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Omnia

La parola ai filosofi

Il Festivalfilosofia 2011 è stato dedicato al tema della Natura. Si è cercato di indagare e spiegare i legami che ci sono tra l’uomo e la natura, come essi si siano evoluti nel corso dei secoli e, soprattutto, come l’essere umano abbia prevaricato, negli ultimi tempi a causa della sua irrazionalità e sete di potere, su di essa. 
Mai come in quest’ultimo secolo, l’uomo ha fatto di tutto per distruggere, in modo graduale e continuo, l’ambiente in cui vive, inquinandolo con sostanze di ogni tipo.
Per cercare di capire cosa abbia originato questa situazione, di ricostruire la storia del rapporto uomo-natura, e capire cosa ci aspetterà per il futuro, ci baseremo sugli interventi di tre esimi filosofi e studiosi intervenuti quest’anno: Remo Bodei, Zgymunt Bauman e Stefano Rodotà.

Remo Bodei, Natura e artificio

Il professor Bodei, Presidente del Comitato Scientifico del consorzio che organizza la kermesse culturale modenese, è docente di Filosofia presso la University of California di Los Angeles, ed è uno dei massimi esperti delle filosofie dell’idealismo classico tedesco. La sua lectio magistralis, tenutasi a Modena in Piazza Grande nella prima giornata del festival, in un torrido quanto insolito pomeriggio settembrino, seguita da un nutrito pubblico, vuole ricostruire la storia delle vicende che hanno segnato il rapporto tra l’uomo e le invenzioni da egli stesso realizzate.

Remo Bodei

Il ragionamento di Bodei parte da lontano, dalla Preistoria, quando sulla Terra c’era ancora l’homo abilis. “Allora – afferma il professore – l’uomo non aveva ancora raggiunto capacità tecniche notevoli, ma sufficienti per poter costruirsi degli strumenti che gli permettessero di sfruttare la natura per i propri scopi”. Con l’assunzione della posizione eretta, si è ritrovato le mani libere dalla deambulazione e, quindi, grazie al pollice opponibile, è riuscito a costruire strumenti amovibili, come l’aratro e gli occhiali. In questo modo, hanno fatto un notevole passo avanti, perché l’uomo ha scoperto la tecnica, che lo ha trasformato in una forma di vita dominante. Utilizzando le mani per costruire, realizzare oggetti e la bocca per esprimersi, dotandosi così di una forma di linguaggio per comunicare con gli altri, l’uomo si è posto in una posizione di superiorità rispetto agli altri esseri viventi, che d’ora in poi non considererà più suoi pari.

“Ma l’uomo non si è adattato alla natura e all’ambiente, ma li ha trasformati, modificati” ha affermato Bodei. Che cosa ha fatto l’uomo, allora? Ha creato un proprio “mondo artificiale”, una seconda natura in cui egli possa sempre restare l’essere dominante e tutto sia progettato secondo i suoi progetti ed intenzioni.
Queste trasformazioni avevano lo scopo di cercare di sfruttare gli elementi e forze naturali che, altrimenti, non avrebbero alcuna utilità, e con cui «l’uomo ha letteralmente piegato la forza degli eventi naturali per sé».
L’uomo, allora, grazie al suo ingegno, sfida la natura sul suo stesso terreno. E noi del pubblico, allora, capiamo anche perché, per lungo tempo, meccanica non ha significato “innovazione”, ma “astuzia” e “inganno”.

Per secoli, infatti, parlare di scienza, tecnica ed innovazione è stato un tabù. Le arti meccaniche, che saranno tenute ben a distanza dalle più meritevoli e degne arti liberali, nascevano come discipline contro-natura, avverse alla vita umana perché appartenevano al regno dell’astuzia e della frode dove opera il male.

E così sarà fino all’età Moderna, fino alla Rivoluzione Scientifica, con Galileo. Lo scienziato padovano, infatti, è stato il primo che ha capito quale dovesse essere il nuovo approccio alla natura: essa non può essere beffata con l’inganno, ma è necessario che venga compresa, studiata e spiegata. La meccanica avrebbe dovuto piegarsi alle leggi della natura, alle sue forze cercando di sfruttarle mediante “prese” che si adattino ad esse – ad esempio, la caduta dell’acqua attraverso le turbine. Ed ecco, allora, la Rivoluzione Industriale, dopo l’invenzione della macchina a vapore delll’inglese James Watt, nel 1784 e, a cavallo tra Otto e Novecento, la Seconda Rivoluzione, che ci ha portato la lampadina, i cavi elettrici, l’aereo, l’automobile.
Non solo: se prima l’uomo modificava e sfruttava gli elementi naturali, come argilla e ferro, ora ne crea anche di nuovi, di “artificiali” che in natura non esistono. Da qui le materie plastiche e i derivati del petrolio. Si potrebbe dire che l’uomo ha superato la Natura in questo processo di creazione, perchè oggi egli “può perfino modificare la vita degli altri esseri viventi, grazie alle grandi scoperte nel campo della biologia”.

Il futuro vedrà nuove invenzioni? Sì, secondo Bodei, e non saranno frutto solo di scienziati attenti e preparati di nome Edison o Newton, ma potrebbero nascere da ognuno di noi, perché chiunque può avere un’intuizione e trasformarla in un’invenzione che potrebbe cambiare il nostro tempo.
A questo fine, il professore lancia un appello: “Nella nostra società vige uno spreco di intelligenza e di vita che dobbiamo combattere, causato dalla troppa pigrizia e dal torpore mentale. Il nostro compito, per il futuro, è risvegliare tali energie sapienti, affinché si rinsaldi il legame tra uomo e natura”.

Zygmunt Bauman, Cos’è accaduto alla natura

Zygmunt Bauman al Festivalfilosofia 2011Sabato 17, Zygmunt Bauman, uno dei più illustri sociologi e filosofi del nostro tempo, – professore emerito di Sociologia presso le Università di Leeds e di Varsavia e da più di quarant’anni in Inghilterra, nonostante leorigini polacche – ha rapito tutti con la sua lezione magistrale. A Sassuolo, sotto un sole cocente che, da lungo tempo, non si ricorda da queste parti, Bauman ha illustrato la causa che ha provocato la crisi economica e finanziaria che ha colpito il mondo in questi ultimi anni: la rottura dell’equilibrio natura-cultura.

Anch’egli, come Bodei, parte da lontano per spiegare meglio i fatti, da quando il concetto di “Natura” indicava una creazione divina e, in quanto tale, incuteva allo stesso tempo timore, paura ed adorazione nell’uomo.
In questo modo, la natura ha sempre rappresentato un qualcosa che andava al di là delle capacità razionali degli uomini, ai quali non era concesso studiarla e capirla.
Così è stato fino all’avvento dell’era Moderna, o meglio, della “modernità”, la quale ha portato un cambiamento della linea di pensiero epocale. Bauman cita una frase di Francis Bacon, filosofo inglese del Seicento: “L’uomo, perché comandi la natura, deve obbedire alle sue leggi”. In questo modo, avrebbe potuto sfruttare a suo favore le forze ed energie naturali.

La conseguenza principale di questo cambiamento di atteggiamento da parte dell’uomo è la rottura del rapporto natura-cultura, dove per natura s’intende la condizione che non è frutto di scelta umana, e per cultura tutto ciò che gli esseri umani erano in grado di fare per soddisfare i propri bisogni. Questo rapporto interrotto ha poi generato due rivoluzioni: la liberazione dei consumi dal vincolo del bisogno e la scissione del legame innovazione tecnologica ed etica.

Il professore sostiene che tutto sarebbe cominciato nel 1784, quando James Watt inventò la macchina a vapore. Questa, però,non è la data che indica la rottura di cui parla, perché essa segnala solo l’inizio del progressivo aumento dell’interferenza delle attività umane nel normale corso della natura. “Nella prima metà dell’Ottocento l’uomo cercava di superare il proprio stato di miseria e infelicità cercando di soddisfare i propri bisogni più essenziali; e, una volta superato il bisogno, non acquistava più prodotti” ha affermato Bauman. Poi, però, quel legame tra consumo e bisogno si è spezzato, trascinandosi fino nel Novecento, in cui siamo diventati “la società del piacere e dell’acquisto”, in cui il consumismo domina le nostre esistenze.

Nel suo ultimo libro, Consuming life, Bauman parla di una società “liquida”, in cui tutti gli uomini puntano solo a migliorare sé stessi nel lavoro, puntando a fare carriera e trascurando gli affetti familiari, le relazioni con gli altri. “L’unico scopo, in questo mondo, non è soddisfare un bisogno, ma cercare un piacere” ha sostenuto il professore. Il controllo dell’uomo sulla natura, le sue intenzioni di piegarla al proprio volere e potere ha causato solo danni ed effetti negativi. Su tutti, l’impoverimento economico e culturale del mondo, causato dall’idea che, per far uscire tutti dallo stato di povertà e miseria, l’unico modo fosse di aumentare la produzione, a dismisura, fino a soddisfare i bisogni di ognuno. E questo modello economico è andato in pezzi proprio pochi anni fa: l’esplosione della crisi del credito negli Stati Uniti, ha portato al crollo del mito dell’infinitezza dell’acquisto e mandato in frantumi anche l’idea di sviluppo e crescita che quel modello economico aveva imposto

Che cosa, allora, ha causato la rottura di quel legame consumo-bisogno? La cultura, secondo Bauman, che l’uomo ha abbandonato da ormai troppo tempo. Gli esseri umani, ponendosi in una condizione di superiorità rispetto alla natura hanno pensato – e pensano tutt’ oggi – che questa possa essere modificata a proprio piacimento, secondo le proprie intenzioni e scopi, soprattutto economici.

Zygmun Bauman a Sassuolo, sabato 17 settembre 2011

A dire di Bauman, per cercare di ricucire quello strappo, è necessario che si verifichi una nuova rivoluzione, dove protagoniste saranno le giovani generazioni, che iniziano a percepire la natura come un valore di per sé e che sono le uniche che “consentiranno di riconnettere l’idea di economia ai bisogni umani”. Il loro compito sarà di unire, di nuovo, l’innovazione scientifica all’etica. La tecnologia, infatti, è nata come modo per poter far uscire l’uomo da una condizione di disagio, serviva per raggiungere degli obiettivi, per realizzare qualcosa di nuovo. Adesso, come per i consumi, l’innovazione ha preso il largo senza una meta definita, e vengono realizzati prodotti che non servono realmente a soddisfare un bisogno.L’illustre sociologo individua come colpevole il marketing, che «ha reso e promosso il consumismo come un’attività morale, desiderio di benessere, che passa attraverso il mercato, generando un circolo vizioso per cui devi lavorare per avere più soldi che ti consentono di acquistare».

Così, negli ultimi anni, il mondo è diventato sempre più immagine e somiglianza dell’uomo, dimenticando la natura, ridotta a mero campo di studi di tutte quelle logìe, così le chiama Bauman, che si occupano di difenderla, di studiarla come l’ecologia e la biologia. Tutto questo, però, ha già causato un danno immediato ed evidente: le tracce umane sono presenti ovunque nell’ambiente.
Riprendendo la teoria di Crutzen dell’antropocene, noi vivremmo nell’era in cui la natura è fortemente contaminata dalla presenza dell’uomo, soprattutto con l’aumento esponenziale delle immissioni inquinanti in atmosfera presente da fine Settecento. “Gli uomini del futuro, ai quali lasceremo in eredità la Terra, studiando la natura troveranno più tracce della mano dell’uomo, delle sue costruzioni ed invenzioni che segni naturali ed ambientali” ha ricordato Bauman.

Allora, cos’è accaduto alla natura? È successo che è stata violentata dall’uomo, colpita e urtata dalla sua cieca smania del piacere, del consumismo sfrenato e senza senso. Davanti ad un quadro del genere, chiunque di noi si scoraggerebbe. Bauman, però, lascia aperta una finestra di speranza:

Oggi è già tardi per pensare di cambiare le nostre abitudini, ma poiché non è il caso di parlare di catastrofi, mi sento di dire che non è troppo tardi. È necessario che tutta la conoscenza che possediamo sia impiegata per soccorrere la Terra e creare un mondo più sostenibile.

Il futuro, quindi, dipende da noi , dalle scelte che compiremo nei prossimi anni: la nostra vita deve essere riformata, si deve verificare quella terza rivoluzione che riporti l’uomo sulla diritta via verso il rispetto della natura e delle sue forze, senza avere la presunzione di controllarla.
La Terra, infatti, ha risorse naturali per soddisfare le necessità di tutti noi, ma non ha energie per colmare tutta la nostra avidità e superbia.

Stefano Rodotà, Biodiritto

Per capire, infine, come l’uomo oggi stia cercando di sostituirsi alla natura, sollevando molti problemi di natura etica, è intervenuto Stefano Rodotà, a Carpi, con la lectio magistralis. Rodotà, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università “La Sapienza” di Roma e, dal 1997 al 2005, Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali ed affezionato ospite del festival emiliano, ha voluto approfondire il problema del biodiritto, ossia quella branca della giurisprudenza che dovrebbe legiferare, secondo giusti criteri, nel campo delle biotecnologie. Il professore si occupa di questo campo da molti anni, come testimoniano le sue pubblicazioni in materia, tra cui La vita e le regole. Tra diritto e non diritto del 2006.
Parlare di biodiritto, tuttavia, significa parlare di qualcosa di più; non solo cercare di difendere la natura dalla mano dall’uomo, ma anche l’uomo dalle stesse innovazioni che egli ha realizzato.

Stefano Rodotà

L’intervento del professore porta come sottotitolo “le regole della vita tra artificio e natura”. Il diritto, infatti, è stato ed è tutt’ora un artificio, un’invenzione dell’uomo. È uno strumento di cui ci siamo dotati, dal tempo degli antichi greci, affinché ci fossero delle regole atte a gestire la società. Biodiritto, invece, è un termine nuovo, nato solo nel secolo scorso. Dovrebbe designare le norme che si occupano di regolare la vita degli uomini nel loro rapporto con la natura, e, invece, così non è.

Come hanno già affermato molti altri filosofi al festival, l’uomo ha spezzato il proprio legame con la natura, in particolare con l’etica, avendo abbandonato la cultura. In questa frattura, si è inserita la superbia degli uomini, attraverso il potere, ponendoli in una condizione di superiorità rispetto alla natura; la primaria conseguenza è stata la nascita dell’idea che il corpo potesse essere dominato e modificato come un semplice e qualunque oggetto. Rodotà ricorda al pubblico presente in piazza il dramma dell’Olocausto, «quando i medici nazisti hanno potuto distinguere tra persone e non-persone, e compiere qualsiasi tipo di barbarie sulle non persone, quali ebrei, zingari e omosessuali».

Tra il 1946 e il 1948, negli anni in cui il mondo scopriva gli orrori nazisti della Seconda Guerra Mondiale, si celebrava a Norimberga il processo ai medici del Terzo Reich, accusati dei crimini più gravi contro l’umanità. Così, la comunità scientifica mondiale, affinché non si ripetessero più quella grave sciagura, ha deciso di autoregolamentarsi dando vita al «Codice di Norimberga», che poneva forti limiti etici all’uso e abuso della medicina e della scienza sui pazienti
“È stato un rovesciamento culturale e politico epocale – ha affermato il professore – perché ha visto il passaggio dalla volontà assoluta dei medici alla nostra, in quanto solo noi possiamo autorizzare i loro interventi”.

La storia dell’innovazione tecnologica degli ultimi sei decenni, d’altra parte, è nota a tutti. Un salto di qualità notevole è avvenuto, in modo particolare, nel campo delle bioscienze, con nuove scoperte nel campo medico e biologico. Innovazioni, però, che si sono inserite in un terreno fino ad allora sconosciuto dal diritto. “Prima si nasceva in un solo modo, dettato dalla natura; oggi, invece, ci sono più metodi” sostiene Rodotà.

Si è posto, dunque, un problema fondamentale: fin dove il diritto, in questa epoca dominata da questi nuovi cambiamenti, può spingersi?
Rodotà porta all’attenzione del pubblico di Carpi un articolo della nostra Costituzione, il 32, dove al comma 2 definisce nettamente il limite oltre il quale la legge, lo Stato, non può spingersi contro la volontà della persona.
L’innovazione portata con questo articolo è stata importante, visto che ha cercato di porre dei limiti allo strapotere dello Stato sulle persone. “Bisogna gridare agli scienziati – afferma Rodotà – che non bisognare giocare a fare Dio”.

Se, allora, da un lato c’è la scienza che ha iniziato ad intervenire sul normale corso della vita degli esseri viventi, uomo compreso, edall’altro le persone che hanno il diritto di essere tutelate, il diritto dove dovrebbe porsi? Quali compiti gli devono essere attribuiti?
Il professore fornisce una risposta molto chiara: “deve ricostruire l’ordine che ha regolato la natura per millenni e che l’uomo, con le sue innovazioni e scoperte, ha sconvolto nell’ultimo secolo”. Da qui, però nasce anche un paradosso, che riprende quanto detto da Rodotà all’inizio del suo intervento: può il diritto, essendo un artificio, regolare la natura, che per definizione artificiale non è?

Sì, ma senza che le leggi regolamentino lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo; al centro dell’attenzione del biodiritto, ci deve essere la salvaguardia della persona nella sua interezza, la garanzia del diritto all’autodeterminazione della propria vita e delle proprie relazioni con gli altri.

Che fare, dunque? Rodotà si congeda dal folto pubblico sostenendo che «è necessario che al centro dell’attenzione della politica torni ad esserci la dignità del persona e l’eguaglianza fra tutti, perché la salute non è un bene che si può comprare ma un diritto universale che deve essere difeso».

La vita, infatti, non può essere considerata solo nella sua dimensione biologica, ma è certamente qualcosa di più. Essa rappresenta anche l’esistenza libera di ognuno di noi, e deve essere tutelata con leggi che impediscano la nascita di nuovi ostacoli e limiti.

Remo Bodei

Nato a Cagliari nel 1938, si è laureato all’Università di Pisa, dove si avviò verso gli studi dell’ idealismo tedesco e alla filosofia di Hegel. Oggi è professore di Filosofia presso la University of California a Los Angeles, ma ha insegnato in vari ateni nel mondocome New York, Cambridge e Toronto.
È tra i massimi esperti dell’idealismo classico tedesco e si è occupato di forme della temporalità nel mondo moderno. In una serie di lavori ha, inoltre, indagato il costituirsi delle filosofie e delle esperienze della soggettività tra mondo moderno e contemporaneo, pevenendo a una riflessione critica sulle forme dell’indentità individuale e collettiva. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, le cui più recenti sono: Paesaggi sublimi (Bompiani, 2008); La vita delle cose (Laterza, 2009); Ira. La passione furiosa. I 7 vizi capitali. (Il Mulino, 2011).
Da qualche anno, inoltre, è anche Presidente del Comitato Scientifico del Consorzio per il festivalfilosofia.

Zygmunt Bauman

Nato a Poznan nel 1925, è uno dei massimi sociologi e filosofi del mondo contemporaneo. È professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Nei suoi lavori ha delineato gli aspetti salienti della società globalizzata, sottolineando in particolare i processi di individualizzazione e le conseguenze filosofico-morali del nuovo capitalismo. Ha formulato un’importante teoria imperniata sull’esperienza dell’incertezza.
Tra le sue più recenti pubblicazioni, tradotte in italiano, ci sono: Paura liquida (Laterza, 2009); Consumo dunque sono (Laterza, 2010); Vite che non possiamo permetterci (Laterza, 2011).

Stefano Rodotà

Già Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, è professore emerito di Diritto costituzionale  e docente di Diritto civile all’Università “La Sapienza” di Roma.
Ha studiato l’irruzione della tecnologia nella vita democratica, approfondendo la complessa tematica del rapporto tra sfera pubblica e privata: in particolare, la privacy, l’accesso all’informazione e la responsabilità della scienza.
Tra i suoi libri più recenti: La vita e le regole. Tra diritto e non diritto (Feltrinelli, 2006); Perchè laico (Laterza 2009); Diritti e libertà nella storia d’Italia (Donzelli, 2011).

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