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Scrittura

L’azzardo del tradimento (II)

Effi, Melanie e l'adulterio nella società di Theodor Fontane

Effi Briest, un’altalena che si rompe

“Che ci stanno a fare stufe e camini? ”[1] si domanda Frau Zwicker quando apprende della scoperta dell’adulterio di Effi.

Lettere di Fontane

Lo stesso Fontane riconosce la fragilità dell’espediente narrativo[2], che pur difende perché tutt’altro che improbabile; anche Emma Bovary aveva conservato le lettere dell’amante, ma sappiamo che con ogni probabilità Fontane non conosceva Flaubert, segno che non dovevano essere pochi i tradimenti di cui si apprendeva a causa di questa debolezza. In realtà, se è vero che nella dimensione finzionale il conservare le lettere è un’ingenuità imperdonabile, nella prospettiva dell’autore è una scelta perfettamente coerente con il personaggio. Effi Briest è, per quanto acerba e ambigua, pur sempre una donna e in quanto tale vive del brivido dell’azzardo: ha tradito il marito “per caso” e “per gioco” e non per passione, di conseguenza non si sbarazza delle lettere non perché rappresentino un ricordo romantico (morirà senza essersi mai innamorata), bensì proprio perché costituiscono esse stesse un elemento pericoloso. Tenerle nel tavolino da lavoro equivale a continuare a dondolarsi sempre più vigorosamente sull’altalena, con la consapevolezza che da un momento all’altro si romperà.

Come Melanie, anche Effi tende all’inquietudine, ma è addirittura più mutevole e contraddittoria, un personaggio di complessità difficilmente eguagliabile. È bambina e sposa, poi figlia e madre, ma la simmetria di queste figure non è che il simbolo esteriore della poliedricità del personaggio, la cristallizzazione – volutamente didascalica – di alcuni degli stadi di quella sorta di inarrestabile metamorfosi cui la femminilità la condanna.

Effi Briest non è definibile un romanzo sull’adulterio perché non è vero adulterio quello che la protagonista commette, almeno finché intendiamo l’adulterio come un atto carnale, motivato da un impulso sessuale. Ciò che nel romanzo succede tra Effi e Crampas altro non è che un’espressione dell’inquietudine incessante che tormenta la giovane, quasi un’istantanea, presa ad emblema, di questa giostra di positivi e negativi che è l’interiorità della protagonista. Effi non è una donna passionale: sappiamo che è poco incline congiungersi con il marito, non perché abbia disgusto della persona di Instetten, ma per un infantile, generico imbarazzo dell’intimità. La sua sessualità, addirittura, sembra non essere neppure ancora ben definita: non solo Fontane ce la presenta come un “maschiaccio”, ma in alcune occasioni le mette in bocca apprezzamenti ambigui e poco femminili, addirittura sulla propria madre. A dispetto di ciò, cede al desiderio per Crampas (desiderio del quale, peraltro, il lettore fatica ad immaginare il tormento). Effi non ha neppure fantasie sentimentali, anzi fa mostra di avere in scarsa considerazione l’ideale amoroso, ma nonostante questo è vinta dalle lusinghe di un donnaiolo che cita – sbagliando – Heine. Non è, insomma, il tipo di persona che ci si aspetta che tradisca il marito, perché ci viene presentata completamente aliena dalle tipiche motivazioni dell’adulterio: innamoramento e (o) desiderio sessuale. Effi si concede a Crampas per evitare la tranquillità e la noia che da essa deriva, per provare non l’ebbrezza del sentimento, ma del pericolo e della colpa. Non per nulla, l’uomo che conduce Effi alla perdizione non è il giovane e brillante cugino, ma il maturo e scapestrato maggiore, amante del rischio e sempre impegnato ad inventare passatempi, Doppelgänger maschile di Effi stessa e della sua noia immanente.

La signora Instetten, per certi versi, non tradisce veramente il marito, perché non volge verso altri né il proprio affetto, né il proprio desiderio. Quel che fa non è che inventare un diversivo (tendenza alla quale, per natura, non può opporre resistenza) per rompere la monotonia della sua vita, per fuggire – seppur brevemente, poiché presto anche il rapporto con Crampas diventa una routine alla quale non è capace di sottrarsi – al tedio esistenziale che la angustia. La connotazione sessuale del gesto è, in realtà, quasi marginale. Quella dell’adulterio non è né più né meno che un’astuta scelta dello scrittore per strutturare una vicenda tragica, moderna e appassionante (e di successo) intorno a quest’altro metafisico lancio di dadi. Nuovamente, il vero oggetto del romanzo non è il peccato, non è il travaglio amoroso, né sono le peripezie sentimentali. Non sappiamo nulla, infatti, di come gli amanti vivano il loro rapporto, se non molto tempo dopo che questo si è concluso grazie agli stralci di stucchevoli messaggi (quasi che gli amanti recitassero la parte che la situazione richiedeva) che leggiamo attraverso gli occhi di Instetten. Il tema è ancora il gioco, il bisogno di rischiare e andare fino in fondo, anche se dovesse significare perdere tutto, la necessità quasi fisiologica di provare quel brivido, che Fontane aveva conosciuto attraverso il genitore.

Il tema dell’adulterio, per giunta, ha anche in quest’opera un’ulteriore funzione, ed è nuovamente quella di analizzare la società descrivendone le reazioni. A dodici anni da L’Adultera, l’aristocrazia non è più foriera di valori morali e non costituisce più un modello di comportamento. È, al contrario, in piena decadenza, preda di una sorta di crisi di identità di fronte al crescente imporsi della borghesia, abbagliata dal lusso, dalla ricchezza fine a se stessa, stregata dalla mondanità della metropoli e dalla frenesia della modernità. Effi Briest si svolge in un tempo e in un luogo – la Prussia di Bismarck che sta dando vita alla Germania – in cui questo mutamento è in pieno divenire e vede confrontarsi due nobiltà, quella ancora legata ai valori tradizionali e quella già in declino. Quest’ultima è in parte rappresentata dalla stessa Effi – che non si adatta mai alla vita modesta della provincia, ma che, soprattutto, non è salda nei principi e viene vinta, se non dalla passione, dalla noia, incapace di riconoscere ed accettare il proprio ruolo e il proprio compito – e in parte attraverso le figure dei suoi genitori: uno junker anziano e tutto sommato affettuoso, ma distante dal modello del nobile integerrimo, con le sue strampalate idee sull’affetto degli animali e l’eccessiva attenzione ai profitti delle sue coltivazioni di colza, e una donna dal fascino e dalla volontà prepotenti, ossessionata dal prestigio e dal successo in società, entrambi colpevoli di non aver educato la figlia nel dovere e nel rigore.

Neuruppin

Instetten è, invece, l’incarnazione dei valori di integrità e rettitudine che stanno divenendo anacronistici, tanto che egli stesso, dopo l’omicidio di Crampas, è tormentato dal dubbio e dal rimorso, segno che il sentimento di fin de siecle è più che mai giustificato e la trasformazione epocale inevitabile e imminente.
Agli antipodi di Van der Straaten, il marito di Effi Briest va – in una specie di gioco di affinità elettive – fino in fondo come Melanie e, di fronte ad un evento che non può non mutare i rapporti e le condizioni sociali di chi ne è artefice o è coinvolto in esso, reagisce come il suo status sociale gli impone di fare; più volte sostiene di non avere alternative e, di fatto, per lui non ce ne sono. Un altro uomo, in un’altra condizione – ci è concesso speculare – potrebbe scegliere di perdonare, dimenticare, fingere di non sapere, ma Instetten, con la sua impostazione morale e l’educazione marziale che ha ricevuto, davvero non può fare altrimenti; egli non uccide Crampas perché è incapace di vedere un diverso epilogo, lo fa perché sa che qualsiasi altra soluzione non sarebbe tale per un uomo del suo rango, tanto che lo stesso Crampas, che non rispetta, ma ha in comune con lui il medesimo concetto di onore, non è stupito dalla richiesta di duello che viene avanzata dopo tanti anni e non è sconvolto dalla fine che incombe improvvisa e inattesa, perché ha sempre saputo che non avrebbe potuto essercene altra per chi, come lui, a quel concetto di onore veniva meno. Quando in precedenza, infatti, Crampas si era detto “nato per corda”, Fontane non si stava limitando ad una delle sue consuete e ben orchestrate anafore, ma sottolineava come i valori di Instetten fossero – o dovessero essere – condivisi da tutta una categoria sociale, a riprova che il marito di Effi è emblema di un’intera comunità e non un personaggio particolare.

Più delle fedifraghe, in questi romanzi di quello che si potrebbe osare chiamare “adulterio accidentale”, sono interessanti i “cornuti”, solidali loro malgrado con le conseguenze delle scelte delle mogli, intrappolati in un destino che non hanno contribuito a forgiare, irrisi dal caso, davanti al quale tutti gli accorgimenti adottati per sfuggire all’onta del tradimento sono ridicoli e vani, come il grottesco memento del quadro del “predestinato” Van der Straaten, o l’onnipresente spaventoso fantasma del cinese del “previdente” Instetten. La tendenza al cambiamento delle donne è invincibile, è una pulsione irrazionale alla quale loro stesse non sono in grado di resistere e a nulla valgono i tentativi dei mariti di impedirne l’urgenza. Van der Straaten lo ha ben presente, infatti non è sconvolto dalle rivelazioni della moglie, non fa altro che prendere atto che l’evento da lungo previsto si è verificato; ciò che trova, infatti, non è una soluzione, ma un accomodamento, perché è consapevole che non esiste soluzione definitiva, anzi preconizza che Melanie attraverserà ancora, un domani, lo stesso turbamento. Instetten è distrutto, è colto completamente di sorpresa, è disgustato da un atteggiamento che non aveva immaginato e si affanna a ripristinare la rispettabilità sottrattagli.

Il romanzo Effi Briest

A più di cent’anni dalla creazione di queste due figure, quella che desta maggiore simpatia è quella del borghese cinico, eppure capace di comprendere fino in fondo la moglie e perdonarla, ma nel contesto sociale di Fontane egli doveva sembrare, con la sua indulgenza e la noncuranza verso le regole sociali, complice, anzi ancor più responsabile, dell’adultera della deriva della morale comune. Uccidendo Crampas, invece, il magistrato Instetten non vendica un torto, né sfoga il proprio odio verso un rivale (che tale non è e che, giustamente, come tale non percepisce), bensì si fa difensore di un principio superiore, di una giustizia morale che trascende il caso del singolo, di un concetto di nobiltà che i contemporanei stanno perdendo di vista, ma che è, nella mentalità di Instetten e di Fontane, ancora massima espressione di civiltà.
Sempre da una lettera, apprendiamo che Fontane è quasi indispettito dalla scarsa simpatia che il pubblico nutre per Instetten, segno che l’autore si sente il solo a comprendere la morale del suo aristocratico personaggio. Guardando intorno a sé, egli non vede che aristocratici decadenti come i Briest, già incapaci di condividere veramente le ragioni di Instetten, già inclini alla comprensione della colpa della figlia, eppure inizialmente crudeli e distanti da lei, in nome di una rispettabilità di facciata che non corrisponde più all’integrità d’animo, ma è ipocrita adeguamento alle aspettative della società. Se Effi non aveva scelta a causa della natura femminile e, in considerazione del movente di carattere non passionale all’adulterio, potrebbe quasi dirsi “assolta per non aver commesso il fatto”, se Instetten, pur con il suo rigore e la sua severità, resta, anche al di fuori dell’ottica dell’autore, l’ultimo baluardo di una condotta consona alla classe più elevata della società, e se il padre di Effi è troppo ironico e affettuoso (a momenti commovente nel suo goffo, tardivo, riscatto) per essere considerato un personaggio completamente negativo, perfino quando la sua superficialità storna dalla coppia ogni responsabilità per il destino della figlia, la madre di Effi è, invece, l’univo vero personaggio negativo. Luise rappresenta la nobiltà cui non basta più il proprio status, ma che anela a sempre maggiori ricchezze e prestigio, che ha assunto, cioè l’atteggiamento spregiudicato e deprecabile della borghesia. Pur appartenendo all’aristocrazia terriera, infatti, si comporta come una delle figure femminili di estrazione borghese dell’autore (Jenny Treibel o Mathilde Möhring, per esempio), soggette, sì, alla continua insoddisfazione e desiderose di cambiamento, ma orientate nell’unica direzione del profitto e del vantaggio personale, donne calcolatrici e con chiari obiettivi da realizzare, distantissime dalla nobile nonchalance con cui le aristocratiche si affidano al Glück. Attraverso questo personaggio, non realmente nobile e non fieramente borghese, Fontane palesa e conclude il suo giudizio sulla società che lo circonda, che sembra disgustarlo da ogni dove, ma per la quale non c’è una cura. La borghesia è spregevole e l’aristocrazia non è da meno poiché i suoi membri si omologano al modello comportamentale che viene dal basso. L’ideale prussiano che guida le azioni di Instetten non solo non è più condiviso dalla totalità della classe sociale che dovrebbe rappresentare, ma, non costituendo più l’esempio morale, è divenuto estraneo alla società stessa e si è trasformato in causa di sofferenza per tutti, e principalmente proprio Instetten, che alla vergogna del tradimento rivelato aggiunge il rimorso dell’omicidio e della rovina della donna amata. Nessuna classe sociale si salva, Fontane è come un dottore – pardon, un farmacista – che osserva l’inarrestabile diffusione di un’epidemia per la quale non ha medicine.

Berlino alla fine dell'Ottocento

Il massimo che può fare è rilevare e denunciare ciò cui assiste; forse non intendeva svegliare le coscienze, ma almeno farle rimordere è plausibile credere, e la storia di uno scandalo sullo sfondo della metropoli doveva apparire adatto a parlare a molte di esse. Se lo scopo di Fontane fosse realmente docere et delectare è presuntuoso cercare di stabilire, ma certo è che L’Adultera ed Effi Briest non possano dirsi propriamente romanzi sull’adulterio, non soltanto perché, come detto, il loro fulcro e il loro argomento sono altri, bensì proprio perché altra è la funzione che assumono.

Note

[1] T. FONTANE, Effi Briest, Reclam Verlag 2002, p. 290 [Wozu gibt es Öfen und Kamine?]

[2] Dalle lettere a Ferdinand Avenarius (13 Gennaio 1896) e Maximilian Harden (24 Aprile 1896)

[3] La narrativa di Flaubert ebbe fortuna in Germania solo dopo il 1890 e sebbene Fontane fosse di origine ugonotta, la sua conoscenza delle opere letterarie francesi contemporanee sembra si limitasse alla produzione teatrale che recensiva.

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