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Musica

Velveljin, sulle orme del Maestro

Copertina albumI Velveljin sono un duo giapponese (al secolo Yohei Yamakado e Mana Haraguchi) formatisi nel 2009 e giunto già al secondo lavoro. Dopo essersi spostati a Parigi per studiare cinema, i due sono stati messi sotto contratto dalla nipponica Noble Records e, da poco tempo, hanno dato alle stampe questo Nostalghia, album ispirato dal film di Andrei Tarkovskji. Elettronica applicata ad uno dei maestri del cinema moderno: un connubio a prima vista azzardato che ha però destato il mio interesse. È quindi con curiosità che mi sono avvicinato al nuovo disco, pur con qualche timore di trovarmi di fronte alla solita pappardella pseudo ambient buona per un happy hour e nulla più. Timori che però sono stati subito fugati fin dal primo brano.

In Straub infatti, i due cercano la mediazione fra la compostezza zen dell’estremo oriente e la vivacità naif dell’Europa. Ad un inizio atmosferico reso più vivo da schegge sonore che ricordano le girandole luminose di Capodanno, fa seguito un raffinato tappeto di piccoli battiti in stile deep house su cui si adagia un motivo reiterato e ipnotico. I sintetizzatori crescono poi di intensità stratificando i suoni, ma senza esagerare, mantenendo sempre calma e tranquillità interiore. Il crescendo ipnotico di Straub introduce la title track, Nostalghia, costruita su battiti e controbattiti, tastiere profondamente ambient ma con inserti che danno varietà al suono. Il mood è vagamente malinconico (e come potrebbe essere diversamente?) ma anche etereo. La ritmica tende a farsi più complessa con lo scorrere del brano, fino a fermarsi a metà di esso. Il suono diviene rarefatto, ma all’improvviso dal profondo arrivano pochi rintocchi che introducono una tastiera il cui suono prende la forma di paesaggi da science fiction, di passeggiate nello spazio e visioni di lune e pianeti alieni. Dal sogno extraterrestre veniamo svegliati da una fase ritmica che accompagna nuovi quadri sonori, sempre in crescendo ma con un mood ancora più struggente di prima. Questa è una delle vette del disco, un brano potente e originale che non lascia indifferenti, ma appassiona e intriga chi lo ascolta. Di seguito ci sono poi due brani che potrebbero essere uno la continuazione dell’altro. Il primo, Zerkalo, parte minimale, con rumori registrati in presa diretta alla maniera delle fields recordings, ma sfocia poi in un ambient dub di ottima fattura, ma con atmosfere più criptiche rispetto ai brani che lo precedono.

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Di seguito arriva Polt che, come detto, sembra il continuum della precedente, ma senza la base ritmica: il brano è così più destrutturato e le sensazioni che suggerisce sono ancora più oscure rispetto a Zerkalo. Inizialmente i paesaggi sono quelli tipici della musica ambient ma molto cupi, pur senza toccare la profondità oscura della dark ambient. Tuttavia a metà del brano ecco che entra la ritmica e i suoni si fanno leggermente più aperti. Ma è nel finale che Polt si differenzia dalle cose precedenti perché la ritmica si rinforza, grazie all’uso sapiente di percussioni e cassa, il paesaggio descritto si fa austero e incombente e la musica suggerisce l’immagine potente di una vetta innevata, che sia il Fujiyama o che sia il Monte Bianco non ha importanza, al sorgere del sole, con la luce dela nostra stella rifratta in mille direzioni e colori. Se fino a questo punto l’album si snodava fra le sinuosità ambient e deep house e le variazioni ritmiche dub, con Xoanon arriviamo ad un punto di rottura. Si, perché in esso vi sono rumori indefiniti, simulazione virtuale del suono della pioggia, scricchiolii, echi misteriosi che incutono se non paura, sicuramente angoscia. È il brano più sperimentale dell’intera raccolta, ma non è sicuramente un pezzo fine a se stesso. Dopo ripetuti ascolti si ha la sensazione di trovarsi ad origliare una messa satanica, dove le litanie del sacerdote nero sono trasformate in rumori cadenzati e sinistri. Xoanon è un viaggio nel lato oscuro che alberga in ciascuno di noi, un momento di stacco dalle atmosfere proprie di questo disco, che tuttavia riprendono subito dopo con il brano Vogelfluglinie. Ritorna la ritmica, prima minimale e soffusa e poi più robusta, ritmica che si ferma e riparte sottolineata da tastiere leggere, ripetute come nei pezzi industrial della prima ora. Ma sono le percussioni a prendere il sopravvento e a scuotere l’anima prima del finale aritmico e quasi mistico. Vogelfluglinie è il brano più dance dell’album, ma esso invita a ballare ad occhi chiusi, escludendo il senso della vista e affidandosi solo agli altri sensi, come se si fosse bendati o in una camera oscura. Anche Schema riprende le atmosfere del brano precedente, con una ritmica battente e incisiva con leggerissime sonorità deep ambient, che poi prendono il soppravvento per sfociare in un field recordings nebbioso e vociante, che simboleggia il contrasto fra il fragore del mondo esterno e la pace interiore a cui ogni essere umano anela. Il finale è pura e potente techno house minimale e ipnotica. La chiusura di Nostalghia è affidata a Nacelle che comincia misteriosa ma ben presto si fa ritmata, complessa e battente, con un bel basso e l’organo che creano un mood sospeso, ma aperto e solare, non cupo. Alla fine è un tripudio di suoni per il brano più complesso del disco.

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Fino a qui è solo un descrizione delle sensazioni che la musica mi ha suggerito ma come ben si sa, la musica e il suo eventuale apprezzamento è soggettivo, soprattutto per un genere come quello proposto da questi due giapponesini. Quello che invece è oggettivo è la grandezza della sorgente di ispirazione, ovvero l’opera di Tarkovskij. Inutile in questa sede aggiungere qualcosa sull’importanza del grande maestro russo nella cinematografia moderna. È interessante invece vedere i punti di contatto fra la sua opera e i Velveljin a partire da Parigi, base del progetto musicale e luogo di sepoltura del regista. Mi piace immaginare un loro pellegrinaggio al cimitero ortodosso di Sainte Geneviève de Bois dove riposano le spoglie mortali del maestro e che, in una visione metafisica ed anche un po’ foscoliana, l’ispirazione sia fluita in loro dalle pietre del sepolcro. Un altro tratto comune è la lontananza dal suolo natio, ma mentre per i Velveljin si tratta di una scelta per Tarkovskij fu purtroppo una necessità causata dalla sua opposizione al regime comunista. Infine, ma non meno importante, la spiritualità e la fascinazione per la metafisica, il mistero e l’esplorazione dell’inconscio. I brani che sembrano essere più direttamente legati all’opera di Tarkovskij sono quelli che riprendono i titoli dei suoi film, ovvero Nostalghia e Zerkalo (conosciuto in Italia come Lo Specchio). In particolare in Nostalghia sembra esserci, nella parte più visionaria del pezzo, un riferimento ad un altro dei capolavori del regista russo, ovvero quel Solaris considerato fra le massime espressione della fantascienza moderna. Lo spirito di Tarkovskij permea tutto il disco: lo spiritualismo di Polt e Vogelfluglinie, l’introspezione oscura e intricata di Xoanon, il rapporto con la società moderna in Schema. Ognuno di questi temi è trattato attraverso la sensibilità personale di Yohei e Mana, unita alla loro innata curiosità per un disco personale e fuori dagli schemi. Il valore di Nostalghia non è quindi nella fonte di ispirazione ma è nel modo in cui essa viene elaborata e riproposta agli ascoltatori.

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Due cose mi ha insegnato l’ascolto di questo album. La prima è che è possibile fare una operazione di alto profilo intellettuale ricorrendo alla musica elettronica moderna, fra cui anche l’ambient la techno e la dance, senza cadere nella trappola dell’avanguardia sperimentale o del cerebralismo fine e sé stesso. La seconda è che non è vero che al giorno di oggi non ci sia musica di qualità; l’importante è saperla cercare e trovare, evitando di chiudersi in casa davanti alla televisione a vedere contenitori pieni di galletti e galline starnazzanti e giudici urlanti, gente che in passato era forse anche stata ottima talent scout in giro per i locali dove ancora si suona dal vivo. Adesso che la rete ha preso il sopravvento nella diffusione della musica, e rappresenta comunque un fattore positivo per la conoscenza di fenomeni altrimenti ignoti, i signori citati prima preferiscono andare in televisione a cercare il talento, forse per ragioni di soldi o forse solo per apparire. Non mancano le nuove idee quanto piuttosto il coraggio di proporle. Forse promuovendo gente come i Velveljin e facendole arrivare a più audience possibile, si comincerebbe a instillare questo coraggio nelle vene dei produttori di musica. O forse questa è solo utopia: l’ingranaggio in cui è stata stritolata la musica di autore è grande, complesso e ben oliato, ma tuttavia se cominciassero ad entrare i primi granellini di sabbia chissà se poi questa macchina si fermerebbe. Oppure ancora, è meglio lasciare le cose come stanno, e far si che solo pochi eletti possano apprezzare le gioie minimali di dischi come Nostalghia. A voi la scelta….

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