammatiche pagine di cronaca nera nostrana. Un’idea sicuramente interessante che però, al di là delle ingenuità registiche, pecca in fase di sceneggiatura. Oltre al tratteggio dei personaggi di cui in parte si è già parlato, questa risulta mal dosata per creare quel mix di violenza e ironia grottesca che Zampino vorrebbe nelle sue intenzioni mutuare dai Coen. I rari momenti di comicità, seppur apprezzabili singolarmente, sono infatti distribuiti male all’interno della storia, al punto da creare un’incongruenza nelle stesse singole scene. I dialoghi poi, anziché dare quel tono surreale a cui evidentemente mirava Zampino, risultano spesso parentesi grottesche che cozzano con la storia e svelano l’intenzione fallita degli autori. In definitiva, quindi, questo primo lungometraggio di Michael Zampino appare un lavoro immaturo, sia dal punto di vista registico, sia – e la cosa sorprende decisamente di più – da quello di script. Sorprende perché, oltre alla mano di Zampino già esperta in sceneggiature, c’è quella di un mostro sacro nostrano come Ugo Chiti, che vanta tra i suoi lavori gli script di Manuale d’amore (2006) di Giovanni Veronesi, L’Imbalsamatore (2003) e Gomorra (2007) di Matteo Garrone.
L’intenzione sicuramente ammirevole di riproporre in Italia un cinema di genere (filone sempre più distante dalla produzione nostrana), calcando le orme di una cinematografia più internazionale, non è stata supportata però dai risultati. Ancora una volta il cinema italiano è sembrato incapace di fare propri quei codici e quegli stilemi tipici del thriller. Un problema ormai quasi culturale, che emerge anche dal lavoro del regista italo-francese, nonostante le pagine americane del suo percorso di studi. Probabilmente al volenteroso Zampino sarebbe bastato rivedersi qualche cult italiano di Bava, Argento, Avati, Martino, Lenzi, Fulci, modelli e icone per i nuovi registi statunitensi di genere, ma spesso misconosciuti dai nostri.
Regia: Michael Zampino
Sceneggiatura: Michael Zampino, Ugo Chiti
Attori: Alessandro Roja, Tresy Taddei, Davide Lorino, Guia Jelo
Fotografia: Mauro Marchetti
Montaggio: Fabio Nunziata
Musiche: Riccardo Della Ragione
Produzione: Panoramic
Distribuzione: Iris Film
Paese: Italia 2011
Genere: Drammatico, Noir
Durata: 85 Min
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