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Omnia

L’Angelus Novus: l’angelo redentore di Walter Benjamin

Tempo messianico e immagine dialettica

Walter BenjaminPensatore geniale e rivoluzionario, Walter Benjamin è forse il filosofo che meglio di tutti incarna la modernità, le problematiche ad essa connessa, i suoi lati oscuri e le tensioni. Tra i filosofi del XX secolo, egli rappresenta una delle voci più influenti e decisive, per quanto, data la sua travagliata vicenda personale e la sua morte violenta e improvvisa, la sua opera sia arrivata fino a noi in maniera caotica e non organica. Benjamin, infatti, morì suicida nel 1940 per evitare la cattura dei nazisti, mentre tentava di fuggire in America. Di scuola marxista, ma di un marxismo riletto attraverso suggestioni ebraiche, Benjamin era un severo critico della società dei consumi, ma non risparmiò neppure attacchi al potere sovietico, al quale non si allineò mai del tutto.

Sono molti gli scritti di Benjamin a noi pervenuti, ma sempre in forma di frammenti sparsi, appunti, al massimo saggi dedicati a determinati scrittori, artisti, oggetti di interesse; Benjamin è forse l’autore più lontano da ogni concezione della filosofia in quanto “sistema esaustivo” e rigoroso. I suoi saggi e i suoi scritti sono lontani da ogni tentativo sistematico di offrire una trattazione esauriente su determinati ambiti del pensiero filosofico; d’altronde, è una sua cifra caratteristica quella della “frammentarietà”: il frammento come carattere specifico della modernità, ma anche come modalità di scrittura testuale. Smarrita l’unità originaria, la cultura occidentale si ritrova smarrita a interrogarsi sul senso che assume la vita e la verità all’interno dello spazio delle grandi metropoli, dell’avvento di nuovi mezzi di comunicazione, della diffusione radicale del consumismo industriale. Soprattutto, è nella sua ultima grande opera, rimasta incompiuta, che tale frammentarietà assurge alla sua più piena espressione, ovvero i Passages, un “montaggio” di impressioni, idee, citazioni, riferimenti, che nel loro accostarsi fanno emergere significati inediti, elementi che contribuiscono a sconfiggere quella fantasmagoria seduttiva in grado di anestetizzare il pensiero critico.

Sono rimaste impresse nella storia della cultura occidentale le sue Tesi di filosofia della storia, nelle quali Benjamin scardinava i fondamenti della concezione marxista-progressista della storia, erede della visione cristiano-paolina di un tempo lineare e cronologico.

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradio, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.

All’interno di queste Tesi, così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. In queste parole, Benjamin esplica la sua visione messianica della storia, l’attesa perpetuamente insoddisfatta di una rendezione avvenire, dove l’uomo viene trascinato via suo malgrado dal tempo e dal progresso, lasciandosi alle spalle le tragedie e gli orrori di cui l’umanità è stata capace, avendo seminato morte e distruzione ad ognuno dei suoi passi. Redimere questi orrori, cioè dare senso e rendere giustizia alle vittime, non è un compito che viene assunto e garantito dalla divinità o dalla storia dell’umanità (quasi che tali orrori fossero stati necessari a un miglioramento o all’approdo di una qualche beatitudine collettiva). Le macerie della storia restano mute dinanzi alla nostra interrogazione, non trovano giustificazione, non acquisiscono dignità per ciò che hanno prodotto o per quello che hanno rappresentato, visto che la storia dell’uomo è rimasta la storia di sangue e morte che è sempre stata. Per questo l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento (il tempo) lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo.

Angelus Novus, Paul KleeIn Walter Benjamin, l’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria: solo serbando il ricordo delle vittime, e perciò testimoniando della loro dipartita, dell’insenstaezza della loro sconfitta e delle loro sofferenze, si può interrompere il giogo del “tempo mitico” dei vincitori, ovvero la visione della Storia ufficiale che resta ancora all’ipotetico e incontrovertibile “dato di fatto” escludendo l’ambito delle “possibilità non date”.
Per questo, il fulcro essenziale delle sue tesi è l’inversione del tradizionale rapporto tra passato e presente: se solitamente abbiamo sempre concepito il presente come la risultante di un flusso di eventi che proviene dal passato, Benjamin concepisce il passato come l’altra faccia del presente, derivante e prodotto da esso. È il presente che genera dal suo interno il proprio passato, e il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime.

Il filosofo, per Benjamin, proprio per adempiere a tale finalità etica, deve rivolgere la sua attenzione a oggetti apparentemente non degni di attenzione, deve farsi “pescatore di perle” concentrandosi su ciò che gli accademismi ufficiali e la Storia dei vincitori hanno sempre tentato di marginalizzare e relegare all’angolo. Il luogo privilegiato dove fervono questi elementi è la metropoli moderna, con le vetrine dei suoi passages e le sue luci a gas, capaci di investire il passante con choc percettivi continui. Nelle nostre metropoli a venire sacrificata è l’esperienza effettiva e concreta delle cose che ci circondano: il mondo moderno alla “contemplazione” ha sostituito la “fruizione distratta”.

Alla prospettiva polemica, Benjamin contrappone però uno spirito ottimistico: attraverso strumenti speculativo-dialettici, o attraverso l’immaginazione artistica, si può e si deve “redimere” e riscattare il nostro mondo (alienato dalla logica dei consumi e dello scambio) prelevandone il potenziale emancipativo, ovvero la dimensione progressista della modernità. Tale dimensione è in Benjamin sinonimo di rivoluzione: possibilità di riscatto da parte delle masse che, uscite dall’epoca del culto e della devozione teologica per il potere, hanno ora la possibilità di “ritrovarsi” come coscienze rivendicando un ruolo attivo nella partecipazione politico-sociale. In Benjamin, infatti, distrazione e attività non sono in contraddizione: i fenomeni e gli oggetti che sembrano costringere ciascuno, per volontà del capitalismo, all’omogeneizzazione e alla passività generalizzata, sono gli stessi che possono condurci alla sua tanto sospirata rivincita e affermazione. I frammenti sono, perciò, da un lato prodotti della cultura del consumo, della moda, della meccanizzazione dell’agire, ma su un altro livello sono anche promessa di futuro, possibilità offerta agli uomini di scardinare la storia dei vincitori e il tempo mitico del sempre-uguale.

Qui assume un ruolo essenziale il concetto di «immagine dialettica», dominante proprio nei Passages; l’immagine dialettica vive del suo perpetuo relazionarsi all’altro da sé. Non v’è possibile ontologia dell’immagine nell’assenza di relazione, anzi, è la stessa immagine che, affinché possa sopravvivere, pretende di essere messa in rapporto ad altro. È nell’immagine dialettica che temporalità ed eternità si fondono insieme, passato e presente si amalgamano:

Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a salti. – Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche); e il luogo, in cui le si incontra, è il linguaggio.

Passage parigino

A partire dallo sguardo sconvolto dall’orrore dell’Angelus di Klee, l’immagine dialettica ci offre la possibilità di cogliere nel turbinio incessante e frenetico della modernità dei momenti di stasi improvvisi, delle “epifanie di senso”, capaci di illuminare di una luce differente ciò che invece ci sfugge repentinamente nella vita quotidiana della perpetua mercificazione e inautenticità: questo è il compito del filosofo dialettico e del critico della cultura, fissare lo sguardo sui frammenti per farne delle immagini dialettiche che rivelino i processi che li hanno determinati, le loro intenzionalità profonde, i loro valori allegorici e le opportunità che da esse si sprigionano.

Così, poter riscattare la Storia e la cultura dalle disgrazie del passato e dalle catastrofi che ci circondano, attraverso le “porte” che il presente ci offre in attesa dell’avvento del redentore.

Commenti

11 commenti a “L’Angelus Novus: l’angelo redentore di Walter Benjamin”

  1. Filosofia e poetica del frammento,come frammento è tutto il lavoro di Paul Klèe. Bella sintesi

    Di beppe bonetti | 1 Maggio 2012, 11:04
    • Non ostante gli orrori che hanno determinato il passato, le guerre,l’olocausto, ebbene, il futuro non sarà certo migliore, è un futuro privo di speranza, un futuro peggiore del passato!!!!!!!

      Di Pierluigi Cavallo Albora | 27 Settembre 2013, 22:51
    • Attenzione, però, a un punto: il rapporto con la memoria per Benjamin è più complesso e contrastato; per lui l'”esperienza vissuta” è un’espressione eufemistica, tanto che si dovrebbe parlare piuttosto di “esperienza defunta”. La memoria può essere un tramite, ma il ricordo va conquistato e redento. Lo dice chiaramente in “Angelus Novus”.

      Di Bruno Mellarini | 19 Gennaio 2016, 15:30
  2. Ripensare le rovine del passato per coglierne l’unità di senso e darsi, cosi’,prospettive diverse. In tale consapevolezza c’è speranza!

    Di raffaela la torre | 30 Novembre 2013, 10:43
  3. Si tratta di una bella sintesi del pensiero di Benjamin. Avrei, però, posto l’accento più sulla categoria di speranza che nell’autore è sempre presente, come in Kant, che interpreta il futuro come progresso verso il meglio.

    Di Domenico di Iasio | 3 Ottobre 2014, 07:42
  4. Sintesi illuminante, volta alla ricerca nel pensiero di B. di una nuova possibile teleologia etica da immettere nella Storia. Senonché le altrettanto geniali osservazioni di Z. Bauman sulla “società liquida”, quale attuale prodotto della modernità, inducono a tarare speranze messianiche e pensiero critico su questo, meno ottimistico, dato storico.

    Di Francesco Carmine Tedeschi | 23 Ottobre 2014, 19:04
  5. l’opera di walter benjamin rappresenta l’esegesi del salmo: “insegnami a contare i miei giorni”

    Di oreste ciancarelli | 17 Novembre 2015, 20:35

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  1. […] più. Che sfortuna, si pensa, avesse avuto più fiducia, più speranza. Ma forse lui, come l’Angelus di cui scrisse, aveva visto, questo orribile serpente che morde la sua stessa coda, che si uccide […]

  2. […] […]

  3. […] più. Che sfortuna, si pensa, avesse avuto più fiducia, più speranza. Ma forse lui, come l’Angelus di cui scrisse, aveva visto, questo orribile serpente che morde la sua stessa coda, che si uccide […]

  4. […] e la concezione  della storia come storia della distruzione, la funzione dialettica delle immagini e l’attenzione dovuta ai vinti molto più che ai […]

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